Al di là delle evidenti pecche organizzative, quest’anno al Festival di Venezia, 60a edizione, si sono potute apprezzare discrete pellicole, a differenza dell’edizione precedente. Innanzi tutto la nutrita pattuglia italiana, che riportava al Festival grandi nomi della regia come Bertolucci e Bellocchio, che hanno confezionato lavori apprezzabili. Bertolucci, con "The Dreamers", ci ha riportato al ’68 e alle contestazioni studentesche del maggio francese a Parigi. Il film, contrariamente alle speculazioni dei media, non concentra l’attenzione sull’aspetto politico, affrontato solo marginalmente, ma prevalentemente sul rapporto (al limite dell’incestuoso) dei tre protagonisti ed al loro amore per il cinema (una dichiarazione d’amore del regista verso i film e i protagonisti che ne hanno fatto la storia).
In "Buongiorno, notte", Bellocchio riapre una drammatica ferita nella recente storia politica italiana, il sequestro Moro, l’allora leader della Democrazia Cristiana, ucciso dalle Brigate Rosse durante gli "anni di piombo". Il regista, ispirandosi al libro intervista di Paola Tavella "Il Prigioniero" pubblicato da Mondadori nel 1997, pone l’obiettivo sulle figure dei terroristi che rapirono il politico, sulle loro motivazioni e sulla loro fallimentare e distruttiva utopia della lotta armata. Altra pellicola italiana apprezzata dal pubblico e dalla stampa presenti a Venezia è stata "Il Miracolo" di Edoardo Winspeare, storia di provincia incentrata sulla figura di Tonio, un ragazzino dodicenne che dopo un incidente, si ritrova protagonista di guarigioni al limite del miracoloso. Figure allo sbando che ruotano attorno a lui, sulla base di una religiosità laica e di un percorso che lo porterà a maturare nuovi rapporti e ad influenzarne le scelte.
Questo limitatamente ai film da me visionati, anche se altrettanto apprezzati a Venezia sono stati "Segreti di Stato" di Paolo Benvenuti che dà una chiave interpretativa differente alle versioni ufficiali dei fatti accadi nella strage avvenuta nel 1947 a Portella della Ginestra, in Sicilia, causata dal bandito Giuliano, e "Ballo a Tre Passi" di Salvatore Mereu, Menzione Speciale come Opera Prima estremamente promettente.
Il reparto stranieri vedeva anche qui la presenza di nomi importanti: ormai gli immancabili film di Woody Allen e Takeshi Kitano, quest’ultimo Leone d’Argento per la regia (e vincitore morale da parte del pubblico del Festival) con "Zatoichi", una storia di samurai ambientata nel Giappone Medievale, fortemente plasmata dallo stile ironico del regista nipponico. James Ivory ha portato qui a Venezia una pellicola piuttosto sottotono rispetto ad altre sue opere, "Le Divorce", infarcita di luoghi comuni e specchio degli odierni pessimi rapporti tra Francia e Stati Uniti, anche se le vere delusioni del Concorso Ufficiale sono stati soprattutto due film: "Twentynine Palms" di Bruno Dumont e "Imagining Argentina" di Christopher Hampton.
Dumont, già apprezzato regista de "La Vie de Jésus" e "L’Humanité", è risultato irritante, in una vicenda con pochissimi dialoghi per lo più insensati, con rapporti sessuali al limite del ridicolo, una violenza gratuita, illogica nel contesto del film ed un finale assurdo. "Imagining Argentina" utilizza un tema importante, i Desaparecidos durante la dittatura militare Argentina del ’76, ma trattato in maniera quasi irriverente alla logica storia dei fatti, con un Antonio Banderas calato nei panni di un veggente che dopo il rapimento della moglie, riesce a vedere attraverso il racconto dei familiari, il futuro degli scomparsi. Una pellicola con un Banderas dall’interpretazione imbarazzante (causata forse dal personaggio imbarazzante), in cui l’unica prova che si salva è quella di Emma Thompson nel ruolo della moglie. Di tutt’altro calibro è stato il giusto Leone d’Oro del Festival 2003, il film russo "Vozvracenje (The Return)" di Andrej Zvjagintsev, pellicola commovente, ben girata, e ben interpretata, storia di due fratelli sconvolti dal ritorno del padre mai conosciuto, di cui conservano il ritratto in un’unica foto della loro infanzia. La vittoria a Venezia ha reso omaggio anche ad uno dei due adolescenti attori protagonisti, tragicamente e fatalmente annegato, alla fine delle riprese, nel lago dove si erano svolte le ultime riprese. Anche le classiche commedie americane, presenti ad ogni festival con relative star, non hanno deluso: "Matchstick Men" di Ridley Scott con Nicolas Cage e "Intolerable Cruelty"dei fratelli Coen con George Clooney e Catherine Zeta-Jones, hanno confermato la bravura dei registi in un genere più leggero, riuscendo a confezionare pellicole divertenti e storie ben costruite.
Per finire, da segnalare tre film da visionare in questa stagione cinematografica: "Lost In Translation" di Sofia Coppola, bella commedia sentimentale, con uno strepitoso e divertente Bill Murray, che avrebbe meritato la selezione ufficiale, "Coffee and Cigarettes" di Jim Jarmush, che riprende gli omonimi cortometraggi da lui iniziati nell’86 con Benigni, proseguiti poi con Tom Waits e Iggy Pop, ed infine incrementati di nuovi episodi interpretati da altrettante star del cinema e della musica (Cate Blanchett, Bill Murray, Steve Buscami ecc..) fino ad ottenere una pellicola completa divisa per capitoli. Ma, personalmente, il film che più ho apprezzato in questa edizione del Festival del Cinema, è stato "Schultze Gets The Blues", bellissimo viaggio on the road del prepensionato tedesco Schultze, una vita divisa fra il lavoro nelle miniere di sale e le polke classiche suonate con la sua fisarmonica, folgorato dalla scoperta del Blues; giusto riconoscimento per questa pellicola, il Premio Speciale per la Regia, nella sezione "Controcorrente", al suo autore, il tedesco Michael Schorr.
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Venezia 2003 – La rassegna
Andrea Leonardi
Sullo sfondo una scena del film portato a Venezia.