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Benaresyama

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Benaresyama
Capitolo XIX

Sprofondata nella più nera tra le notti, Uruk giaceva silente, ancora in lutto per la morte del grande condottiero ; al contempo stava, però, iniziando a serpeggiare , come una maligna maldicenza , il timore per la reazione e per l’equilibrio del loro amato sovrano: quando era uscito dal sepolcro dell’amico era apparso trasfigurato , come se il dolore gli avesse riversato addosso tutti gli anni che gli spettavano all’improvviso. Da quel momento, attraverso una serie di staffette ,organizzate dai possidenti della zona, si iniziarono a radunare nella città alcuni tra i più famosi saggi della Mesopotamia : i misericordiosi sudditi cercavano in tutti i modi di alleviare le sofferenze del loro sovrano , e , se anche la soluzione che avevano tentato non dava grandi frutti , Gilgamesh provava la più immensa gratitudine per loro.
Seduto sul suo trono, perennemente col la testa appoggiata su una mano che tremava silenziosamente , cercava di ascoltare i consigli di coloro che lo attorniavano, si sforzava di udirli mentre narravano con passione estratti dalle loro opere più famose e che si sarebbero inevitabilmente perse nei vortici violenti del tempo…Eppure nulla, per quanto saggio o struggente , permetteva al suo cuore di acquietarsi. Con sé, la morte aveva portato una serie di gelide e tiepide emozioni, che ,di tanto in tanto , lo torturavano con vampate che gli perforavano l’anima: quanti ricordi e quanti rimpianti! Eppure la soluzione appariva così scontata che non osava nemmeno avvicinarvisi… "…E’ il ricordo, il dolce caldo ricordo che rende la nostra genia mortale immortale," declamava con una convinzione suadente e dolce un filosofo, " l’insopportabile sopportabile. Guardi nel suo cuore : Enkidu dal dolce sorriso giace ancora lì, augurante tanta felicità quanta gliene sarebbe spettata in vita!" .
Con un gesto che scosse l’intera assemblea di persone li radunatesi , denotante in qualche modo una sorta di risveglio del loro sovrano, Gilgamesh incalzò il filosofo : " Parli bene, saggio. Ma su una cosa ti inganni : Enkidu è sì ancora dentro di me, ma non veglia per me come i nostri protettori celesti su noi : nelle nere valli della Morte la maledizione sola può risuonare sulle labbra dell’ucciso nei riguardi dell’assassino. Feci mia la sua vita, ma da incosciente non me ne presi la giusta responsabilità…Oh, se l’incoscienza e l’ottusa arroganza fossero malattie, forse ora io giacerei lamentandomi tra gli uccisori nel terribile aldilà , mentre il dolce amico potrebbe avvalersi della redenzione e della pace dei giusti. Lo posso ancora sentire che urla e impreca contro il destino che lo portò a conoscermi , e che supplica miserevolmente il sovrano degli inferi di prendere a me al suo posto, per poi ritirare l’empia richiesta davanti ad un demone impietosito e quasi accondiscende, conscio del fatto che prima dei tormenti della morte è giusto che io affoghi nella disperazione fino a quando il benevolo astro sorgerà dall’orbe terrestre. Ma forse c’è ancora una speranza…"
Dai recessi della sala si udì una voce domandare con calma : " Signore, Enkidu, se mi è permesso riprendere le sue parole, è morto per la sua incoscienza . E’ sicuro che l’avventatezza, causata dall’amarezza che la pervade possa essere la soluzione più giusta ? Non è forse meno empio far vivere per sempre , come quel saggio asseriva , il suo compagno nel ricordo – luogo assegnato per natura ai morti a noi cari – che cercare di fargli posare nuovamente piede in una terra che non è più la sua?" L’intera assemblea, ammutolita ad una tale domanda e in attesa di una terribile reazione che misteriosamente tardava a giungere, si separò per dare modo al temerario e pazzo individuo di palesarsi. Finalmente , quando tutti i presenti erano divisi in due file ordinate ai lati della sala, un uomo si fece avanti. Camminando lentamente , facendo intravedere la ricchezza dell’abbigliamento e la finezza di portamento e lineamenti, giunse davanti al trono sui cui stava seduto Gilgamesh. Dopo un breve inchino , alzò lentamente la testa facendo in modo di mostrare gli occhi che, guardando mentre si raddrizzava dall’alto verso il basso, vibrarono di una luce feroce e violenta.
