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Una tranquilla giornata in fabbrica

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Una tranquilla giornata in fabbrica,
tra pensieri, parole e omissioni


Non fare una cosa perché ti chiedono di farla:
falla solo se ci credi;
solo così le tue membra saranno più forti
e le tue parole più vere;
solo così sarai certo di non perdere
mai.



La nebbia si alza lentamente sopra il rigagnolo che un tempo era un torrente in cui saltavano i pesci allegri e felici e dove ora solo un po’ di schiuma alza la testa spavalda. Dopo un’ora persa in macchina in colonna al semaforo di un qualche inutile paesino, ho pensato. E ho pensato.
Anche in Milano, la grande metropoli italiana c’è qualcosa di buono, io non l’ho ancora trovato, ma qualcosa c’è.
Di Milano ho conosciuto solo gli aspetti peggiori: il pendolarismo, lo smog e la frenesia.
La prima volta che sono andato nella grande e boriosa Milano è stato in concomitanza della scelta della sede universitaria dove affinare le mie scarse conoscenze: il rinomato Politecnico dove la puzza sotto il naso è la regola (data la merda che si tirano come se fossero torte di panna in uno spettacolo di saltimbanchi) o una più tranquilla università di provincia?
Quando sono sceso dal treno è stata fatta la scelta che avrebbe segnato per sempre la mia vita: a Milano non vi è aria, ma solo smog e inquinamento; tutto è ricoperto di una pellicola di grigio che trasmette tristezza. Ci si sente oppressi dal cielo bigio e sembra quasi di doverlo reggere sulle proprie spalle prima che i suoi piedistalli si sgretolino sotto il peso dell’oppressione.
Non so perché ma quando immagino le scene tristi della storia, quelle delle deportazioni nei lager o le grandi e cruente battaglie delle guerre impari, quelle condotte non all’arma bianca, ma con gli archibugi o le armi da fuoco o quelle nucleari, o le morti di qualche personaggio importante o le stragi terroristiche o anche le scene di tutti i giorni con delle persone che si bucano, davanti ai miei occhi si configura il cielo di Milano. È un laif motiv della mia mente perversa.
Inutile dire che la scelta della sede universitaria mi ha portato lontano dalla metropoli lombarda.
La seconda volta che ho visitato Milano, in concomitanza della laurea di un mio conoscente, ho visto lo squallore della periferia e la nevrosi che assale i guidatori: tutto è lecito, dal sorpasso a destra, all’attraversamento con il semaforo rosso al parcheggio selvaggio. E se tu vuoi rispettare il codice della strada, dai il la ad una sinfonia di clacson che ti fa rintronare.
Anche l’ultimo male di Milano, il pendolarismo, l’ho provato sulla mia pelle: partenza alle 6:30 e arrivo in ufficio alle 8:40, dopo aver usufruito di quasi tutti i mezzi possibili (bicicletta, treno, metropolitana, motorino), partenza alle 17:30 e arrivo a casa alle ore 20:00: e la mia vita? Il vedere gli amici, l’andare in piscina, il leggere un libro o anche il solo guardare un film in televisione diventano delle chimere che non si possono materializzare neppure durante il week end date le abitudini assunte. Lasciamo perdere le levatacce o i ritardi dei mezzi o gli scioperi, ma se hai una famiglia, quando puoi godere dei figli? O far loro godere la presenza di un genitore? Forse quando sei in pensione e il mondo ti giudica inutile!
Milano, la Milano da vivere, con la vita notturna tra le modelle e i personaggi famosi, con gli eccessi e con la moda, con la Scala, i concerti e gli avvenimenti sportivi ve la lascio: datemi un praticello in collina, lontano dallo stress e dal caos e farete di me l’uomo più felice.
Due cose sono comunque da salvare, a Milano come sul lavoro, come ovunque: le persone e quando queste non ci sono.
