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La Nuova Razza

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La Nuova Razza

La bevanda bluastra dal forte aroma di caffè saettò fuori dalla tazza, sgattaiolando tra le frastagliate irregolarità della tastiera e incollerita dal brusco movimento del gomito di Anna, che strozzò un’imprecazione e si affrettò ad arginare il danno valendosi di una salvietta di morbida flavorite.
"Questa storia mi sta facendo impazzire" esclamò a mezza voce, conscia di essere preda di un’ossessione ingiustificabile ormai da giorni e di non intravedere possibilità di uscirne indenne. Ormai vedeva i suoi occhi dappertutto, sottili, freddi, di quel giallo ocra che nessun terrestre ha mai avuto. La guardavano da ogni fessura, serratura, angolo scuro della stanza. La guardavano e la volevano, volevano possederla con una determinazione che nessun uomo aveva mai dimostrato di avere nei suoi confronti. Quella determinazione di cui lei ora sentiva d’aver bisogno per risvegliare quel desiderio che aveva abbandonato da troppo tempo, insieme ai sogni della sua adolescenza, le storie d’amore romantico, le cavalcate col principe azzurro per gli immensi spazi fioriti della sua rigogliosa e acerba fantasia. "Ma cosa sono diventata?" Pensò, forse per la millesima volta, mentre l’eco della sua domanda rimbalzava tra le ampie e fredde pareti del suo pensiero cosciente.
Anna era sempre stata quella che si potrebbe definire una ragazza di buona famiglia, semplice, modesta, educata, da sempre impegnata a farsi in quattro tra il lavoro, i suoi due bambini "anzi tre col marito" e la cura della casa, ciò cui teneva maggiormente: era un punto fermo della sua vita, la sicurezza di cui aveva bisogno e cui ancorare la sua emotività barcollante. Aveva sposato il suo attuale marito all’età di venticinque anni e da ormai più di dieci divideva la casa con colui che era stato suo compagno di banco fin dai tempi dell’istituto di educazione di base, un uomo semplice, come lei, senza pretese o ambizioni di sorta, sicuro e affidabile come Anna voleva che un uomo fosse.
Come credevo di volere, forse… Quando questo pensiero si svincolò d’improvviso sgorgando dal suo inconscio in un istante in cui la sua rettitudine morale aveva abbassato la guardia Anna s’irrigidì di colpo, offesa, delusa, sorpresa per la sfacciataggine con cui lei stessa si era lasciata sfuggire un simile pensiero. Il suo viso assunse un’espressione stizzita, la sua fronte s’increspò nello sforzo di domare il disagio della lotta interiore tra due polarità esasperatamente opposte, poi si acquietò e si ricompose non appena risalì sulla superficie della realtà sensoriale e riportò l’attenzione a quanto gli stava intorno. Ripulì con attenzione la tastiera, asciugò tutto il chìlia rovesciato, bevve quanto rimasto nella tazza e si avviò verso l’area di servizio igienico per gettare la flavorite imbibita e rinfrescarsi.
L’area di servizio igienico era molto ben curata. Era un’area ristretta, non più di qualche metro quadro, ma aveva una finestra alta e sottile sul lato opposto all’ingresso con tende a persiana automatiche regolate sulla luminosità esterna, un lavandino da cui sgorgava fresca acqua condizionata e i servizi igienici a seguire verso il fondo, accanto alla stretta finestra che si affacciava sul lato orientale della città.
