La più grande virtù politica è non perdere il senso dell’insieme.
Emmanuel Mounier
L’analisi che svolgerò, dunque, non intende arricchire il panorama delle posizioni più o meno favorevoli6 o di quelle apertamente critiche7, che si sono manifestate all’indomani dell’adozione della Decisione Quadro, ma solo di sottolinearne alcune caratteristiche, evidenziando i punti più evidenti di incompatibilità con la nostra Costituzione, nella consapevolezza che, avendo intrapreso un cammino verso l’armonizzazione, a livello europeo, sia del diritto sostanziale che di quello processuale (passando definitivamente da una cooperazione tra Stati ad una cooperazione tra giurisdizioni), si dovrebbe guardare a questi problemi con maggiore distacco emotivo, cercando di individuare le soluzioni più indolori per l’applicazione delle norme nell’ordinamento italiano.
In Europa le frontiere sono aperte per persone, capitali, beni e servizi, e restano chiuse per gli organi incaricati della repressione del crimine8. La cooperazione9 in materia penale tra gli Stati membri10 dell’Unione è quindi necessaria, anche se è evidente come la sua realizzazione comporta la difficoltà di superare rilevanti differenze nelle legislazioni, nella giurisprudenza, nelle stesse culture dei giuristi del continente. Un’esigenza, quella della cooperazione, oggi ancora più avvertita11 e che impone scelte improntate alla massima semplificazione delle rispettive procedure, senza mai rinunciare alle garanzie riconosciute dalle Costituzioni dei Paesi membri, a garanzia dei soggetti (cittadini e non) colpevoli di aver commesso reati e, a maggior ragione, dei soggetti (cittadini e non) innocenti ed estranei ai fatti delittuosi.
La Decisione Quadro12, adottata dal Consiglio UE il 13 giugno 2002, sul mandato d’arresto europeo costituisce l’accordo che dovrà avvicinare i vari sistemi giudiziari europei e facilitare le procedure di consegna delle persone condannate o sospettate tra gli Stati Membri13; il mandato di arresto europeo14 mira a sostituire15 il sistema attuale dell’estradizione16 rendendo, nelle intenzioni del legislatore comunitario, la procedura più rapida e semplice, con la soppressione di tutta la fase politica ed amministrativa a beneficio di una procedura giudiziaria.
Come si legge nelle considerazioni introduttive della Decisione (considerando n.5), è opinione del Consiglio17 che l’obiettivo di fare dell’Unione "uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia" comporti la soppressione dell’estradizione fra gli Stati Membri e la sua sostituzione con un "sistema di consegna tra autorità giudiziarie", permettendo la "libera circolazione delle decisioni giudiziarie penali sia definitive, sia antecedenti alla sentenza" (fuori luogo e quasi beffardo il richiamo alla libera circolazione dato che le decisioni circolano sì liberamente, ma le persone invece in vinculis…).
La Decisione Quadro è composta di 35 articoli. L’art. 1 definisce18 cos’è il mandato d’arresto, e l’obbligo di darne esecuzione. L’art.2 stabilisce il campo di applicazione e specifica i reati per i quali il mandato è obbligatorio. Qui sono da segnalare le prime difficoltà19: la lista dei reati comprende, fra le altre, la "partecipazione a un’organizzazione criminale", il terrorismo, la tratta di esseri umani, sfruttamento sessuale dei bambini e pornografia infantile, traffico illecito di stupefacenti, traffico illecito di armi, corruzione, frode, riciclaggio, falsificazione di monete, criminalità informatica, criminalità ambientale, favoreggiamento dell’ingresso e del soggiorno illegali, omicidio, traffico illecito di organi umani, rapimento, sequestro , razzismo e xenofobia, racket, contraffazione e pirateria in materia di prodotti, falsificazione di mezzi di pagamento, traffico illecito di materie nucleari e radioattive, traffico di veicoli rubati, stupro, reati che rientrano nella competenza giurisdizionale della Corte penale internazionale (genocidio, crimini di guerra) ecc. La norma così concepita20 legittima l’emissione del mandato d’arresto con esclusivo riferimento alla legislazione dello Stato emittente e alle pene da questo stabilite, mentre espressamente dispone che lo Stato richiesto deve, "indipendentemente dalla doppia incriminazione per il reato", consegnare la persona, quando questa sia sotto accusa o sia stata condannata per una delle 32 ipotesi di reato ricordate poc’anzi, formulate in modo da potere includere qualche centinaio di figure criminose (si pensi a tutte le diverse fattispecie concrete che possono essere ricomprese nella categorie "racket e estorsioni", "riciclaggio di proventi di reato", "criminalità informatica", "terrorismo" ecc.). La violazione del principio Costituzionale21 di "legalità" appare evidente.
