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Quando le dimensioni contano

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Quando le dimensioni contano

Benvenuti al secondo appuntamento con la nostra piccola rubrica dedicata alla fotografia digitale. Ho detto "nostra" di proposito, perchè se volete contribuire con articoli, recensioni e commenti sulle vostre fotocamere, immagini da voi scattate, potete inviare tutto il materiale alla redazione di KULT Underground alla mia attenzione, oppure a me direttamente. Sono ben accette anche domande, commenti e/o richieste di consigli o di argomenti, e se perverranno in numero sufficiente verrà aperto un "angolino della posta".

Bene, veniamo ora all’argomento del mese: il sensore delle macchine fotografiche digitali.
Prima di entrare nel vivo della questione, forse è utile richiamare alcuni concetti di base per coloro che non li conoscessero, sperando di non annoiare troppo i più esperti.
Se schematizziamo e semplifichiamo al massimo una macchina fotografica, digitale o analogica che sia, ci accorgiamo che questo apparecchio (il cui scopo è di fissare in qualche tipo di supporto una immagine del mondo esterno) è composto essenzialmente da una lente e da una scatola, nella quale è contenuto un piano sul quale si formerà l’immagine. In realtà le lenti sono quasi sempre multiple, in prima approssimazione possiamo trattarle come fossero una sola.

Caratteristica fondamentale di una lente è la sua lunghezza focale, ovvero la distanza che intercorre tra il centro della lente stessa e il piano ove si forma l’immagine, vale a dire la superficie del sensore o della pellicola.

Esistono obiettivi a focale fissa e obiettivi a focale variabile (detti anche obiettivi zoom). Con questi ultimi è possibile variare la lunghezza focale a piacere, nei limiti costruttivi dell’obiettivo stesso.

Nelle macchine fotografiche tradizionali, il piano immagine è costituito dal fotogramma di una pellicola, un rettangolo di dimensioni pari a 24x36mm. Gli obiettivi sono costruiti per fornire una buona copertura del piano immagine.

Il sensore che nella macchine fotografiche digitali prende il posto della pellicola, ha quasi sempre dimensioni inferiori (anche di molto) al tradizionale rettangolo 24×36 del formato Leica. Al momento in cui scrivo solo
tre apparecchi1 professionali ed estremamente costosi hanno un sensore di tali dimensioni.
E’ proprio il contenimento dei costi che spinge i costruttori a fabbricare sensori di piccole dimensioni: infatti il sensore, soprattutto se di tipo CCD (vedremo più avanti cosa significa) è il pezzo più costoso all’interno di una fotocamera digitale, e quindi quello che incide maggiormente sul prezzo finale.
Putroppo non si è ancora affermato uno standard, pertanto ogni costruttore utilizza sensori di dimensioni diverse, addirittura i sensori sono differenti da un modello all’altro dello stesso produttore.
Molti di voi si staranno chiedendo: ma cosa comporta tutto questo? Chi se ne importa se il sensore è piccolo…
Ebbene, il cambio di dimensioni del sensore ha molti effetti collaterali, e traccia una marcata differenza tra le fotocamere digitali e quelle tradizionali a pellicola.
Per coprire adeguatemente un piano immagine di piccole dimensioni è sufficiente un obiettivo di piccola distanza focale, come evidenziato in
figura.
Questo è il motivo per cui le macchine fotografiche digitali hanno obiettivi con distanze focali effettive molto brevi, anche se per evitare di confondere chi è abituato alle macchine analogiche tradizionali, vengono dati valori "equivalenti" nel formato 35mm. Per esempio, si potrebbe trovare scritto "obiettivo zoom con equivalenza ad un 35-140mm". In realtà tale obiettivo avrà una escursione di lunghezze focali reale pari a circa 7-28mm, ma siccome anche il sensore è più piccolo, l’obiettivo si "comporta" come farebbe un 35-140 montato su una fotocamera con sensore (o pellicola) 24x36mm.
Le ragioni di questo effetto di "moltiplicazione di focale" sono puramente geometriche.

