A Crow Left Of The Murder
(Epic/Immortal, 2004)
Tre anni fa gli Incubus davano alle stampe Morning View, l’album in virtù del quale avrebbero portato a termine la transizione da gruppo underground a solida realtà rock della MTV-generation: a decretare il passaggio di status, un brano eccezionalmente trainante come Wish You Were Here, capace di sintetizzare il consueto sound del gruppo in una formula melodica di fortissimo impatto. Oggi gli Incubus tornano in pista, consapevoli di giocare un ruolo ben differente nel panorama musicale e di avere molti più riflettori puntati addosso. A Crow Left Of The Murder ha il compito di indicare al pubblico dove l’evoluzione della band, tratteggiata già dalle atmosfere più rilassate e sperimentali di parte di Morning View, stia conducendo.
Al nastro di partenza gli Incubus si presentano con un paio di modifiche: segnatamente, un nuovo bassista (Ben Kinney, proveniente dai Roots) ed un nuovo produttore (Brendan O’Brien). L’intento dichiarato, del resto, era quello di non dormire sugli allori e non registrare l’album che tutti si sarebbero aspettati; bensì di utilizzare il successo fin qui consolidato come solida base di partenza per esplorare nuovi scenari. Una sfida interessante, che peraltro accomuna almeno a parole buona parte dei gruppi presenti sulla scena…
Il lavoro si apre con Megalomaniac, scelto anche come primo singolo. Messo a paragone con il predecessore Wish You Were Here, risulta una specie di assalto all’arma bianca: l’impatto è complessivamente più violento, sebbene anche qui non manchino i chiaroscuri tipici della recente produzione del gruppo. La melodia non manca; però non s’impone, piuttosto va cercata.
La title-track che segue immediatamente in scaletta non ha niente di particolarmente notevole, eppure in qualche modo cattura: principalmente in virtù del bel fraseggio della chitarra di Mike Einziger, senza voler comunque sottovalutare la potenza e duttilità della voce di un Brandon Boyd sempre più eclettico.
Agoraphobia è un brano dalle tonalità più scure, che si snoda sulle ali di vocals quasi recitati e beneficia di squarci più solari solo in occasione dei ritornelli e del bridge.
Talk Shows On Mute mi ricorda musicalmente alcuni momenti degli Smashing Pumpkins più leggeri e vagamente contaminati dall’elettronica; ma la voce di Brandon garantisce un effetto completamente differente, casomai accostabile a certe ballate dei Red Hot Chili Peppers. Mi pare si possa parlare di una californian way alla semi-ballata, limpida e malinconica nei limiti in cui può esserlo la musica prodotta da quelle parti. L’effetto è ribadito dall’assolo di Einziger, assai vicino a quanto proposto da Frusciante ad esempio in Scar Tissue.
Beware! Criminal mi è piaciuta molto. Sebbene il refrain possa dare l’impressione di ascoltare semplicemente gli Ash in una versione dotata di un cantante degno di questo nome, le strofe ritornano alla stessa atmosfera parzialmente crepuscolare già incontrata all’altezza di Agoraphobia; e ancora una volta il lavoro di Mike in tal senso è encomiabile.
Seguono gli oltre sei minuti di Sick Sad Little World, forse il brano più complesso ed elaborato mai prodotto dagli Incubus. Un riff a spirale reiterato all’infinito, sulla falsariga del Jimmy Page di Custard Pie, ed un drumming a tratti ossessivo di Jose Pasillas accompagnano i vocals di Brandon lungo tutta la scala che va dal sussurro al grido di battaglia. A metà percorso si apre uno squarcio psichedelico relativamente lungo, dedicato al visionario ma controllato assolo di Mike che conduce passo dopo passo fino alla conclusione. Un esperimento interessante, nel complesso ben riuscito.