In ogni caso, come detto prima, l’aspetto maggiormente significativo della Decisione Quadro è quello per cui si intende "eliminare22" l’estradizione23 (tanto dell’imputato o indagato quanto del definitivamente condannato), attivando un nuovo meccanismo definito "orizzontale" , che si traduce nel trasferimento coattivo di una persona ricercata da uno Stato membro all’altro24. Eliminata la fase politico-amministrativa dell’estradizione, l’esecuzione del mandato di arresto avviene attraverso contatti diretti tra le autorità giudiziarie nazionali, individuate sulla base degli ordinamenti statali.
Oltre alle caratteristiche classiche di un mandato di arresto (ricerca, cattura, detenzione provvisoria), il mandato europeo vale come richiesta di consegna alla autorità dello Stato che ha emesso il provvedimento. La nuova procedura può essere essenzialmente suddivisa in tre fasi. In primo luogo, l’autorità giudiziaria che ha emesso il mandato di arresto (i cui requisiti di forma e di contenuto sono stabiliti dall’art. 8) comunica il provvedimento direttamente alla autorità giudiziaria dell’esecuzione, quando il luogo in cui si trova il ricercato è conosciuto, altrimenti segnala la persona ricercata nel Sistema25 di Informazione di Schengen (SIS26).
La seconda fase è di competenza dell’autorità giudiziaria dello Stato in cui si trova il soggetto da arrestare, che può rifiutarsi di eseguire il mandato di arresto europeo soltanto nelle ipotesi indicate nell’art. 3 (reato amnistiato; ne bis idem27; non punibilità a causa dell’età del ricercato). Al di fuori di queste ipotesi, l’autorità deve procedere ad eseguire l’arresto e successivamente decidere se la persona detenuta debba o meno rimanere in stato di custodia sulla base delle disposizioni del diritto interno (si precisa tuttavia che la persona può essere rimessa in libertà soltanto a condizione che vengano adottate le misure necessarie per evitarne la fuga).
Nella terza fase l’autorità dell’esecuzione deve decidere28 sulla consegna dell’arrestato allo Stato richiedente. Nel caso in cui il soggetto acconsenta (è assicurata la consulenza di un consulente29 legale e di un interprete) alla consegna, la procedura si svolge immediatamente; in assenza del consenso, invece, l’arrestato ha diritto ad una audizione dinanzi all’autorità giudiziaria dell’esecuzione (art. 14). Una volta adottata la decisione, la persona arrestata deve essere consegnata al più presto allo Stato richiedente (salvi i casi di consegna rinviata o condizionale di cui all’art. 24).
L’introduzione del mandato di arresto europeo solleva altri dubbi, oltre a quelli già sinteticamente accennati, sul rispetto delle garanzie prevista dalla Carta Costituzionale e dalle disposizioni del Codice di procedura penale30.