Non appena lei entrò e si chinò per gettare la flavorite nel contenitore per i rifiuti, fu assalita da una strana sensazione di inquietudine, si voltò per un attimo verso la porta automatica e con un sobbalzo rivide quegli occhi un solo istante prima che l’anta si ricongiungesse con l’apposito alloggiamento sulla parete opposta e si chiudesse di colpo, tagliando il filo del loro sguardo.
Anna trasalì.
Le sue mani cominciarono a tremare, terminali di un’onda elettrica che partì dal suo petto e si sparse a macchia d’olio erogando stati alternati di caldo intenso e stasi glaciale. I suoi capezzoli s’inturgidirono, di colpo, e tutta la carne del suo corpo rimase come in sospeso, naufraga tra i brividi di una reazione emotiva fino allora mai provata. La sua mente scorse migliaia di immagini, come se tutta la sua memoria si svuotasse improvvisamente sul sottile e quantomeno fragile schermo della sua retina, mentre i nervi comandavano alle mani di avanzare e indietreggiare a ritmo alterno, in un tormentoso balletto di frenetica indecisione.
Poi cedette, e si buttò in avanti a cercare l’abbraccio del ramonita. La porta scorse nuovamente verso sinistra, lui fermo davanti ad essa, poi entrò, feroce, deciso, potente, con un abbraccio vigoroso la sollevò e la allontanò dai sensori. Anna era come in trance, gli occhi socchiusi, dilatati, vitrei, si lanciò a bocca aperta su quella di lui, che rimase chiusa, serrata, fredda come se nulla stesse accadendo.
Lei sobbalzò, per un istante, poi si distolse per guardarlo negli occhi. Era imperturbabile, quegli occhi gialli privi di ciglia su quel viso monolitico la guardavano fissi, e più lei li guardava più sentiva che il suo corpo lo voleva con la ferocia e la collera di una donna che mai si era sentita come in quel momento. Il suo corpo era in fiamme, bruciava tra le sue cosce che cominciavano a tremare, in bilico tra il contenere il desiderio e lo spalancarsi alla soddisfazione totale dei sensi. La sua bocca si schiuse decisa e ansimante e cominciò a scendere sul corpo di lui cercando la via più breve al suo membro, con le mani che avvolgevano la schiena ampia, poi i glutei compatti, fino alle gambe grandi e forti di lui che indietreggiarono non appena lei fu sul suo pene bramosa di carne gonfia e aroma di sesso. Poi si sentì tirare indietro, i capelli saldi nel pugno grande e robusto di lui che le spinse il capo lontano, verso la finestra. Ella cadde indietro, urtando l’interruttore di illuminazione automatica dell’area di servizio igienico che fece sprofondare la stanza nel buio più totale.
Poi si udì un rumore secco e breve, e le tende a persiana automatiche si attivarono riversando dentro alla stanza lame di luce solare che ricostruirono l’ambiente lastricandolo di ombre velate e luci soffuse.
Anna lo fissava dall’angolo, donna. Le sue cosce spalancate lo chiamavano con una potenza che la sua voce non avrebbe mai potuto raggiungere e il suo respiro ormai frenetico e pesante trasudava un erotismo che era impossibile ignorare.
Il ramonita scattò, le sue mani la presero per i fianchi, lei guaì, gemette, la sollevò trasmettendole tutta la potenza fisica delle sue braccia, la appoggiò sul lavandino e con decisione le alzò la gonna e le strappò la biancheria dal corpo. Lei gridò, vincente, gli occhi iniettati che lo fissavano feroci, la grandi labbra che si aprivano generose sulla carne fremente e accesa come le braci di un antico fuoco giurato estinto. Quando la sua bocca cominciò a passare su di lei, lentamente e completamente, sentì sgorgare dal suo corpo tutta la femminilità che non aveva mai espresso, il suo desiderio mai acceso, la sua vitalità mai emersa. Cominciò quasi a singhiozzare, abbandonandosi fino in fondo alla sua istintività.