Il motivo per cui le varie case adottano sensori di piccole dimensioni sono essenzialmente legate ai costi di produzione. Risulta infatti molto difficile e costoso costruire sensori di dimensioni grandi, pertanto conviene (anche per contenere il prezzo finale degli apparecchi) produrre sensori piccoli e sempre più "densi" (ovvero con fotositi sempre più piccoli e numerosi per unità di superficie) mano a mano che si cresce in risoluzione.

Un effetto spesso sottovalutato della trasformazione di focale indotta dalle diverse dimensioni del sensore digitale rispetto alla comune pellicola 24x36mm è che obiettivi costruiti per il formato analogico si comportano come obiettivi differenti se montati su un apparecchio digitale. Dato che cominciano ad apparire sul mercato interessantissime
reflex digitali4 (con obiettivi intercambiabili) a prezzi accessibili, questo fatto assume una certa importanza. Infatti uno dei fattori che potrebbero spingere un fotografo ad acquistare un simile apparecchio è certamente il fatto di poter riutilizzare obiettivi tradizionali già acquistati.
In poche parole,ciò che accade si può così riassumere:

Un obiettivo per la fotografia analogica di lunghezza focale pari a N millimetri, se montato su un apparecchio con sensore più piccolo del formato 24×36 si comporta come un obiettivo di focale maggiore. Il fattore di moltiplicazione è pari al rapporto tra la diagonale del formato 24×36 e quella del sensore digitale considerato.


Vediamo un esempio:
Le reflex Canon EOS 300D e Canon EOS 10D hanno lo stesso sensore digitale, con dimensioni pari a 22,7×15,1mm.
Calcolando col teorema di Pitagora la lunghezza della diagonale, abbiamo:
D = 27,26 mm
Analogamente, la diagonale del formato 24×36 risulta circa di 43,26mm.
Il rapporto risulta pari a 43,26 / 27,26 = 1,58
Questo risultato agisce da moltiplicatore per la focale di obiettivi tradizionali montati su questi apparecchi:

Un grandangolare 24mm equivale circa ad un 38mm (24*1,58)
Un teleobiettivo 300 mm equivale circa ad un 475mm (300*1,58)
Un normale 50mm equivale circa ad un 80mm (50*1,58)

Come si può vedere dagli esempi riportati, l’effetto è quello di trasformare gli obiettivi verso il tele. Ora, se questo comportamento può portare addirittura dei vantaggi nel caso di obiettivi di lunga focale (come sa chi fotografa spesso, il tele non è mai abbastanza…) esso risulta al contrario piuttosto seccante nel caso di obiettivi grandangolari. Questi ultimi, che spesso sono tra i più costosi in assoluto, si ritrovano ad agire quasi come banalissimi obiettivi "normali".
Faccio notare che le due reflex prese in esame hanno un sensore di dimensioni piuttosto generose per una digitale, infatti la maggior parte delle macchine fotografiche digitali di fascia bassa, media e persino
prosumer2 hanno sensori di dimensioni molto più ridotte.
La mia Canon Powershot G3 per esempio, ha un sensore di soli 7,18*5,32mm, quindi una diagonale di 8,93mm circa e un rapporto di 43,26 / 8,93 = 4,84. Anche se non è possibile montare su questo apparecchio obiettivi per macchine reflex, questo spiega come nelle specifiche tecniche si parli dell’obiettivo zoom incorporato come "equivalente ad un 35-140", mentre la reale escursione di lunghezza focale è di 7,2-28,8mm, come correttamente indicato sull’anello dell’obiettivo.