Soprattutto non si accorda per nulla con la Costituzione italiana la stessa soppressione dell’estradizione31, espressamente menzionata nell’art. 26, che consente l’estradizione del cittadino solo se espressamente prevista dalle convenzioni internazionali e la vieta in ogni caso quando si tratta di reati politici. Si potrebbe obiettare che, in fondo, la Decisione del Consiglio equivale, più o meno, ad una convenzione internazionale. Le cose non sono però così semplici, perché non si conferisce dignità costituzionale ad una norma che abbia solo contenuto formale, e che possa essere aggirata con la semplice stipulazione di una nuova convenzione di contenuto sostanzialmente contrastante con principi fondamentali. Difatti, nemmeno le convenzioni internazionali potrebbero superare il divieto di estradizione di chiunque, anche non cittadino, per i reati politici. Questo limite è invece completamente trascurato dal Consiglio, che include fra i fatti, per i quali il mandato d’arresto europeo va automaticamente eseguito, reati di natura quanto meno potenzialmente politica come per la voce "terrorismo" o sotto la generica dizione di "razzismo e xenofobia32". Ma il discorso è più ampio. Riguarda tutti i reati, politici e non politici e le stesse fondamenta del nostro sistema penale. Il legislatore ha ritenuto necessario attribuire rilievo costituzionale all’istituto dell’estradizione, perché ne sono direttamente e immediatamente coinvolti principi fondamentali evidenziati dalla Carta nell’art. 2533, non per caso contiguo a quello riguardante l’estradizione, nella prima parte della Costituzione. Radicale ed irrimediabile la contraddizione con questi principi del mandato d’arresto europeo, in forza del quale chiunque si trova nel territorio dell’Unione può essere arrestato e consegnato all’autorità di quello che (per ora) è pur sempre un altro Stato, con un diritto penale, sostanziale e processuale, a volte profondamente diverso, su richiesta di un qualsiasi giudice34 di qualunque Stato membro dovunque sia stato commesso il fatto, incluso il territorio dello Stato di cui è cittadino, e anche se il fatto stesso sia considerato perfettamente lecito dalla legge vigente nel luogo di commissione.
Il Governo italiano, dopo aver sollevato, come detto, alcune riserve iniziali sull’ambito di applicazione del mandato di arresto europeo (di cui si è avuta ampia eco sulla stampa35), ha approvato la decisione quadro, che obbliga gli Stati membri a conformare le legislazioni nazionali alle nuove regole entro il 31 dicembre36 2003. Attualmente il Disegno di Legge ordinaria risulta fermo in discussione alla Commissione Affari costituzionali della Camera ed è quantomeno dubbio che i tempi possano essere rispettati. Appare evidente che, ove non vengano adottate entro tale data le misure necessarie per conformarsi alla Decisione, si corre il rischio, non soltanto di esporsi a una responsabilità politica a livello internazionale, ma anche di creare un vuoto di tutela per i cittadini destinatari del provvedimento di cattura europeo, emanato da uno Stato membro secondo le nuove disposizioni, non potendosi più, a partire dall’inizio del nuovo anno, ricorrere nell’ambito dell’Unione alla normativa sull’estradizione.
Con il mandato di arresto europeo si è fissata una "nuova" griglia di regole "minime" di cooperazione tra gli Stati membri in materia di trasferimento e di consegna di soggetti ricercati. Pur dovendosi apprezzare l’obiettivo perseguito, si auspica che il legislatore italiano, nel dare attuazione al mandato nell’ordinamento interno, possa assicurare, invece, un maximum standard di garanzie al destinatario del provvedimento. I tanti dubbi sollevati circa la compatibilità del mandato di arresto con i principi del nostro ordinamento devono essere affrontati e risolti in questa fase, senza che la ricerca di una maggiore efficienza possa sacrificare interessi primari della persona, o cancellare le diversità esistenti nei singoli Paesi, in particolare nel caso si tratti di interessi costituzionalmente protetti, i quali devono sempre essere salvaguardati nella costruzione del modello processuale europeo. L’impressione, concludendo, è che si "sia messo il carro davanti ai buoi" con una decisione che ha come proprio, primo, logico presupposto l’unificazione del diritto penale sostanziale37, ancora di là da venire38.
La potenza non consiste nel colpire forte o spesso, ma nel colpire giusto.
Honoré de Balzac
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Il funzionamento istituzionale del 2° e 3° pilastro dell’Unione poggia, invece, su una logica di cooperazione intergovernativa (metodo intergovernativo) caratterizzata dal ruolo preminente del Consiglio (dunque dei Governi dei Paesi membri), dal ruolo consultivo del Parlamento europeo e dal ruolo limitato della Corte di giustizia.