Quando lui la penetrò, alzandola di peso dal lavandino, la sua bocca si spalancò in una smorfia di piacere che le impedì di respirare per qualche secondo. In quell’intervallo, si sentì come scaraventata fuori dal proprio corpo, dilatata e spinta dalla potenza di quel pene gonfio di una virilità che mai aveva assaporato prima. Lui era incalzante, aggressivo, potente. Era l’uomo come lei voleva che fosse. Si sentiva finalmente riempita totalmente di sé e di lui e di tutto quanto c’era intorno. Tutto vacillava intorno a lei, le pareti, il pavimento, le persiane, tutto seguiva le ondate turbinose di quelle penetrazioni travolgenti, che la sollevavano e la trascinavano in quel mare di piacere che le aveva fatto perdere ogni contatto con l’esterno, i sensi totalmente coinvolti da un orgasmo che sembrava durare da sempre.
Poi lui eiaculò.
La violenza del getto paralizzò Anna che emise un lungo gemito felino, assaporando un cambiamento che ormai era dentro di lei e non ne sarebbe mai più uscito. Rimasero immobili, entrambi ascoltando i loro corpi concedere gli ultimi spasmi ed allentare il ritmo serrato del respiro impetuoso, per dileguarsi lentamente in un misero stato di normalità sensoriale.
Anna schiuse gli occhi e incontrò quelli di lui, che la guardavano ancora fissi, spalancati, inumani. Cominciò a studiare attentamente i suoi lineamenti, innaturali per un terrestre, il suo viso privo di capelli come di qualsiasi tratto somatico terrestre, la sua pelle porosa e verdognola, della stessa struttura delle foglie degli alberi, la sua muscolatura guizzante sotto la superficie del corpo che sembrava non aver risentito minimamente dello sforzo, tale era la potenza che sapeva esprimere. Non era mai stata posseduta veramente, e solo ora capiva che…
"Anna?… Anna sei lì dentro?"
La voce bassa e mascolina della coordinatrice sorprese i due amanti in quella stanza con la barbarie di una sentenza fatale e inappellabile. I loro corpi improvvisamente si ridestarono, sorpresi, e quando Anna lo sentì ridursi dentro di lei per poi abbandonare crudelmente il suo corpo si lasciò sfuggire un grido soffocato che suonò come una scongiura, l’incapacità di sottostare ad una privazione inaccettabile.
"Ma cosa?… Anna, stai vomitando? Chiamo un medico? Lo sai che la porta non si apre quando qualcuno è all’interno… avvicinati ai sensori o non riusciamo ad entrare!"
Ella si ricompose, si aggiustò l’abito e scese la gonna, raccolse la biancheria divelta e la nascose nella tasca interna della borsetta, poi guardò lui, che si allontanò e si appoggiò alla parete accanto all’ingresso, fissandola. Si capirono.
"Oddio Anna… ma cosa?… Ti sei drogata? Guarda che occhi, Anna cosa ti sei fatta?"
Si lanciò nel corridoio, fulminea, con la sua coordinatrice alle calcagna affannandosi per tenerle il passo.
"Senti, ti chiamo un medico… credo che tu abbia esagerato con quella roba… ma ci vedi?"
Cominciò a correre, paonazza, lungo un corridoio fucsia e verde dalle pareti liquide, che danzavano e volteggiavano e sembravano proseguire l’altalena di quel sesso che l’aveva innalzata ad uno stato superiore di coscienza. Poi sbatté con lo zigomo contro l’angolo del corridoio e trasalì, abbandonandosi tra le braccia manchevoli della donna che la seguiva. Giusto il tempo di buttare lo sguardo indietro, a scorgere il ramonita sgattaiolare fuori dall’uscita di sicurezza.

