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Il Patteggiamento Allargato

13 min read

Abbiamo davanti agli occhi i peccati degli altri uomini,
ma i nostri li portiamo sulla schiena.
Seneca

La centralità del "dibattimento2", sede naturale di formazione della prova nel contraddittorio delle parti, è l’esaltazione del sistema accusatorio3. Tuttavia, il costo del dibattimento, in termini di mezzi e strutture, costituisce un limite alla sua praticabilità ad ogni ipotesi di processo: se tutti i procedimenti dovessero confluire nel dibattimento si rischierebbe una paralisi ancora più drammatica di quella che già connota la macchina giudiziaria italiana.
A limitare l’inflazione dei dibattimenti sono stati previsti dal nuovo
codice di procedura penale4 i riti speciali che, con procedure semplificate, sono destinati a definire la maggior parte dei procedimenti, permettendo di evitare alcune fasi.
Così nel giudizio direttissimo e immediato è assente
l’udienza preliminare5, mentre la stessa fase dibattimentale manca nel giudizio abbreviato e nella pena applicata su richiesta delle parti.
L’
applicazione della pena su richiesta delle parti6 in particolare (istituto meglio conosciuto come, patteggiamento), ha rappresentato la grande scommessa del legislatore del 1988 per deflazionare il rito ordinario: l’essenza del meccanismo vede le parti (pubblico ministero7 ed imputato8), che propongono una soluzione nel merito (precisamente una pena di un certo tipo ed entità), e il giudice9 decide se applicarla come da richiesta o no.
Per scendere nei dettagli, prima della modifica al codice di procedura, introdotta dalla legge 12 giugno 2003, n.
13410, l’articolo 44411 C.P.P. prevedeva che imputato e P.M. si accordassero (solitamente su richiesta dell’imputato), per l’applicazione di una pena che, calcolando l’incidenza delle circostanze12 e con la riduzione fino ad un terzo di quella che sarebbe stata applicabile normalmente, non doveva superare i due anni di reclusione o di arresto.
Ovviamente l’imputato era indotto ad accettare questa condanna senza processo, causa la mitezza della pena e di un congruo complesso di vantaggi aggiuntivi (oltre alla riduzione di pena, all’imputato condannato spettano altri benefici, quali l’esonero dal pagamento delle spese processuali, il divieto di applicazione di pene accessorie o misure di sicurezza (eccetto la confisca obbligatoria), e l’inefficacia della sentenza agli effetti civili o amministrativi.
Con la richiesta di applicazione della pena l’imputato non deve dichiarare la sua responsabilità per i reati contestati, ma implicitamente rinuncia a far valere le eventuali prove a discarico e le altre difese che sarebbero incompatibili con l’accettazione della sanzione
patteggiata13.
Il presupposto indefettibile del patteggiamento è però unicamente la volontà dell’imputato, potendo il mancato consenso del P.M., se ingiustificato, essere superato dal Giudice. Infatti, il dissenso del P.M. (che a differenza di quello dell’imputato deve essere sempre motivato), vale solo a trasferire la decisione sulla concessione del premio al Giudice dibattimentale, che potrà essere d’accordo con il P.M., oppure applicare egualmente, all’esito del dibattimento, lo sconto di pena.
Il Giudice, nell’adottare la decisione, dovrà anzitutto verificare che non ricorrano le condizioni per il