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In questo quadro la proposta della Commissione europea (che è all’origine di tutti gli atti comunitari), affermava chiaramente l’esigenza di «eliminare la complessità e i potenziali ritardi inerenti alla disciplina attuale in materia di estradizione» attraverso «un nuovo sistema semplificato per quanto riguarda la consegna delle persone al fine di sottoporle all’azione penale o all’esecuzione delle sentenze di condanna».
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·dell’esercizio di un’azione penale;
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Secondo tale inedito modello, la cooperazione giudiziaria nell’ambito dei paesi aderenti all’Unione si deve fondare sulla libera circolazione dei provvedimenti emanati dall’Autorità Giudiziaria competente in conformità alla propria legislazione, costituenti titoli idonei a produrre effetti anche nel territorio di Stati diversi da quello nel quale sono stati adottati, in un clima di reciproca fiducia.
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Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.
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Devo confessare che, abbastanza colpevolmente per la professione che svolgo, avevo prestato pochissima attenzione alla Decisione2 Quadro adottata dal Consiglio Ue sul "mandato di arresto europeo". E ciò che appare più sconcertante nel nostro Paese, con l’avvicinarsi del 31 dicembre 2003 (data prevista per il recepimento della normativa da parte degli Stati membri), è, da un lato la polemica (particolarmente rovente) tra i parlamentari di maggioranza e opposizione "addetti3 ai lavori" (in parallelo a giuristi e magistrati4 che sottolineano la "pericolosità" del nuovo istituto), e dall’altra la sostanziale assenza di una tematica così delicata5 dal dibattito sugli organi di informazione, e quindi nell’opinione pubblica.
Alberto Monari
Vedi i contributi di: L. Camaldo "Mandato di arresto europeo e garanzie difensive" (2002) e "Mandato di arresto europeo e diritti fondamentali" (2003) in "La Rivista del Consiglio", Ordine degli Avvocati di Milano; F. M. Agnoli "Il Mandato d’Arresto Europeo contro la Costituzione Italiana" (2001 e 2003), sul sito di "Identità Europea" Associazione culturale, www.identitaeuropea.org.
2002/584/GAI: Decisione quadro del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri – GUCE n. L 190 del 18/07/2002 pag. 1 – 18
Alcuni deputati della maggioranza si sono schierati decisamente contro l’adozione della norma e fra loro anche alcuni esponenti del governo. Il ministro della Giustizia Castelli sostiene che la norma Ue "presenta profili di incostituzionalità per l’Italia".
In particolare il Dr.Carlo Alberto Agnoli, presidente del Tribunale per i minorenni di Trento, autore di una ricerca dal titolo significativo "PROSPETTIVA GULAG: IL MANDATO DI ARRESTO EUROPEO, Costituzione addio". Anche il Consiglio Superiore della Magistratura ha espresso le sue riserve: per la funzionalità del mandato di arresto europeo «è essenziale una collaborazione tra gli Stati, che presuppone un’adeguata conoscenza dei principi generali delle rispettive legislazioni nazionali in materia penale, sostanziale e processuale» oltre che un «progressivo riavvicinamento dei sistemi giudiziari». Per combattere almeno le forme più gravi di criminalità transnazionale occorrono inoltre, avverte il CSM, norme comuni europee su reati penali, sanzioni e garanzie per imputati e indagati.
C.A.Agnoli in op.cit. scrive: "Eppure quel tema è attualissimo e di enorme importanza: esso mette in gioco la libertà non solo morale, ma anche fisica dei cittadini di tutti gli Stati dell’Unione Europea, e quindi anche la tua. Certamente quella legge se, come tutto lascia presagire, entrerà in vigore, cambierà profondamente la tua vita, forse la travolgerà…"
Secondo il Sen. Avv.Guido Calvi (DS), Capogruppo della Commissione Giustizia al Senato, le garanzie previste dalla proposta di decisione quadro appaiono idonee a tutelare i diritti fondamentali della persona sottoposta alla misura coercitiva, essendo previsto un controllo da parte dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione sui presupposti necessari per l’applicazione del mandato di cattura. In ogni caso, i diritti della difesa, nell’ambito della procedura in esame, possono essere «rafforzati», ove lo si ritenga necessario, attraverso la legge di attuazione, fugando così le preoccupazioni da più parti avanzate circa la non sufficiente tutela del cittadino destinatario del mandato di arresto europeo.