" Mio Signore, " riprese dopo una breve pausa , "la verità si annida nelle leggende: non ha forse mai sentito che il nostro destino è nelle mani degli Dei misericordiosi? Lei è quello che è solo per il desiderio degli Dei; il loro capriccio volle la morte di Enkidu , e non si addice neppure ad un combattente della sua genia di contravvenire alla regola della Morte, che essi scolpirono dalla nascita della mia e della sua stirpe all’inizio dei tempi. L’empietà di una simile azione sarebbe seconda solo alle funeste circostanze che comporterebbe , senza dimenticare tutte le aspre cime di dolore da superare…"
Tutte le persone lì radunate tirarono un sospiro di sollievo , pensando che quello fosse l’inizio dello spettacolo di un fin troppo audace guitto: infatti , essi potevano udire le parole pronunciate dai due uomini , ma erano ben lungi dal capire il significato reale di quella conversazione. Intanto Gilgamesh assunse un’espressione di sorpreso fastidio , e con una voce che faceva trasparire disprezzo e al contempo risolutezza, rispose : " Messaggero, forse mi stai minacciando? Lo fai forse per conto dei tuoi padroni, coloro che decisero della morte del mio compagno? La decisione è presa, oramai; puoi forse impedirmi di mettere in atto la mia volontà ?"
Non perdendo la calma, ostentando una sicurezza quasi sconcertante, l’uomo continuò : " No, mio Signore, non sono giunto a lei con la minaccia sulle labbra; piuttosto, con il consiglio del dolce amico. Alla mia stirpe non è permesso scontrarsi con la sua , e ora più che mai sono determinato in questa sacra disposizione. Tuttavia , la prego di valutare attentamente la sua attuale disposizione, o , meglio , ciò che comporterebbe per il suo compagno…"
" Stolto," rispose canzonandolo Gilgamesh, mentre l’uomo aveva iniziato con noncuranza a dirigersi verso l’uscita posteriore della sala , che dava su uno splendido cortile , " cosa ci può essere di più gioioso per un uomo del ritorno dai regni dell’oltretomba?"
" La pace della Morte?… Farebbe meglio a riflettere sulla sua condizione, prima di investire avventatamente un altro del medesimo fardello…" Con un ruggito, Gilgamesh si alzò correndo sulla figura che ormai gli parlava dall’entrata del giardino, facendo tremare il palazzo intero e le persone presenti; ma quando finalmente era in procinto di afferrarlo, una ventata di rossa sabbia ne avvolse la figura: Gilgamesh, costretto a ripararsi il volto con le possenti braccia, fu trascinato indietro di alcuni passi dall’impeto del vento, e quando la foschia si diradò, non poté fare a meno di constatare la sparizione dell’uomo.
Dopo aver brevemente esplorato il giardino , tornò verso la sala camminando tra le due file di persone che bisbigliavano il loro stupore. Sedutosi , ringhiò che gli fossero portati i migliori maestri della lavorazione della roccia , e rimase in attesa.

Poche tempo dopo, quello che aveva progettato stava giungendo a compimento : dagli artigiani della roccia si era fatto indicare la zona dove trovare la roccia più fredda, che aveva estratta personalmente ferendo la terra con le proprie mani; lavorata in spesse pareti e saldata, gli era stata riposta all’interno la salma dell’uomo fiera. Sigillata infine la costruzione in maniera tale che il freddo all’interno non si disperdesse e che ci fosse quanta meno aria possibile in modo da impedire la decomposizione ulteriore del corpo , l’aveva finalmente istallata su un imponente telaio da carro, preparato al contempo da valenti artigiani .