proscioglimento14, quindi dovrà controllare se la qualificazione giuridica15 del fatto e l’applicazione e la comparazione delle circostanze16 prospettate dalle parti sono corrette. Rimane pur sempre la possibilità, per il giudice, di rigettare la richiesta delle parti, qualora la pena proposta appaia non congrua ai fini della rieducazione del condannato (art. 27, 3° comma, Costituzione). In particolare, la decisione del magistrato giudicante avviene sulla base degli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento e di quello del pubblico ministero, mentre è da escludersi qualsiasi acquisizione o produzione probatoria (proprio perché questa fase, per la natura stessa del rito, viene omessa).
Il legislatore del giugno 2003 ha ritenuto di ampliare decisamente la pena patteggiabile, vuoi per dargli nuovo impulso alla luce di una applicazione deludente rispetto alle aspettative, vuoi, più probabilmente, per accentuarne la capacità deflativa sulla macchina della giustizia.
Mentre il "vecchio" patteggiamento (quello con pena fino a due anni, sola o congiunta a pena pecuniaria), rimane istituto di generale applicazione, per il quale non si configurano limiti soggettivi o per tipologia di reato, il nuovo patteggiamento che ricomprende pene in concreto tra i due anni e un giorno di pena detentiva e i cinque anni (anche se vi è pena pecuniaria), è riservato a imputati "virtuosi", nel senso che detto patteggiamento allargato non è permesso agli imputati di fatti di criminalità organizzata o di terrorismo (art. 51 commi 3 bis e 3 quater C.P.P.) e a coloro che in precedenza siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali, per tendenza o
recidivi17.
L’aver concordato una pena in concreto tra i due ed i cinque anni di pena detentiva fa anche venir meno la gran parte dei vantaggi ricollegati al "normale" patteggiamento (esenzione delle spese del procedimento; non applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della
confisca18), di cui si diceva sopra, dunque in definitiva, il vero profilo premiale ricollegato al "patteggiamento allargato" è la certezza della entità della pena (non superiore ai cinque anni), e nella riduzione fino a un terzo per la mera scelta del rito: riduzione della pena che allarga l’ambito di applicazione dell’istituto a reati puniti con pene medio-alte, in precedenza destinati a beneficiare, a richiesta dell’imputato, del giudizio abbreviato o a passare attraverso il più pesante rito ordinario.
L’istituto, così come viene riformato, appare sicuramente deflattivo del carico di lavoro penale ma, inevitabilmente, spinge la
parte civile19 fuori del processo penale anche con riguardo ai più gravi reati oggi patteggiabili, perché è rimasta ferma la regola per la quale il giudice penale non può pronunciarsi sulla pretesa civilistica (art. 444 comma 2 C.P.P.), motivo per cui la persona danneggiata dal reato dovrà esercitare l’azione civile in sede civile. Vi saranno, in definitiva, più processi civili.
Questo è forse l’aspetto più "rischioso", a parere di chi scrive, del patteggiamento allargato e se tale fosse l’approccio prevalente al nuovo istituto (assieme ad altri aspetti più prettamente tecnici, come ad esempio sulla necessità per gli enti pubblici di continuare l’oneroso dibattimento penale anche quando il proprio dipendente imputato sceglie il patteggiamento), verosimilmente la sua incidenza sull’efficienza del sistema giudiziario sarebbe alquanto ridotta. Se, viceversa e come il legislatore auspica, il patteggiamento riscuoterà un buon successo anche nella versione "allargata", bisognerà prendere atto ancora di più che il "
giusto processo20", con tutte le sue garanzie, i suoi meccanismi articolati e i suoi tempi rallentati "ragionevolmente21", diventerà una procedura non normale, ma elitaria, riservata ai pochi che possono permettersi i costi e i tempi della giustizia ordinaria.