Sempre nell’ambito dell’opposizione di centro-sinistra appare solitaria la posizione dell’On.Paolo Cento (Verdi), secondo cui:«Il mandato di cattura europeo rischia di essere incostituzionale, riducendo le garanzie del cittadino previste dal nostro ordinamento giuridico. Il mandato europeo deve essere accompagnato da un codice penale europeo uniforme. La questione dello spazio giuridico europeo non può infatti determinare una limitazione delle libertà e delle garanzie individuali».
Oggi per un crimine preparato in Polonia e realizzato in Italia occorre attendere i tempi lunghi dell’estradizione per avere in manette gli ideatori responsabili e processarli insieme agli esecutori. Con il mandato di arresto europeo la cosa sarebbe quasi istantanea.
La cooperazione europea nel settore della giustizia e degli affari interni nasce con un carattere essenzialmente intergovernativo. Il Trattato sull’Unione europea, o trattato di Maastricht, firmato nel febbraio 1992 ed entrato in vigore nel novembre 1993, ha arricchito la costruzione europea introducendo nella struttura preesistente un "terzo pilastro", nel cui ambito si è sviluppata la cooperazione tra gli Stati membri in materia di giustizia ed affari interni (titolo VI TUE).
Il metodo comunitario stabilisce il modo di funzionamento istituzionale del 1° Pilastro su cui si fonda l’Unione europea ed è caratterizzato dall’azione delle quattro istituzioni comunitarie: la Commissione, il Consiglio dei Ministri, il Parlamento europeo, la Corte di giustizia, secondo le norme del Trattato istitutivo della Comunità Europea (Roma 25-3.1957), che non è stato "sostituito" da quello dell’UE, ma semmai affiancato.
A seguito degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, l’UE ha ribadito con fermezza la volontà di contrastare la criminalità organizzata transnazionale ed il terrorismo ed ha predisposto, nelle riunioni immediatamente successive a tali eventi (Consiglio straordinario Giustizia e Affari Interni del 20 settembre 2001 e Consiglio europeo straordinario di Bruxelles del 21 settembre 2001), nuove misure per il potenziamento della cooperazione di polizia e giudiziaria.
E’ il principale strumento utilizzato per il ravvicinamento delle legislazioni e regolamenti dei diversi Stati Membri. I suoi effetti sono molto simili a quelli delle Direttive adottate in ambito CE, in quanto, pur essendo vincolanti per gli Stati Membri relativamente ai risultati da ottenere, lasciano però alle competenti autorità nazionali la scelta della forma e dei mezzi da utilizzare per raggiungere gli obiettivi prefissati. I redattori del Trattato, che ben avevano presente l’evoluzione giurisprudenziale subita dalle Direttive in ambito CE hanno voluto specificare che esse "non hanno efficacia diretta"; questo significa che, a differenza delle Direttive, il cittadino non può invocare davanti al giudice nazionale l’applicazione diretta di una decisione- quadro, ma esse hanno efficacia solo nei confronti degli altri Stati membri. Essa può essere proposta su iniziativa della Commissione o di uno Stato membro e deve essere adottata all’unanimità.
La proposta risale al Consiglio dei ministri europei della Giustizia e degli Interni del 6 dicembre 2001, al termine del quale le delegazioni avevano accettato un progetto di decisione quadro. E’ stata poi adottata il 13 giugno 2002 ai sensi dell’art. 34 comma 2 lett. b) del T.U.E.
La ratio giustificatrice del mandato d’arresto europeo deve essere ricercata nella esigenza, divenuta ormai improcrastinabile, di superare ed eliminare la complessa e lunga procedura di estradizione, non più adeguata ad uno spazio senza frontiere, caratterizzato da un alto livello di fiducia e di cooperazione reciproca tra Stati.
Che sia questo l’obiettivo fondamentale della Decisione Quadro sul mandato di arresto europeo è circostanza specificatamente indicata sia nei considerando numeri 1 e 11 , sia nell’art. 31 della decisione stessa. Unica norma, quest’ultima, ad avere un valore precettivo diretto ed una forza esecutiva indipendentemente dalle leggi di attuazione che gli Stati membri si sono obbligati ad elaborare.