***

"Nella Rete c’è sempre tutto, troverò sicuramente qualcosa a riguardo"
Il puntatore sullo schermo si destò d’un tratto e lestamente si portò sulla casella di testo Search, dove si mise a lampeggiare festosamente all’apparire delle lettere R, A, M, O, N, I, T, I che velocemente si materializzarono sotto di esso.
Un clic, e gli occhi di Anna cominciarono a scorrere avidi tra le linee cercando tra i tanti siti estrapolati quelli di maggior interesse.

[…] D’altronde, in una
società multirazziale come la nostra è essenziale la tolleranza delle differenze. E’ inammissibile oltre che stolto credere di poter frenare il progresso e ritornare alle singole e, permettetemi, sventurate comunità isolate in cui i cugini si congiungevano con i cugini e vi erano individui che morivano prima di arrivare ad incontrare più persone di quante ne potessero contare con le dita delle mani. Le differenze ci sono, esistono, soprattutto ora che ci siamo espansi oltre il sistema solare ed abbiamo legami anche con società extra-terrestri dobbiamo imparare ad accettare ed anzi decantare queste differenze. Solo con il compromesso è possibile raggiungere l’equilibrio necessario per…

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[…] Fu allora che egli la vide uscire dall’astronavicella per la prima volta. Era ramonita. Non se lo sarebbe mai aspettato. Il colore verdastro di quella pelle vegetale e il giallognolo dei suoi occhi sottili e distanti lo colpirono profondamente. Aveva sentito parlare di queste nuove razze aliene che stavano cominciando ad integrarsi con i terrestri, ma non ne aveva ancora visto uno prima. L’unica cosa che sapeva era che erano creature che discendevano direttamente da una specie vegetale che nel loro pianeta aveva raggiunto un livello di evoluzione tale da maturare coscienza di sé. Di lì poi era iniziata la crescita della loro civiltà, per molti aspetti molto simile alla nostra se non per il fatto che da una certa epoca in poi la specie si era miscelata con un’altra specie animale dello stesso pianeta che gli aveva conferito questo aspetto in tutto simile al nostro, una sorta di creatura mezza animale e mezza vegetale.
David si incamminò verso di lei, con dipinta sul viso un’espressione che poteva essere interpretata come…

NEXT>>

[…] …a differenza dei ramoniti, che sono invece l’unione di forme di vita vegetale e animale. L’anatomia e l’apparato riproduttivo sono in tutto simili a quelli umani: questo è evidente visto che la specie animale da cui sono discesi era fondamentalmente una specie di erbivori quadrupedi. Ancora non è spiegabile come sia avvenuta la fusione tra due forme di vita obiettivamente incompatibili, ma quello che già si sa, grazie alla collaborazione scientifica che abbiamo con la loro civiltà, è che per quanto riguarda l’apparato digestivo e respiratorio sono rimasti vegetali a tutti gli effetti. Traggono, infatti, energia dalla luce solare attraverso una specie di fotosintesi che avviene sulla loro stessa pelle. L’ossigeno prodotto dalla reazione chimica non viene però rilasciato come succede sulla Terra bensì utilizzato internamente dal loro organismo come comburente durante il processo di produzione dell’energia necessaria alle sue funzioni vitali.

GO TO ->

[…] I ramoniti sono invece una razza proveniente da… …riguarda l’aspetto fisico sono caratterizzati dalla pelle… … sostanzialmente per catturare l’energia fotonica e ri… …sessi: l’unica differenza sostanziale è che le femmine non hanno mammelle. Ovviamente, poiché traggono energia dalla luce, i cuccioli di ramonita avviano fin dalla nascita il pro… …pelle: durante la fotosintesi la pelle dei ramoniti secerne sostante gassose prodotte dalla reazione chimica che possono scatenare manifestazioni imprevedibili se inalate dal corpo di un terrestre. Non è ancora chiaro il collegamento con il patrimonio genetico del singolo individuo, ma è stato rilevato che individui diversi tra loro producono molecole chimiche leggermente diverse. Ancora, queste stesse molecole leggermente diverse producono reazioni leggermente diverse se inalate a distanza ravvicinata da un individuo autoctono terrestre. Alcune cartelle cliniche parlano di stati allucinogeni e/o di semi-coscienza, altre di reazioni allergiche quasi istantanee, altre ancora, ma si tratta di una percentuale ridotta, di stati di intossicazione permanente e alterazione del sistema nervoso periferico.

Anna era immobile, paralizzata dai mille pensieri che saettavano smanianti nella sua testa, strappando attenzione a tutto il resto del corpo. Possibile che fosse quella la spiegazione di tutto? Possibile che tutto il piacere provato nell’essere posseduta da quell’essere fosse solo frutto di uno stimolante chimico? Era questo dunque l’odore così irresistibilmente erotico che le aveva fatto perdere il controllo di sé? Un gas prodotto dal suo corpo come risultato di una semplice funzione vitale?
Uno strillo acuto.
"Ah… ehm… ciao Federica"
"Che voce intorpidita Anna, come ti senti oggi? "
"Un po’ meglio, grazie, ma credo che ne avrò ancora per un paio di giorni"
"Non preoccuparti, rimettiti pure in sesto… è già tanto che tu sia ancora mentalmente lucida con quello che hai passato! Ma possibile che il tuo medico non sapesse nulla della tua allergia agli antidolorifici? "
"…mah… io gli ho consegnato gli esiti degli esami… secondo me non li ha nemmeno guardati…"
"Guarda: ti garantisco che quello farà una brutta fine. Un incompetente del genere come medico è un pericolo pubblico! Non può passarla liscia… lo sistemeremo a dovere vedrai! "
"…già…"
"Ti lascio riposare allora Anna, d’accordo? Ciao, ci sentiamo domani! "
Anna riagganciò. Un paio di giorni, non di più, e avrebbe potuto incontrarlo ogni giorno, ad ogni ora, in ogni momento della giornata. Come si sarebbe comportata? Come l’avrebbe guardato dopo tutto quello che era successo? Soprattutto come avrebbe potuto seguitare la vita di sempre, fare l’amore con un uomo che come si rendeva conto solo ora non significava niente per lei se non che era il padre dei suoi bambini, dopo aver sfiorato anche se solo per pochi minuti il piacere straordinario di un amore travolgente? E quello che provava era bisogno d’amare fino in fondo o semplice crisi d’astinenza scatenata da sostanze narcotiche aliene?