Normalmente la trasformazione di focale non viene considerata importante in apparecchi con ottica fissa, dato che non è possibile montare obiettivi tradizionali su queste macchine. Occorre però considerare in questi casi un altro fattore spesso ignorato: l’influenza della lunghezza focale sulla
profondità di campo3.
Prendiamo ad esempio la solita Canon G3. La posizione dello zoom pari a 28,8mm (il massimo del tele) per fattore di ingrandimento ed angolo di campo si comporta sul sensore digitale come farebbe un teleobiettivo di 140mm sulla pellicola 24×36. Ma la lunghezza focale di un obiettivo influisce anche sulla profondità di campo; e qui stiamo lavorando con una lunghezza focale effettiva di 28,8mm.
In pratica accade che:

A parità di lunghezza focale, la profondità di campo di una fotocamera digitale con fattore di moltiplicazione N e apertura impostata a F, è equivalente a quella di una fotocamera analogica 24×36 all’apertura di F*N.

Nella regola appena esposta, la lunghezza focale è da intendersi riferita al formato Leica (il 24×36).
Ad esempio, una fotocamera digitale con fattore di moltiplicazione pari a 4,84 all’apertura f 5,6 avrà una profondità di campo pari a quella ottenibile con una fotocamera analogica all’apertura di 4.84*5.6 = 27,1 (approssimativamente possiamo considerare la tipica apertura di 22).
Come è facile vedere, calcolatrice alla mano, una fotocamera digitale, in virtù delle ridotte dimensioni del sensore, utilizza obiettivi di lunghezza focale minore per ottenere lo stesso angolo di visuale nella composizione, e quindi ottiene una profondità di campo maggiore. Questo è uno dei motivi per cui nella gran parte delle fotocamere digitali l’apertura di diaframma minima è f8: grazie alla corta focale delle lenti, a questa apertura si ottiene già una profondità di campo larghissima, tanto da rendere inutili aperture inferiori.
In molti casi una profondità di campo elevata risulta utile, ad esempio nella fotografia di paesaggi. Diventa più difficile invece ottenere uno "sfocato creativo" decente, ad esempio nella foto di ritratto, dove solitamente si vuole lasciare lo sfondo completamente sfocato e il soggetto principale a fuoco.
Un ultimo aspetto da considerare nelle fotocamere digitali compatte (con obiettivo non separabile) è quello delle dimensioni fisiche assolute dell’ottica: come abbiamo visto, poichè il sensore è piccolo, la lente può avere una lunghezza focale piccola per coprirlo correttamente. La lente stessa è fisicamente di piccolo diametro, quindi l’apertura del diaframma sarà piccola anch’essa. Ricordiamo che l’apertura effettiva del diaframma si calcola dividendo la lunghezza focale della lente per il numero f. Non è difficile accorgersi che l’apertura del diaframma per f=8 per molte fotocamere digitali è piccolissima, meno di 1mm! A queste dimensioni cominciano a subentrare effetti di
diffrazione5 che fanno perdere di nitidezza alla fotografia. Questo è un altro motivo per cui difficilmente troverete aperture di diaframma più piccole di f8 sulla vostra fotocamera digitale.
Bene, per stavolta direi di fermarci qui; il prossimo mese daremo uno sguardo più ravvicinato al cuore delle fotocamere digitali: il sensore. Arrivederci!

Massimo Borri

1
Si tratta precisamente delle fotocamere:
Contax N Digital – prezzo indicativo: 8700 euro
Canon EOS 1DS – prezzo indicativo: 8300 euro
Kodak DCS 14 N – prezzo indicativo: 6100 euro

2
Prosumer: neologismo inglese formato dalla fusione delle parole professional e consumer. Esso indica apparecchi destinati ad una utenza evoluta ed esigente, anche se non al livello di quella professionale.

3
La profondità di campo, in inglese depth of field (abbr. DOF) è la distanza fra l’oggetto a fuoco più vicino e quello più lontano nella scena inquadrata.

4
Alcuni esempi attualmente sul mercato:
Canon EOS 10D
Canon EOS 300D
Pentax *ist D
Nikon D100
Nikon D70 (annunciata per la primavera)

5
La luce tende a deviare dal suo percorso quando passa vicino ad un ostacolo; attraverso foro molto piccolo una parte significativa dei raggi luminosi sarà soggetta a questa deviazione.

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