Per estradizione s’intende la consegna, da parte dello Stato richiesto allo Stato richiedente, di una persona ricercata o perché oggetto di una sentenza di condanna definitiva ad una pena detentiva o ad una misura di sicurezza privativa della libertà personale (estradizione esecutiva) o perché oggetto di una ordinanza di custodia cautelare in carcere (estradizione processuale). La materia dell’estradizione è disciplinata, nell’ordinamento italiano, dalla Costituzione (artt. 10 e 26); dalla legge ordinaria (art. 13 c.p. e artt. 696 – 722 c.p.p.), dalle Convenzioni internazionali e dalle norme di Diritto internazionale generale che, in base al disposto dell’art. 696 c.p.p., laddove esistenti prevalgono sulle norme di legge ordinaria. La definizione dell’istituto è contenuta negli artt. 697 comma 1 c.p.p. (estradizione passiva: consegna dall’Italia ad uno Stato estero) e 720 comma 1 c.p.p. (estradizione attiva: consegna da uno Stato estero all’Italia). Secondo l’impostazione classica, è uno strumento connotato da un elevato tasso di politicità (spesso le ragioni per le quali viene concessa sono di opportunità politica), solo in minima parte influenzato dai motivi che hanno "ancorato" lo straniero al territorio prescelto. Il potere di concedere l’estradizione è attribuito al Ministro della Giustizia, anche se condizionato dalla decisione favorevole della Corte di appello; decisione che può essere sostituita dal consenso della persona da estradare . Sia il consenso dell’estradando, sia la decisione favorevole della Corte di appello si atteggiano a condizioni necessarie del procedimento, ma non sufficienti per la concessione dell’estradizione. La decisione è, comunque, rimessa alla completa discrezionalità del Ministro della Giustizia, il quale, in mancanza di precisi criteri normativi, adotterà i criteri che riterrà più conformi all’indirizzo politico assunto dal governo nei confronti del paese richiedente.
Nelle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere dell’ottobre 1999, per la prima volta, si affermò espressamente che «la procedura formale di estradizione deve essere abolita tra gli Stati membri, per quanto riguarda le persone che si sottraggono alla giustizia dopo essere state condannate definitivamente, ed essere sostituita dal semplice trasferimento di tali persone in conformità con l’art. 6 (nel rispetto dei diritti umani n.d.a.) del Trattato»
Ogni decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto o della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini:
L’Italia, dopo aver sollevato obiezioni riguardanti l’elenco dei reati e i tempi di entrata in vigore del dispositivo, lo aveva temporaneamente bloccato. In seguito è stato raggiunto un compromesso: l’Italia ha accettato l’intero impianto della proposta così come approvata dagli altri Stati membri dell’Ue, subordinandone, tuttavia, l’applicazione "all’avvio di procedure di diritto interno per avvicinare il nostro sistema giudiziario ai modelli europei nel rispetto dei principi costituzionali." (allegato alla Decisione che precisa la posizione italiana).
C.A.Agnoli in op.cit. dice: "…all’interno di ben 32 categorie di "reato" definite in termini di sconcertante ampiezza e genericità, e quindi capaci di abbracciare una serie indefinita e indefinibile di figure "criminose", viene soppressa senza possibilità di deroga la condizione per la quale la consegna-estradizione può essere concessa solo se il fatto per cui è richiesta costituisca reato anche per la legge italiana (o del Paese membro richiesto): cosiddetto "principio della doppia punibilità…" (tipico principio della vecchia estradizione). La giurisprudenza italiana ha evidenziato che esso costituisce una fondamentale garanzia per la persona di cui si chiede la consegna, e quindi la sua abolizione, per le fattispecie di reato indicate, sembra comportare un "rilevante sacrificio dei diritti della difesa" (per di più la lista di questi reati può essere "in qualsiasi momento" incrementata dal Consiglio).