Alberto Monari

"Scusi, avvocato, a quanto ammonta la sua parcella per una consultazione?"
"50 dollari ogni tre domande". "Non le sembra una tariffa molto cara?"
"Sì. Ora mi faccia pure l’ultima domanda"
Michael Rafferty





1
Nell’immagine una delle porte interne della casa circondariale di Milano, foto di Roby Shirer, dalla sezione immagini del sito www.ildue.it, "net magazine di San Vittore"

2
Il termine designa la fase centrale del processo penale. Va dalle formalità di apertura del dibattimento, in cui si controlla la rituale (cioè regolare), costituzione del rapporto processuale, alla deliberazione della decisione, cioè l’emanazione della sentenza. È il momento del processo in cui, per l’oralità e pubblicità del suo svolgimento, si dà la massima attuazione al principio della parità delle parti innanzi al giudice. Il momento più rilevante è quello della istruzione in cui si forma la prova.

3
Nel sistema processuale penale accusatorio, il rito corrisponde all’ideale configurazione di un triangolo che vede al vertice il giudice e ai due lati accusa e difesa, in posizione contrapposta, su un piano paritario di facoltà e diritti. La decisione del giudice si fonda sulla semplice valutazione delle prove fornite dalle parti. L’accusa (in origine parte privata, poi organo pubblico, Pubblico Ministero), avendo l’onere di produrre le prove, stante la presunzione di innocenza dell’imputato, rectius "di non colpevolezza", ne raccoglie nella fase pre-processuale gli elementi e le fonti. L’accusato ha il diritto di sindacare le prove di accusa, nel momento della loro acquisizione in dibattimento, soprattutto mediante il c.d. controinterrogatorio (cross examination nel processo anglosassone), che gli permette un esame diretto della fonte di prova.
Nel sistema inquisitorio puro mancano pubblicità e oralità: il processo è scritto e segreto, la figura del giudice è dominante, assorbendo le due funzioni dell’inquisizione e del giudizio; fanno capo ad esso la ricerca, l’acquisizione e la valutazione delle prove. Di fronte al giudice-accusatore non è concepibile una parità (anche solo nel contraddittorio), tra accusa e difesa. Storicamente questo sistema fu adottato per l’esigenza che i colpevoli non sfuggissero alla punizione in mancanza della accusa privata.
Il sistema misto è, invece, caratterizzato dalla combinazione dei caratteri del sistema accusatorio ed inquisitorio, nello sforzo di conciliare le esigenze sociali di repressione dei reati (privilegiate dall’inquisitorio), con quelle individuali della garanzia dell’accusato. Generalmente, a questo fine, si prevede una fase di istruzione pre-dibattimentale ispirata al sistema inquisitorio e di una fase di giudizio con elementi tipicamente accusatori.
Il sistema italiano, diversamente dall’abrogato Codice di Procedura Penale di tipo misto (risalente agli anni ’30, conosciuto come "Codice Rocco" dal nome del Ministro di Giustizia dell’epoca), dovrebbe guardare al modello accusatorio, da quando (1989), è entrato in vigore del nuovo codice di procedura. "Ma il miraggio del rito accusatorio dura molto poco: tanto quanto l’illusione di poter contare finalmente, conclusa la stagione del Codice Rocco sempre più consunto e rattoppato, su un corpus normativo sicuro e durevole". Le modifiche legislative via via succedutesi (come quella in esame), in aggiunta alle non poche sentenze della Corte Costituzionale che hanno dichiarato la illegittimità di molti articoli o brani di articoli, hanno profondamente alterato la fisionomia del sistema, "…il modello accusatorio del codice vigente… si è convertito in qualcosa che non si sa più, o non si sa ancora, come chiamare". Cfr: Siracusano-Galati-Tranchina-Zappalà "Diritto Processuale Penale", vol.primo, II° ediz. Giuffrè ed., Milano1996, pag.44.

4
D.P.R. 22 settembre 1988, n.447. Approvazione del codice di procedura penale, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n.250 del 24/10/1988, S.O.n.92.

5
Questa è considerata inutile per la particolare evidenza della prova (in caso di arresto in flagranza ovvero di confessione dell’imputato), e comporta la celebrazione immediata (o nei termini di 15 giorni dall’arresto o 90 per il giudizio immediato), del dibattimento.

6
V. le opinioni di Piermaria Corso (già docente nelle Università di Siena e Macerata, è attualmente professore ordinario di Procedura penale nell’Università di Parma e docente nella Scuola di Specializzazione per le professioni legali), in "IL PATTEGGIAMENTO "ALLARGATO" e "LA DISCIPLINA TRANSITORIA DEL C.D. PATTEGGIAMENTO ALLARGATO", apparsi sul sito della casa editrice "La Tribuna" di Piacenza, www.latribuna.it

7
Nel vigente sistema processuale, come detto, il Pubblico Ministero rappresenta una figura indefettibile, dapprima in qualità di soggetto necessario e poi di parte essenziale del processo, in posizione dialettica con la difesa.
Nella fase pre-processuale il P.M. è il dominus delle indagini preliminari, per la cui conduzione si serve della polizia giudiziaria, di cui ha la disponibilità e la direzione. In tale fase il P.M. riveste, in preminenza, una funzione inquirente: acquisita la notizia di reato compie, infatti, atti investigativi della più varia natura, al fine della ricostruzione dell’esatta dinamica del fatto-reato e dell’individuazione dell’autore dello stesso.

8
Imputato: è la persona fisica nei confronti della quale il P.M. promuove l’azione penale.
Il codice del 1988 ha voluto chiarire ogni dubbio sul momento dell’assunzione della qualità di imputato, distinguendo tale figura da quella del semplice indagato, ossia il soggetto che è sottoposto alle indagini preliminari (senza che ancora si siano raccolti gli elementi di accusa sufficienti per rinviarlo a giudizio). La terminologia di indagato appare più coerente con il sistema accusatorio, considerato che nella fase delle indagini preliminari non si acquisiscono prove né frammenti di esse, fenomeno riservato alla fase del dibattimento.

9
Il giudice è un soggetto processuale i cui poteri e le cui facoltà lo collocano, nell’ambito procedimentale e processuale, in una posizione di terzietà ed imparzialità rispetto agli altri soggetti del processo e, sotto il profilo «esterno», in una posizione di autonomia ed indipendenza nei confronti degli altri poteri dello Stato: è infatti, soggetto solo alla legge, così come statuisce l’art. 101 della Costituzione.

10
Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 136 del 14 giugno 2003- in vigore dal 29 giugno 2003:
MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA PENALE IN MATERIA DI APPLICAZIONE DELLA PENA SU RICHIESTA DELLE PARTI.