Strani effetti elettronici schiudono le porte di Pistola, di per sé un brano tirato e dalle sonorità a tratti curiosamente ‘spaziali’, che Brandon interpreta a pieni polmoni. Da sottolineare un altro assolo di Mike, perfettamente a tono ed opportunamente supportato dal basso di Ben.
Per Southern Girl il gruppo affonda sul pedale del freno e propone atmosfere placide, nuovamente riconducibili a quella californian way che cercavo di delineare più sopra: una ballata essenziale, rilassata, sottilmente nostalgica.
Priceless mi sembra una caduta di stile. La batteria di Jose suona terribilmente piatta e metallica, quasi come se i consueti piatti fossero stati rimpiazzati dai coperchi dei bidoni della spazzatura; i vocals di Brandon sono troppo nervosi per risultare effficaci; il riffing di Mike è eccessivamente accelerato e completamente sovrastato nel mixaggio dal già esacrato drumming, riscattandosi solo in occasione dell’assolo. Tutto considerato, meglio passare oltre.
Zee Deveel suona parecchio stranita e bizzarra, come una parodia di una marcia militare. Ancora una volta Mike regala un assolo in tinta, che si dipana questa volta su un tessuto ritmico adatto; mentre Brandon dal canto suo, in piena sintonia con il titolo, offre qualche passaggio sottilmente inquietante.
Un altro bel brano è Made For TV Movie. Brandon è assoluto protagonista: narratore equilibrato e in qualche modo distaccato nelle strofe, interprete efficace e misurato nel ritornello. La conclusione, che gli è affidata con il solo, discreto accompagnamento di Mike, permette di prendere piena coscienza dei suoi notevoli mezzi tecnici.
Smile Lines non si fa notare ma neppure disprezzare: è più o meno sulla stessa linea di A Crow Left Of The Murder, e riecheggia certe cose del Frank Black post-Pixies.
La più tradizionale delle ballate presenti sull’album è certamente Here In My Room. Sarà forse casuale, ma il richiamo alla beachboysiana In My Room risulta sintomatico: con i dovuti aggiornamenti dovuti ai quarant’anni che ci separano dalla California dei sixties, qui gli Incubus confezionano un brano in calce al quale la firma di Brian Wilson forse non stonerebbe eccessivamente.
La chiusura è affidata a Leech. I passaggi in falsetto di Brandon appaiono un tantino forzati e le sonorità comunicano una certa freddezza, sicché l’insieme non si può propriamente definire eccezionale.
A Crow Left Of The Murder non è un album facile. In un certo senso, con le dovute eccezioni, non lo era neppure Morning View: nell’ambito della produzione degli Incubus, bisogna forse risalire a Make Yourself per trovare un intero CD capace di conquistare già al primissimo ascolto. A differenza di Morning View, l’ultima uscita non può neanche contare su qualche singolo assolutamente trascinante: è possibile che questo penalizzi in qualche misura il suo successo commerciale, ma allo stesso tempo costringa i fans ad un’analisi più attento. Ne’ più ne’ meno di quanto è successo a me, insomma.
Solo all’altezza del terzo ascolto ho cominciato a cogliere le sue virtù, e vi assicuro che non sono poche. A Crow Left Of The Murder è senza dubbio discontinuo, come tutti gli album in qualche modo sperimentali o inaspettati. Non rivoluziona il mondo della musica in sé, ma sicuramente si spinge ai confini di quello degli Incubus attuali. Curiosamente, l’album meno tradizionale del gruppo è anche quello dove l’impronta di DJ Kilmore finisce per essere meno evidente; ma questo può essere il segno che il suo apporto è stato ormai pienamente metabolizzato, seppur in un approccio alla materia che rimane eminentemente rock. In altre parole, gli ultimi Incubus non hanno perso nulla della propria personalità: l’hanno casomai rafforzata, con esiti che si possono prestare a giudizi contrastanti ma meritano comunque rispetto.
Fabrizio Claudio Marcon
Incubus