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– Fred Allen: “Non capisco perché una persona impiega un anno a scrivere un racconto quando ne può comprare uno per pochi dollari”.
– Vassilisi Alexakis: “Penso che vi siano troppi romanzi polizieschi e non abbastanza omicidi.
Jorge Luis Borges: se scrivo qualcosa penso di avere il diritto di correggerlo un quarto d’ora dopo. E perché non un quarto di secolo dopo?”.
– Charles Baudelaire: “In ogni scrittore c’è un uomo mancato”.
– Brendan Behan: “I critici sono come i castrati di un harem: sanno come si fa, lo vedono fare tutti i giorni, però non sono capaci di farlo”.
– Roy Campbell: “Le traduzioni, come le mogli, di rado sono fedeli se posseggono una qualche bellezza”.
– Raymond Chandler: “Se i miei libri fossero stati peggiori non sarei stato invitato a Hollywood, e se fossero stati migliori non ci sarei mai andato”.
– Jacques Chardonne: “La letteratura è una religione: ha pochi fedeli ma molti preti”.
– Maurice Chapelan: “Uno scrittore non legge gli altri scrittori; li sorveglia”.
– Umberto Eco è come una di quelle femministe che non rinuncia a tenere la bocca chiusa. Si agita nei circoli e nei salotti, ma la sua femminilità non sta a paragone con una donna velata e sensuale, o come uno scrittore che si esprime fra le righe ed esercita richiami per lui inimmaginabili.
– I pensieri creativi si possono conservare scrivendoli, non sono come le erezioni della gioventù.
– C’è già un’opinione per tutte le cose. Le persone comuni sono private del pensiero. Se pensano, il loro pensiero è svalutato, perché sempre appare di seconda mano. Molti, per dare valore al proprio pensiero, lo portano alle estreme conseguenze, finendo nell’assurdo.
– Bisogna essere tiranni per apprezzare la libertà, essere illuminati dalla morte per apprezzare la vita, essere venuti dalla terra per apprezzare il lavoro, essere venuti dal niente per godere del danaro, essere scrittori per capire l’esistenza.
Insomma, mi sia consentito, per concludere, un paragone. Come nella religione si crede, senza reali presupposti di riscontro che non siano visioni schizofreniche di invasati, all’Assoluto, così avviene nella letteratura. Un romanzo è come un uomo. Non ci sono capolavori come non ci sono uomini perfetti, i cosiddetti santi. Anche il santo più perfetto ha i suoi difetti, come un capolavoro, e quando pure fosse perfetto, sarebbe comunque nato da un delitto imperfetto o atto di orgoglio, che è, nel santo, di credere che la vita perfetta sia un bene perseguibile e nel non rendersi conto che già all’atto del concepimento ha commesso un crimine uccidendo gli altri esseri che non si sono mossi abbastanza velocemente per fecondare l’ovulo che lui ha fecondato, e nel romanzo perché si ritiene che l’arte possa illustrare e, anzi, superare la vita. Bene, questo era un passo abbastanza confuso, che andava sviluppato meglio. Però, se mi fossi dilungato nella sua spiegazione, forse avrei perduto l’interesse del lettore, perché la filosofia non è un oggetto facile da trattare. Invece, buttando là delle affermazioni e stuzzicando l’intuito di chi legge, posso aver ottenuto di conservare la sua attenzione e di avergli messo la pulce nell’orecchio.
Insomma, c’è qualcosa di misterioso nella scrittura che ci può attrarre anche se non chiaramente espressa. Esempio: in una persona ci colpiscono piuttosto alcuni particolari, la maniera di camminare, un modo insolito di sorridere o di chiudere gli occhi, il modo di parlare. Invece, una ragazza può essere una bellezza perfeta ma fredda. Cioè, nel codice della scrittura e della bellezza, accentriamo la nostra attenzione su manifestazioni particolari, per cui la narrativa, il romanzo, la bellezza, possono essere non soggetti a vincoli di pura logica, come la filosofia e la scienza.
So già, inoltre, che qualcuno storcerà il naso a questa mia ricognizione. Quel qualcuno (un critico?) deve sapere che solo gli imbecilli credono nell’eternità, sia della vita che del romanzo. E poi, io sono un professore, per me ha valore quello che riesco ad insegnare.
E a qualcuno che sta pensando che vi siano troppe citazioni, ricordo un famoso saggio di Walter Benjamin (‘L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica’), in cui dichiara che il libro ideale è un libro di citazioni.