11
Art.444 C.P.P. (Vecchio testo). Applicazione della pena su richiesta.
1. L’imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l’applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera due anni di reclusione o di arresto, soli o congiunti a pena pecuniaria…

12
Circostanze del reato: sono elementi accidentali od accessori del reato, non necessari per la sua esistenza, ma che incidono sulla sua gravità, rilevando ai fini della determinazione della pena. Le circostanze del reato speciali sono quelle che determinano l’applicabilità di una pena di specie diversa (detentiva o pecuniaria), da quella prevista per il reato base. Le circostanze del reato ad effetto speciale sono quelle che importano un aumento od una diminuzione della pena superiore ad un terzo (artt. 59 ss. c.p.).

13
Da notare, infine, che la sentenza non ha natura di condanna, ma preciserà che vi è stata la richiesta delle parti e sarà equiparata ad una sentenza di condanna (art.445 C.P.P.).

14
Se il giudice riconosce che "il fatto non sussiste, che l’imputato non lo ha commesso, o che il fatto non costituisce reato, o non è previsto dalla legge come reato o che il reato è estinto, o manca una condizione di procedibilità" deve dichiarare il proscioglimento con sentenza in ogni stato e grado del processo (art.129 C.P.P.).

15
Qualificazione giuridica: indica l’operazione interpretativa finalizzata ad individuare la categoria astratta prevista da una norma nella quale ricondurre una particolare fattispecie concreta, in modo da identificare la disciplina applicabile.

16
Comparazione delle circostanze: qualora concorrano più circostanze di valenza diversa (aggravanti e attenuanti, ancorché generiche), il giudice deve procedere al c.d. giudizio di bilanciamento, cioè, in relazione alla globale valutazione del fatto e alla personalità del suo autore, decidere se vi sia equivalenza fra le circostanze di segno opposto (sicché, elidendosi a vicenda, il reato non viene più considerato circostanziato sub specie poenae), ovvero taluna sia prevalente (per cui essa sola assumerà rilievo ai fini della quantificazione della pena).

17
Art.444 C.P.P.(nuovo testo) Applicazione della pena su richiesta.
1-L’imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l’applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria.
1-bis. Sono esclusi dall’applicazione del comma 1 i procedimenti per i delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, nonché quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per tendenza, o recidivi
ai sensi dell’articolo 99, quarto comma, del codice penale, qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria.

18
Confisca: è una misura di sicurezza a carattere patrimoniale, consistente nell’espropriazione, a favore dello Stato, di cose collegate al reato, secondo uno dei criteri di relazione indicati dall’art. 240 c.p. (strumentalità, destinazione, produzione etc).

19
Il patteggiamento, pur non contenendo un’espressa ammissione di colpevolezza come detto, presuppone almeno l’accettazione della responsabilità. L’imputato non avrebbe mai interesse alla scelta di questo rito, in particolare, se la parte civile potesse avvalersi della sentenza e basare su questa la propria domanda di risarcimento. Per legge, quindi, è stata esclusa l’efficacia civile della sentenza penale in questione. Pertanto, la parte civile non ha veste per opporsi, né all’adozione del rito, né alla misura della pena patteggiata che hanno riguardo solo alla pretesa penale, cui essa è estranea. Il giudice non decide sull’azione civile, che può autonomamente proseguire nella sua naturale sede.
Per quanto riguarda la condanna alle spese sostenute dalla parte civile l’art. 32 della l. 16-12-1999, n. 479 ha recepito quanto espresso dalla Corte Cost. nella sent. del 12-10-1990, n. 146, che non ha ritenuto legittimo addossare alla parte civile anche le spese della sua costituzione, in quanto la chiusura del procedimento penale non dipende da una sua determinazione.

20
Art. 111 Costituzione.
La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.
Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.
Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo.
Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore.
La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita.
Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.
Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.
Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.

21
Si richiama in particolare, la previsione dell’art.5 della l.134/2003 in esame, che, al fine di rendere applicabili i vantaggi del rito riformato anche ai processi in corso, prevede che l’imputato (o il suo difensore), possano richiedere una sospensione del processo, per un periodo non inferiore ai 45 giorni, per poter meglio "valutare l’opportunità della richiesta" della pena patteggiata. Questa "lunga" sospensione del rito, apparentemente pesante per i processi italiani già lenti per loro natura, è stata voluta dal legislatore nella convinzione che il possibile risparmio nella durata del processo, che si avrebbe con la scelta del patteggiamento, valga questo differimento, ritenuto senza dubbio "ragionevole", dunque conforme ai principi del "giusto processo", di cui all’art.111 della Costituzione, citato sopra.

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