Creare e distruggere identità
Contro l’identità di Francesco Remotti è un esempio molto valido di teorizzazione della creazione identitaria quale fattore culturale.
Chi siamo noi? Cosa non siamo? Qual è la nostra identità? Cosa vogliamo rappresentare e in che modo poniamo in essere questa rappresentazione? L’uomo è un essere biologico incompleto, è per questo motivo che si manifesta il suo bisogno di creare identità per ogni oggetto o persona che fa parte del suo mondo; in questo modo egli riempie le manchevolezze della natura, i suoi buchi biologici. Questa operazione di restauro si attua attraverso la cultura, che sopperisce alle pecche naturali, completando l’essere uomo. La creazione di identità è un processo che si iscrive nel continuo “pendolare” tra strutturazione stabile e flusso continuo del mutamento.
Tale identità culturalmente appresa diventa un fenomeno creato dalla messa in essere di ben specifiche scelte, di una peculiare e studiata classificazione del mondo, di un’accettazione di alcuni concetti, e di conseguenza, di una negazione di altri; un continuo compromesso tra essere e divenire. L’identità – dice Remotti molto chiaramente – non inerisce all’essenza di un oggetto; dipende invece dalle nostre decisioni. L’invenzione identitaria, perché di una invenzione e falsificazione non può che trattarsi, ha sempre a che fare con il tracciare confini, la cui continua valutazione e rinegoziazione, creare la messa in scena di un’identità definibile; dando origine ad una “realtà” culturalmente accettata che presuppone un continuo bilanciarsi tra separazione e assimilazione, tra trascurare ed accettare, una continua reinvenzione delle categorie, un continuo reinserire
esseri ed oggetti all’intero di tabelle e gruppi separati artificialmente. Ma proprio la creazione di realtà altre, frutto della separazione del noi dal resto del mondo, fa nascere il concetto di Alterità, concetto che sta alla base di tutta la teoria Remottiana. L’Altro è infatti ciò che fa da sfondo all’uno, e vi si intreccia intrinsecamente. Senza l’Altro non potrebbe esistere il noi, senza opposizioni e separazioni non può definirsi un confine che pone l’accento, appunto, sulle differenze identitarie.
Per riassumere il concetto, l’esistenza di un’Alterità permette il modellamento di una “nostranità” e l’opposizione continua tra queste due personalità distinte, rafforza entrambe. L’una si separa dall’Altra ed allo stesso tempo ne assimila caratteristiche; si discosta e si avvicina creando quel continuo oscillare tra flusso in mutamento e struttura stabile che permette appunto la messa in scena continua del processo di creazione dell’identità; ha così origine la MASCHERA, simbolico segno identitario.
Creare un’identità è un mezzo per opporsi e adattarsi alle risorse di un determinato gruppo/periodo, allo stesso tempo tale creazione è un obiettivo, non più solo un mezzo, ed in quanto tale è perseguito costantemente dal popolo che vi appartiene. Ciò che impedisce a questo processo di fossilizzarsi in un fallimento strutturato è il confronto continuo con l’alterità che nutre, e di cui si nutre costantemente, grazie ai continui processi di rinegoziazione. Questa teoria dimostra, inoltre, come sia impossibile utopicamente realizzare un’identità statica, pura e immutabile e, di conseguenza, quanto siano impossibilitati all’esistenza i concetti “razziali” che negli anni, politicamente e spesso dal punto di vista religioso, hanno dato origine a conflitti sanguinosi e, tutto sommato, inutili al fine di creare la propria identità.
Attraverso l’analisi si possono ripercorrere le tappe della creazione di ogni “identità” ed analizzare le scelte formative e il ventaglio di possibilità utilizzate e scartate dall’essere che si veste di tali “caratteristiche”. Si possono quindi analizzare le molteplicità, le opposizioni, ed i confini che hanno dato origine a questo e non a quel tipo di culturalità, e viceversa.