Preparati i cavalli e approntati al giogo del carro, finalmente venne il tempo della partenza. Uruk , all’ignoto del contenuto dell’enorme vettura del suo sovrano , salutò Gilgamesh mentre il sole giungeva al suo riposo quotidiano, augurandogli la pace che da ormai troppo tempo mancava nel suo cuore.
Il viaggio verso il monte Ararat fu lungo: molte Lune si avvicendarono nella veglia dell’eroe , che tuttavia non sembrava riuscire a trovare pace; troppe erano le variabili di un progetto che appariva sempre di più irrealizzabile e destinato al fallimento: innanzitutto, nessuno gli assicurava che ciò che stava disperatamente cercando come ultima speranza e redenzione fosse ancora al suo posto ; inoltre, il cadavere avrebbe potuto essere in condizioni tali da non essere utilizzabile; mai , però, si domandò circa la possibilità che non fosse quella la soluzione giusta da seguire…Gilgamesh cercava di scacciare tutti quei pensieri che lo avrebbero portato a desistere , e continuava a cavalcare , incitando con foga i cavalli perché giungessero a destinazione.
Finalmente, la montagna sacra apparve all’orizzonte : i cavalli, spronati allo stremo , parvero volare nella direzione del massiccio che diveniva mano a mano più imponente quanto più si stava avvicinando.
Come il fanciullo che impara a riconoscere la madre e tra i suoi veli torna quand’anche è lontano da casa , così Gilgamesh, attraverso un qualcosa che andava ben al di là del mero istinto , si spinse verso l’entrata di quella che appariva una profonda caverna. Dopo aver fermato il carro e legato i cavalli in maniera che non fuggissero ,si diresse verso lo strato di roccia meno spesso del sepolcro , che spezzò per estrarre l’amico : scostando i pezzi di roccia che si erano depositati sul corpo, poté osservare come le spoglie dell’amico si erano conservato decisamente bene: nel buio di quel suo temporaneo giaciglio, avrebbe potuto apparire come un uomo rapito nel regno di Morfeo, se non fosse stato per il freddo tocco della morte che fece correre un brivido sul corpo dell’amico quando lo sollevò per portarlo dentro.
Appena entrato in quella che dall’esterno assomigliava ad una spelonca naturale, un buio sovrannaturale lo inghiottì , e un fischio gli trapanò dolorosamente il cervello, fino che non cadde svenuto a terra. Dall’oscurità in cui era stato gettato dal dolore lo svegliò un altro fischio : aprì gli occhi di scatto, urlando come se sogni pravi lo avessero insidiato mostrandogli le più terribili visioni. Tuttavia, seppure ansimando e col cuore che appariva non voler cessare di battere, la vista che gli si presentò lo ricompensò di tutto quello che aveva potuto subire: al suo fianco giaceva il corpo ancora senza vita di Enkidu, ma davanti a lui , i due scheletri lo osservavano intatti e freddamente risplendenti di una luce di cui non si osava capire la provenienza.
Gilgamesh si lasciò andare alla più sfrenata gioia, e incalzando il cadavere dell’amico disse : " Guarda, guarda amico mio! Il regno dei morti ben presto ti dovrà lasciare andare, e la vita scorrerà con nuovo vigore dentro le tue membra."
