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Spiritual Beggars: On Fire

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Spiritual Beggars
On Fire

(Music For Nations, 2002)

Il revival degli anni ’70 è più fiorente che mai! Non ho fatto in tempo a recensire i Datsuns, artefici come forse ricorderete di un sound decisamente Stooges-oriented, ed ecco che mi trovo fra le mani l’ultimo album degli Spiritual Beggars, i quali suonano tutt’altro genere di musica ma condividono un approccio massicciamente seventies alla materia.
Svedesi sebbene non assimilabili alla locale scuola punk’n’roll, ne’ tantomeno a quella punk melodica ruotante attorno all’etichetta Burning Heart, gli Spiritual Beggars sono un quintetto dalla proposta piuttosto originale: nessuna innovazione o rivoluzione, piuttosto musica che dopotutto non si sente così spesso in giro. Su una solida base hard rock iniettata di blues, fin qui sulla stessa lunghezza d’onda di un combo come i Gov’t Mule, questi lungocriniti scandinavi edificano un wall of sound in cui le due chitarre si intrecciano a tastiere dalle sonorità inequivocabilmente vintage. In questo recente On Fire mi pare di riscontrare un certo avvicinamento all’heavy metal propriamente inteso, che per quanto poco entusiasmante dal punto di vista di chi scrive rappresenta nondimeno un’evoluzione stilistica degna di essere riportata. Mai scomposte, pur senza sconfinare in una produzione eccessivamente raffinata, le undici tracce dell’album (l’edizione limitata digipack ne contiene una in più, Burden Of Dreams) paiono tirate letteralmente a lucido: anche seguendo alla lettera l’indicazione leggibile all’interno della confezione ("We suggest that you play this at the highest possible volume in order to fully appreciate the sound of Spiritual Beggars"… per la gioia dei vostri vicini, insomma) e gustandosi la saturazione sonora, non si arriva mai ad avere l’impressione dissonante e fastidiosa di essere vittime del rumore fine a se stesso.
Lanciati solitamente a ritmi più sostenuti rispetto a quelli dei dirimpettai stoner, accostabili entro certi limiti ai Corrosion Of Conformity, gli Spiritual Beggars potrebbero eventualmente rappresentare in senso lato la risposta nord-europea ai Monster Magnet: un gruppo capace di fondere con attitudine assolutamente seventies più di uno degli stili in voga in quegli anni, ripresentandone gli esiti alla luce della mutata sensibilità musicale odierna. I Beggars seguono a rispettosa distanza la band capitanata dal leggendario Dave Wyndorf in quanto a versatilità e capacità di giostrare con i chiaroscuri, ma rimangono saldamente in carreggiata quando il confronto si sposta sulla pura potenza del sound. Meno variegati ma sufficientemente sulfurei, gli svedesi guadagnerebbero ulteriori posizioni se si risparmiassero banalità quali ad esempio Killing Time: un brano a suo modo perfino accattivante, che farebbe faville come colonna sonora di un combattimento cinematografico di Rocky Balboa, ma il quale una volta estratto da tale immaginario contesto si riduce a dispensabile recupero di trite e ritrite atmosfere tardo ottantiane. Male non farebbero poi a pigiare con più convinzione sul pedale della psichedelia, territorio non estraneo all’ispirazione del gruppo ma frequentato un po’ troppo sporadicamente. A quel punto probabilmente qualcuno si lamenterebbe di aver tra le mani una copia conforme dei Monster Magnet, ma… che ci volete fare?
Per non sembrare eccessivamente severo, mi sembra comunque giusto ribadire un giudizio nel complesso più che positivo su On Fire. In bilico fra hard classicamente inteso, vaghe derive progressive, propensioni lisergiche, tentazioni heavy ed echi sabbathiani, gli Spiritual Beggars non seguono alcun filone determinato, muovendosi invece su un campo che loro stessi provvedono a delimitare di volta in volta. Alcune tracce spiccano sulle altre per qualità del songwriting: vorrei segnalare almeno Black Feathers, la squassante Tall Tales, le quasi-ballate The Lunatic Fringe e Look Back, nonchè l’evocativo intermezzo strumentale Fejee Mermaid. Anche la bonus track a cui accennavo più sopra, ad un passo da certo southern rock moderno, vale la fatica di procurarsi la limited edition. Altrove spetta alle sonorità di rimediare alle falle aperte da una scrittura solida ma senza guizzi; compito, questo, che esse svolgono comunque egregiamente. Tra i miasmi del loro calderone i cinque stregoni si agitano insomma con grande professionalità: a rimanere (positivamente) intossicati dalle esalazioni saranno eventualmente gli ascoltatori…

Fabrizio Claudio Marcon

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