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La Mano del Tempo

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La Mano del Tempo

Dodici mesi fa il caso ha voluto che recensissi in termini decisamente positivi due album che invero, con il passare del tempo, ho finito per ascoltare assai poco…
I Black Rebel Motorcycle Club, evaporata l’effimera passione per l’efficacissima Love Burns, sono ben presto usciti dai miei pensieri. Il loro omonimo debutto si è perso nella profusione di gruppi sorti come funghi nell’ambito del rock grezzo e ruspante, diventato ormai una moda sull’onda lunga di gruppi come gli Strokes o i Vines. La personalità del terzetto californiano non mi pare fin qui tale da garantire loro un posto tra i grandissimi: forse non tanto per colpe proprie, ma appunto per l’affollamento ormai eccessivo del genere da loro frequentato. Finisce sempre così. Quando ascolti uno, due, dieci gruppi che suonano più o meno allo stesso modo, cominci a chiederti se la loro ispirazione sia realmente sincera come vogliono dare a vedere; non puoi più fare a meno di valutare perfino le loro sonorità in quest’ottica, al punto che brani che suonavano freschi ed innovativi fino ad un attimo prima invecchiano di colpo e paiono ridursi a stereotipo. Inutile, a quel punto, cercare di separare i ‘buoni’ dai ‘cattivi’, gli imitati dagli imitatori: la frittata è già fatta…
Anche il geniale John Paul Jones di The Thunderthief, ahimè!, non è diventato ospite fisso del mio lettore di CD. Un anno fa mi trovavo in imbarazzo al momento di "indicare in assoluto una preferenza tra Zooma ed il presente lavoro": oggi tale imbarazzo si è dissolto, e scelgo senza esitazioni il disco d’esordio quale mio prediletto. La varietà stilistica del secondo album non vale, per quanto mi riguarda, la compattezza e i virtuosismi strumentali del primo; l’aggiunta dei vocals non ha apportato miglioramenti sensibili al quadro complessivo, facendo passare in secondo piano l’inconsueta varietà strumentale che ancora rappresenta il punto di forza nonché la vera originalità di John Paul. Nell’ambito di una musica che si segnala soprattutto per via della propria inusualità, meglio infatti puntare tutto su questa dote: The Thunderthief è più vario ma anche più addomesticato (e, va detto, non manca di alcune tracce eccellenti), leggermente sminuito dalla perdita dell’effetto sorpresa e meno efficace nello sbalordire l’ascoltatore; laddove Zooma, per quanto di ascolto forse meno facile, strappava applausi a scena aperta e pura ammirazione.
Due anni fa or sono usciva invece la prima parte di un mio articolo dedicato ai Led Zeppelin. Pur non trattandosi di una recensione in senso stretto, la ricorrenza mi offre un ulteriore occasione di celebrare la memoria di questo gruppo unico ed epocale… Chi abbia frequentato anche solo saltuariamente queste colonne sa che il loro nome vi ricorre relativamente spesso, solitamente quale termine di paragone scomodo per tanti gruppi recensiti. Ebbene, sia questa l’occasione in cui ribadire una volta per tutte che tale constatazione non deve suonare come una condanna senza appello per i contemporanei, quanto piuttosto come un’ulteriore, indiretta esaltazione di chi li ha preceduti ed è stato capace di raggiungere tali risultati. The Zeppelin keeps on flying high

Fabrizio Claudio Marcon

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