Un triste silenzio che rimase inascoltato fu la risposta per Gilgamesh: quest’ultimo sollevò nuovamente il cadavere dell’amico , e con delicatezza lo ripose nei pressi dello scheletro più vicino, attendendo che questo si attivasse in qualche modo. I riflessi nella struttura metallica dell’oggetto si iniziarono ad animare e , mentre la struttura prendeva a muoversi emettendo ronzi leggeri , un rosso e allungato bagliore percorse il corpo di Enkidu per alcune volte passando dall’alto verso il basso. Improvvisamente , quello che era apparso come un procedimento millenario in moto da sempre e mai interrotto , si bloccò: il bagliore, dopo essere passato due volte a livello della testa dell’uomo fiera, si era bloccato e lo scheletro era tornato nella posizione di partenza.
Passarono attimi di silenzio interminabili, nei quali il panico del fallimento attanagliò Gilgamesh e che terminarono con lo scoppio di tutta l’ira che egli poteva avere in corpo. Imprecando, insultando e afferrando lo scheletro, muovendo senza grazia il cadavere dell’amico cercava disperatamente di rimettere in moto il processo .
Preso dall’ira più funesta, vibrò un colpo allo scheletro che con arroganza gli si stagliava contro; le onde sonore metalliche prodotte dal suono rimbombarono per tutta la sala: a esse seguirono suoni terribili, grida di progenie demoniache. Un’invisibile onda d’urto investì Gilgamesh, che si ritrovò immobilizzato al muro che si ergeva alle sue spalle: con la fitta del colpo che ancora pulsava e la vista annebbiata, osservò che il processo di creazione si era rimesso in moto, ma in maniera quasi minacciosa , producendo suoni orribili. Gilgamesh vide il corpo che, sollevato in aria da misteriose forze, veniva messo in posizione per divenire anch’esso tutt’uno con lo scheletro. Tuttavia, prima che potesse avere inizio il rito, un rumore assordante fece nuovamente perdere i sensi a Gilgamesh , che si risvegliò all’entrata della grotta, disteso per terra, privato di un qualsiasi riferimento temporale. In effetti , non sapeva neppure quanto tempo l’innesto aveva richiesto per lui: il tutto sarebbe potuto durare ore, anche giorni : probabilmente , ritornando con la mente a quel momento , si era risvegliato a distanza di tempo, non certo la notte stessa in cui per la prima volta venne in contatto con le unità; inoltre, il processo si sarebbe potuto bloccare nuovamente , e non avrebbe forse più fatto in tempo a ripristinare il processo in tempi utili…Una volta ancora, gli tornarono in mente le parole dell’uomo che prima di scomparire davanti ai suoi occhi in una folata di vento lo aveva avvertito di quanto un progetto simile, oltre che empio, avrebbe presentato difficoltà di non semplice risoluzione.
Perso in un fiume di pensieri che non riusciva ad arrestarsi , il giorno esplose subdolo , come si vergognasse delle dolci disposizioni che la sua amante, la Notte, non aveva ancora portato. L’impazienza iniziò a sostituirsi l’angoscia : tuttavia, quella che appariva la soluzione più sensata, ovvero entrare per osservare con i propri occhi lo stato del procedimento , era divenuta anche l’operazione di più difficoltosa realizzazione : l’entrata della grotta era sigillata dalle sue stesse tenebre, che non permettevano l’accesso nemmeno ai raggi di sole che si frangeva in un arcobaleno di colori violenti sulla superficie di tenebra . I colpi, su quella nera superficie di tenebra , venivano assorbiti distrattamente , creando increspature simili a quelle di un sasso sull’acqua , rimescolando come un folle artista i colori che si muovevano come se l’alito della vita fosse sceso su loro.
Improvvisamente, dalle spire nere del sigillo, si iniziò a intravedere qualcosa , mentre una litania antica risuonava nell’aria: oltre la tenebra , una sagoma di un pallore indicibile appariva muoversi lentamente, come muovendosi per inerzia , meccanicamente : Gilgamesh si sporse quanto poté per cercare di capire cosa fosse ciò che si stava avvicinando , ma non appena fu abbastanza vicino , si ritrasse di scatto trattenendo a stento un grido di terrore: la figura che stava giungendo era di una magrezza sovrumana , completamente nuda , la fronte alta che incombeva con violenza su occhi sottili e così vuoti, così privi di vita…Colui che si stava avvicinando era forse Enkidu ? Gilgamesh cercò di recuperare tutto il suo coraggio, e nuovamente cercò di avvicinarsi, mentre l’essere era ormai in prossimità del nero muro.