Mi è capitato di vagare per la Milano notturna, quando non c’è anima viva in giro e le uniche persone che si incontrano potrebbero celare un maniaco o uno scippatore. Beh sono state le uniche volte in cui ho potuto ammirare la grandezza e la maestosità di Milano, del suo Duomo, della sua piazza e della sua Madonnina dorata che risplende sotto i raggi della luna e la domina come se volesse proteggerla da tutti i mali che l’attanagliano. È bello sentirsi il padrone di una città che se vuole può anche essere umana. Senza caos, frenesia, indifferenza è bello sentirsi piccolo in una città così grande e potente, dove ogni giorno si decidono le sorti di centinaia di migliaia di persone, obbligate a muoversi in un senso o nell’altro solo per il capriccio o il tornaconto di qualcuno che non si vede e si conosce solo come un nome.
Ma il più delle volte gli esseri umani esistono.
Quante volte abbiamo visto o conosciuto persone che non valgono niente e che starebbero bene solo sotto un metro di terra perché almeno così non farebbero più male a nessuno: i politici corrotti, i mafiosi e i terroristi, i drogati, i ladri e i truffatori, gli omosessuali, le puttane e i trans, i magnaccia e i violentatori e chi più ne ha più ne metta. Ma sono tutte persone che hanno fatto qualcosa nella loro vita e che, anche con i loro errori, ci hanno permesso di vivere più intensamente la nostra vita.
Sì, può sembrare strano, ma quante volte pensando alla vita di una prostituta minorenne di colore non abbiamo provato pietà per lei e, anche per un solo istante, non abbiamo pensato a quanto siamo stati e siamo fortunati noi? Quante volte abbiamo pensato a come dovrebbe sentirsi la madre di un ragazzo che si buca per tirare avanti o la moglie di un pedofilo? Chi non si è mai vergognato di ostentare le sue ricchezze di fronte a un mendicante? Alcuni di questi personaggi sono fasulli o giocano sul nostro compatimento per vivere o continuare a vivere.
Ammiriamo i barboni che hanno rinunciato a tutto per inseguire un sogno di vita, moderni San Francesco, commiseriamo chi è obbligato a questa vita e stronchiamo chi se ne approfitta.
Purtroppo ci si rende davvero conto dell’importanza di quello che si ha solo dopo averla persa; lottiamo per ottenere qualcosa, per realizzare un determinato fine, ma una volta raggiuntolo non ci sentiamo appagati, andiamo oltre, un misto tra l’attesa della festa del ‘Sabato del villaggio’ leopardiano e il mito dantesco di Ulisse. Così appena perdiamo qualcosa di cui non abbiamo mai notato l’utilità ne sentiamo la mancanza: ci accade con la tanto bistrattata automobile quando la portiamo dal meccanico o con la casa troppo piccola o, più semplicemente, con l’acqua quando la società di distribuzione fa manutenzione o con il televisore quando si è in vacanza.
Quanti sono andati in vacanza e solo a destinazione si sono resi conto dell’importanza del dentifricio, dei tovaglioli di carta o di un più banale coltello?
La società ci ha abituato troppo bene; abbiamo tutto e più di tutto, ma senza questo tutto non siamo capaci di vivere. Siamo drogati delle comodità, e vediamo con occhi stralunati chi vive come i nostri padri o i nostri nonni. Appena abbiamo un po’ di mal di testa corriamo dal dottore e dobbiamo avere immediatamente una cura che ci rimetta in piedi, se abbiamo un dente cariato corriamo dal dentista che inevitabilmente ci rifilerà una protesi, se abbiamo il respiro affannato dopo due piani di scale dobbiamo andare in vacanza in montagna per ossigenarci, se il bambino piange un po’ troppo non pensiamo che possa essere viziato, ma, inevitabilmente, che ha bisogno del pediatra e di qualche paliativo. Come facevano a vivere sino all’ottocento quando anche un semplice raffreddore poteva essere causa di morte e le uniche medicine erano un po’ d’erba e qualche radice, oltre che una sana e robusta costituzione?
Ai nostri tempi non c’è più selezione naturale in cui il più forte va avanti e il più debole è destinato a soccombere, ma è il più ricco che è destinato a sopravvivere, mentre i poveri saranno destinati a una lotta tra disperati in cui si elimineranno a vicenda: se almeno i ricchi fossero anche intelligenti…

Spalla
(continua)

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