"nullum crimen, nulla poena sine previa lege", art.25 Cost., 2°comma. La verifica se il fatto per cui è richiesto il mandato sia riconducibile o meno a una ipotesi di reato indicata nell’elenco appare particolarmente complessa, poiché le fattispecie elencate nell’art.2 sono prive dei necessari requisiti di tassatività e di completezza della norma penale, essendo categorie generali e non già vere e proprie figure di reato. Il rischio che si corre è di operare una restrizione della libertà personale anche con riferimento a fatti che non costituiscono reato per l’ordinamento interno, in aperto contrasto con il principio della riserva di legge in materia penale (il parere autorevole è di V.Caianello e G.Vassalli).
Ed è un fatto assolutamente inedito, nell’ampio panorama della cooperazione tra gli Stati membri, che una fonte sopravvenuta non concorra con quelle preesistenti ma finisca per abrogarle espressamente.
Disciplinata in Europa dalla Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 e dai Protocolli addizionali del 1975 e del 1978, cui le norme del Codice di procedura penale, ricordate sopra, si adeguano.
La nuova disciplina introdotta dalla decisione quadro costituisce una delle prime applicazioni del principio di reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie da parte degli Stati membri, affermato nella Convenzione di Bruxelles del 29 maggio 2000 sulla assistenza giudiziaria in materia penale, in conformità al titolo VI del Trattato dell’Unione europea, relativo allo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia.
Dopo il primo accordo tra i cinque paesi fondatori (Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi), firmato il 14 giugno 1985, è stata elaborata una convenzione, firmata il 19 gennaio 1990 ed entrata in vigore nel 1995, che ha permesso di abolire le frontiere interne tra gli Stati firmatari e di creare una frontiera esterna unica lungo la quale i controlli all’ingresso nello spazio Schengen vengono effettuati secondo procedure identiche. Sono state adottate norme comuni in materia di visti, diritto d’asilo e controllo alle frontiere esterne onde consentire la libera circolazione delle persone all’interno dei paesi firmatari senza turbare l’ordine pubblico.
Sistema d’informazione Schengen (SIS) La rete automatizzata creata, non senza difficoltà tecniche, all’interno del dispositivo Schengen permette a tutti i posti di polizia e a tutti gli agenti consolari degli Stati che hanno aderito allo spazio Schengen di disporre dei dati riguardanti le persone segnalate e gli oggetti/ veicoli ricercati.
Cioè se: "se in base ad informazioni in possesso dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione risulta che la persona ricercata è stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti da uno Stato membro a condizione che, in caso di condanna, la sanzione sia stata applicata o sia in fase di esecuzione o non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato membro della condanna;" art.3, 1°par.n.2 Decisione Quadro 2002/584 GAI.
Va da sé che la decisione è rimessa alla mera, insindacabile discrezionalità dell’Autorità Giudiziaria del Paese che deve provvedere all’estradizione, della bontà della quale tutti i cittadini Europei devono avere massima "fiducia"…
Colpisce il termine inedito "consulente legale" al posto di quello usuale in procedura penale di "difensore", il legislatore europeo si rende conto che se il soggetto arrestato può essere accusato per un fatto che non è considerato reato dalla legge del Paese in cui si trova (si ricorda che almeno per le 32 figure criminose riportate sopra non vi è necessità di doppia imputazione), un difensore "tecnico" avrà ben pochi argomenti…
Sembra essere stato sovvertito il principio generalmente riconosciuto secondo cui la richiesta di arresto si esegue dopo essere stata vagliata dall’autorità giudiziaria, mentre nella Decisione si stabilisce un «automatismo» nell’esecuzione dell’arresto a seguito della sola richiesta (v. art. 1, «obbligo di eseguire il mandato di arresto») a cui segue, in seconda battuta, la valutazione dei presupposti dell’arresto stesso. Inoltre non si può dimenticare che nelle conclusioni del vertice di Tampere il ricorso al mandato di arresto europeo era previsto soltanto per l’esecuzione di sentenze di condanna definitive, mentre ora si estende a qualsiasi misura (anche preventiva) di limitazione della libertà personale.