Quando fu oramai a contatto con esso, un lampo grigio divorò i raggi solari che ancora incontravano la resistenza di quella mistica oscurità : l’essere sporse il viso verso l’alto uscendone, con gli occhi completamente bianchi e la bocca spalancata in una smorfia di terrore ed estasi serrando la gola in maniera tale da emettere un leggero e soffocato rantolo orribile, mentre dall’altra parte le gambe erano quasi piegate all’interno , dando l’apparenza che stesse per cadere dal momento all’altro : trascinando con sé filamenti di tenebra come il fanciullo uscito dal grembo della madre, cadde così carponi sul polveroso terreno sporgendo la testa all’insù con i lunghi capelli che gli coprivano il volto, contratto in un’espressione di sofferenza indicibile , mentre egli urlava disperatamente con tutta la forza che aveva nei polmoni.
Gilgamesh , inizialmente inorridito dalla scena, riconobbe le fattezze dell’amico in quel nuovo essere che per terra ancora urlava: l’emozione fu troppo grande: con il cuore in procinto di esplodere e le lacrime che avevano inesorabilmente preso a rigargli il volto , si diresse verso Enkidu per abbracciarlo : lo afferrò, e stringendolo a sé , mentre aveva iniziato ad emettere suoni sommessi che tradivano una tristezza che conteneva in sé l’incedere dei millenni che passavano. Finalmente, le pupille dell’essere apparvero, come incastonate di fuoco: per un secondo solo sembrò che egli fissasse brutalmente Gilgamesh , tanto che quest’ultimo indietreggiò intimorito , per poi riavvicinarsi in maniera da poter farsi riconoscere dall’amico; l’essere rimase immobile un momento, come folgorato, ricadendo nuovamente sul terreno, scosso da convulsioni orribili.
Passò del tempo, nel quale Gilgamesh coprì il nudo corpo dell’amico con una tunica , sperando che si riprendesse da quello stato in cui gettava da quando era uscito dalla caverna: tra sé e sé , egli iniziava a sentirsi come il fanciullo conscio della gravità dell’azione appena commessa: che ricordasse, a lui nulla di tutto ciò era successo…
L’essere si alzò : digrignando i denti e ringhiando come una belva inferocita, si diresse verso Gilgamesh: arrivato di fronte a lui, gli pose entrambe le mani sul viso , premendo leggermente con i palmi di queste sui lati del cranio, mentre le dita si conficcavano nella capigliatura dell’eroe quasi con violenza. Emettendo un urlo sommesso rivolgendo il viso verso l’alto, abbassando improvvisamente lo sguardo per conficcarlo negli occhi di Gilgamesh con una rabbia mai provata prima, gli domandò – e mai voce tale si udì nelle lande dell’uomo – : " Sei tu , Gilgamesh ? "
Commosso, il cuore oramai straziato dalla gioia per aver ritrovato l’amico , subito lo incalzò : " Si , amico mio, si! Sono io! La mia felici…." Non ebbe il tempo di terminare la frase: Enkidu lo afferrò per il collo con una forza che sorprese Gilgamesh, e lo lanciò con forza indicibile contro l’imponente parete di roccia che li sovrastava; questa in parte franò addosso all’uomo seppellendolo sotto un numero enorme di rocce . Quando finalmente riuscì a liberarsi dalla prigione di roccia che lo aveva intrappolato, ancora congestionato e terribilmente dolorante, vide l’amico rannicchiato per terra , in uno stato di confusione, panico e terrore che non aveva mai visto, neppure nel più debole tra i condannati a morte.
