I LUNEDÌ AL SOLE
Il tema del lavoro è qualcosa di costante nella cinematografia europea, sembra che esista una linea sottile che lega regioni apparentemente distanti fra loro, che combattono ancora per ottenere quella dignità regolarmente negata a chi si fregia oggigiorno del poco invidiabile titolo di operaio. In questo film spagnolo di Fernando Leon De Aranoa, siamo in Galizia, all’indomani della grave crisi dei cantieri navali, con conseguenti licenziamenti determinati anche dalla rottura dell’unità sindacale, ma potremmo essere ovunque, in qualche città mineraria inglese, nella piccola e media industria francese, sui porti baltici, in qualche isolata regione dell’est, oppure nelle recenti vicende di casa nostra con la desolante situazione degli operai della Fiat. Film europeo quindi nel più ampio senso del termine, le cui problematiche non si limitano ad un particolare periodo temporale, ad una zona ristretta, od ad un piccolo strato sociale. Pone sul piatto questioni comuni a tutti i governi ed un futuro economico da ripensare a tempi brevissimi.
La pellicola parte proprio dalla fine, dalle immagini televisive di repertorio degli scontri fra operai del porto e polizia. È da qui che persone rimaste senza la loro fonte di reddito si devono reinventare la loro quotidianità. Sono personaggi "normali", padri di famiglia, qualcuno è sposato, qualcuno no, qualcuno è immigrato, tutti sono ex,

Qualcuno ovviamente cede, lascia la "partita", marca il passo, non più supportato dallo spirito o da una famiglia stanca anch’essa di aspettare che le cose cambino. Sembra un film di Ken Loach, e per molti aspetti lo è, ma a differenza del regista inglese in cui spesso le situazioni drammaticamente esplodono in una catena di eventi che porta sempre al peggio, in questa pellicola si rimane come sospesi. I personaggi marcano aspetti drammatici ma anche involontariamente comici, la rabbia e la disperazione è stemperata dall’unione nei momenti più bui, che porta comunque a considerarsi ancora compagni pronti agli sfottò o a vivere situazioni paradossalmente comiche. Santa, interpretato da uno straordinario Javier Bardem, grande attore spagnolo capace nel corso degli anni di abbandonare la sua veste originale di sex simbol per trasformarsi, anche fisicamente, ed affrontare pellicole di grande spessore interpretativo, incarna e sintetizza nel suo personaggio tutte i pregi e le contraddizioni di questa situazione: ribelle, pronto a non cedere alle situazioni grottesche di chi, forte della legge, lo vuole umiliare, mascalzone, donnaiolo, ma anche filosofo e lucidamente interprete delle chiavi politiche e sociali che li ha proiettati nella loro perdente posizione, uno che sogna l’Australia come luogo di riscatto, ma senza esserne poi tanto convinto. È un’umanità lasciata a metà, nell’incertezza del proprio futuro, proprio come nell’immagine delle partite di calcio "rubate" di cui vedono sempre e soltanto una parte del campo, che non può scegliere da che parte nascere, obbligati dagli eventi ad essere cicale piuttosto che formiche, e ritrovarsi al largo della propria vita, immobili spettatori in attesa di un cambiamento, al sole di un lunedì mattina.
Solo per la cronaca, questo film è stato insignito di numerosi riconoscimenti: cinque Goya (l’Oscar spagnolo) tra cui miglior film, miglior regista, miglior attore protagonista, battendo l’Almodovar di "Parla con lei"; vincitore a San Sebastian; candidato all’Oscar come miglior film straniero.
Andrea Leonardi