Il sistema dell’estradizione rimane in vigore nei rapporti coi Paesi terzi extracomunitari. E’ evidente che la sovrapposizione di più modelli differenziati "estradizionali", oltre a creare una chiara difficoltà interpretativa, comporta la creazione di diverse procedure a velocità differenziata. Una sorta di doppio o, addirittura, multiplo binario, che può diventare quasi uno stimolo alla fuga verso quegli Stati "rifugio", intesi quali "paradisi" che consentono procedure di trasferimento assai più complesse e lunghe.
Né varrebbe dire a titolo di giustificazione, che si tratta di reati particolarmente odiosi. Per rendere possibile l’estradizione per un reato immensamente più grave, quale è il genocidio, si è dovuto fare ricorso ad una Legge Costituzionale (legge 21/6/1967 n. 1).
"Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.
Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge".
Disposizioni che annullano la garanzia del giudice naturale, perché, se è vero che giudice naturale è quello determinato dalla legge e che la competenza ad emettere il mandato d’arresto è attribuita a tutti i giudici europei da una legge (quella europea ed eventualmente quelle interne di ricezione), la garanzia si svuota di ogni significato se la norma individua una moltitudine di giudici naturali. Si potrebbe dire: tutti giudici naturali, nessun giudice naturale.
Tale resistenza è stata ascritta principalmente, se non esclusivamente, alla preoccupazione dell’attuale Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, di poter venire processato da qualche tribunale europeo per i suoi affari passati. Questa inconfessabile preoccupazione avrebbe indotto lo stesso Berlusconi e i suoi alleati ad ostacolare un’importante tappa del processo di unificazione dell’Europa per motivi bassamente personali e partitici. Pur non escludendo che questi motivi possano aver avuto un peso nell’atteggiamento del Governo Italiano, esso ha certamente considerato tale riforma legislativa, conoscendone i contenuti e valutandone gli effetti per il nostro Paese.
Il numero dei Paesi che rispetteranno la scadenza del 31 dicembre 2003 di allarga. Oltre a Danimarca, Spagna e Portogallo, i tre che si sono già adeguati alla nuova procedura giudiziaria, spiccano altri sei paesi che sono a buon punto nel recepimento: Lussemburgo, Svezia, Finlandia, Francia, Germania e Regno Unito. Anche Belgio e Irlanda si stanno dando da fare e non è da escludere che riescano a rispettare la data stabilita. Se alcuni degli attuali Stati membri stentano ad adeguarsi alla normativa europea in materia, lo stesso non potrà accadere per i dieci Paesi che aderiranno all’Unione europea il prossimo anno. Questi Stati dovranno aver integrato la misura nel proprio corpo legislativo entro il primo maggio 2004.
Il mandato di cattura europeo è stato introdotto prima che vi sia una Costituzione europea, che si siano uniformate le diverse previsioni di reato, addirittura che esista una magistratura europea e un organo europeo simile al nostro "tribunale del riesame", non per nulla chiamato, fin che si vuole impropriamente, ma significativamente, "tribunale della libertà". Di conseguenza l’intera attività giudiziaria connessa al mandato di cattura europeo dovrà essere affidata per un periodo di durata indefinita, ma certamente non breve, ai magistrati dei vari stati membri, che, in particolare per quanto riguarda la collocazione e l’indipendenza dei magistrati dell’accusa (i pubblici ministeri), presentano ordinamenti assai diversi fra loro, poteri diversi e diverse garanzie, a cominciare dai gradi di giudizio, due nella maggior parte dei paesi, tre in Italia, dove vige la regola costituzionale della presunzione di innocenza fino alla condanna definitiva, cioè fino alla pronuncia, in terzo grado, della Corte di Cassazione.
Nemmeno ci rassicura l’ultima parte del "considerando" 12, nella quale si legge: "La presente decisione quadro non osta a che gli Stati membri applichino le loro norme costituzionali relative al giusto processo, alla libertà di associazione, alla libertà di stampa e alla libertà di espressione negli altri mezzi di comunicazione". In sostanza la decisione-quadro non modificherebbe, almeno per quanto riguarda l’Italia, se non nel nome, la situazione pre-esistente. Tuttavia le norme equivoche sono le più pericolose e nessuno ci garantisce che fra una "premessa" e un "precetto" non sia quest’ultimo a prevalere.