***

Nei giorni che seguirono, Anna attese con impazienza quegli occhi con la passione ossessiva che le avrebbe fatto abbandonare tutto, ogni cosa, per essere accanto a quell’uomo per sempre. Avrebbe rinnegato il passato, la sua famiglia, le amicizie, sarebbe stata disposta persino a partire, con lui, per andare a vivere su un pianeta lontano in cui non la conoscesse nessuno e dove sarebbe potuta rinascere come donna nuova.
Lui però non tornò.
Giorno dopo giorno, l’ossessione che la tormentava cominciò ad affievolirsi… continuava a pensare al suo corpo, alla forza delle sue mani, alla virilità quasi tangibile che emanava quello sguardo alieno, ma a poco a poco cominciò a dimenticarlo. "Deve essere stato proprio così", assecondava la sua coscienza, "E’ stato solo l’effetto di una droga: dopo la fase "down" in cui l’organismo ha assoluto bisogno di assumere un’altra dose, l’effetto si smorza e il corpo ritorna alla stato d’equilibrio iniziale".
Silenzio. Vuoto. Due secondi. "Già…eh sì, deve essere proprio stato così. Nessun uomo, terrestre o alieno che sia, può farti provare qualcosa di così meraviglioso…".
Giorni, settimane, mesi. Il suo rapporto col marito ripiombò nell’apatia quotidiana: cena, divano, bambini a letto e sonno. Sempre. Solamente. Come da sempre. Soltanto a volte, per spezzare la monotonia di una vita incolore, uscivano a cena tutti insieme… per lo più a casa dei vicini, parenti o amici. Erano le uniche occasioni in cui lei poteva finalmente distrarsi, dimenticare tutto parlando di niente con le amiche per qualche ora. Le evitava di pensare, e questo per lei era oltremodo salutare.
Un sera come tante altre, mentre si adoperava per preparare la cena alla famiglia, fu interrotta dal marito.
"Tesoro, lascia stare… siamo invitati dai vicini questa sera. Sono appena venuti a vivere qui e vogliono radunare il vicinato per conoscere tutti quanti. Le solite grandi feste chiassose che odio, ma siamo costretti e non possiamo mancare. Su, preparati"
Anna si vestì in modo elegante, ma sobrio. Un tailleur blu, sotto al ginocchio, con un merletto bianco che correva lungo i bordi della giacca ed una borsa di pelle nera rigidamente squadrata. Non troppo appariscente, come piaceva a lei, e soprattutto classico: quei nuovi tessuti chimici che creavano altalene cromatiche sulla superficie dell’abito non facevano proprio per lei.
"Troppo spettacolo", diceva sempre.
La casa era molto grande, e al di sopra della recinzione si scorgevano addobbi e strisce colorate che sprizzavano allegria: un contrasto notevole se raffrontato all’umore opaco di Anna.
Suonarono alla porta.
Una volta.
Silenzio.
Due volte.
Rumori dall’interno.
La porta si spalancò di colpo, ed un tremito antico permeò il corpo di Anna quando i suoi occhi urtarono l’indimenticabile sguardo alieno del ramonita.

Fabrizio Cerfogli

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