Avvicinandosi lentamente , iniziò ad udire pezzi di un allucinante soliloquio che veniva pronunciato con una voce che avrebbe fatto rabbrividire il più coraggioso tra gli eroi : " Come può essere?…Le lande della morte erano la mia casa…La morte aveva mietuto la mia anima…Gilgamesh è vivo…Dove sono?…Nelle lande della morte non splende il sole…Dove?…Cos’è mai questo corpo ancora caldo ? "
Avvicinandosi , cercando di ottenere la sua attenzione, gli si rivolse : " Amico mio, hai ragione: tu eri morto. Tuttavia, nuova vita scorre ora nel tuo corpo. Le lande del regno dei morti non si confanno ad un eroe della tua levatura, e, attribuendoti un corpo come il mio, ti ho riportato alla vita."
Contraendo il volto in un ironica smorfia e con fare simile a quello della madre che rimprovera dolcemente il figliolo , gli rispose : " No…forse anche tu sei morto, e mi appari davanti come visione prima di ritornare alle incombenze dell’oltre tomba!"
Non capendo perché l’amico non volesse riconoscere la realtà delle cose che con fulgore immenso sfavillava ovunque attorno ad esso, e spazientendosi oltre misura , lo afferrò e gli gridò : " Sei vivo ,Enkidu, sei vivo! Guardati: nel tuo corpo guizza ancora il calore della vita, nuovamente di rosa si stanno colorando le gote; i tuoi polmoni si gonfieranno di fresca brezza e di calura estiva ancora una volta; la tua bocca già emette il dolce suono che è la tua voce. Perché , perché l’evidenza e lo splendore della vita non ti deliziano più ? Furono forse tanto gloriose le celebrazioni per il tuo arrivo in quelle fredde lande, da indurti a dimenticare le giuste gioie che la nostra esistenza ci conferisce ?"
" Niente affatto!" lo riprese con rabbia Enkidu, liberandosi con facilità dalla presa dell’amico che gli serrava ancora la veste all’altezza del collo, " Stolto, stolto l’uomo che spera in un avvenire commisurato alle proprie fatiche in vita nel nero regno della Morte: anche l’eterno oblio sarebbe stato redenzione per noi ombre, che ci avrebbe cullato ignari in una lotte di sogni senza fine…no , come posso ingannarmi? Per l’uomo, Gilgamesh, la redenzione è un’utopia necessaria quanto terribile, a causa del conflitto inevitabile tra essa e la realtà aberrante delle cose; che senso ha pregare per l’oblio, invocarlo come salvezza? Certamente, in quel caso , la notte sarebbe stata affollata da inumani incubi, demoni inviati per pascersi della nostre paure fino ad una sazietà che sarebbe sempre più tardata ad arrivare; oppure, al sogno si sarebbe sostituita la veglia eterna nell’oscurità: un silenzio orribile avrebbe amplificato il battito delle ciglia fino a che questo non sarebbe diventato il tuono della pazzia…Nemmeno l’oblio, no, avrebbe conferito il riposo necessario alle membra stanche per la vita…"
" Cosa intendi dire ? " gli chiese Gilgamesh turbato ed irritato a quelle parole, " All’eroe, nell’aldilà spettano i banchetti con i condottieri e infinite celebrazioni."
Enkidu a stento trattenne una risata canzonatoria , per poi fissare con incredibile durezza colui che gli aveva ridato la vita : " E dove sta scritto? Nei libri sacri? Oppure è una tua interpretazione? Stolto…pretendi di definire l’indefinibile, e per di più in modo consolatorio…nell’oltretomba giace solamente lo struggente rimpianto per ciò che non fu: le ombre dei defunti, muovendosi in un’incessante processione e intonando nenie antiche, si passano accanto appena consce della presenza di altri: un sospiro millenario riempie il violaceo cielo , amplificando ogni singolo movimento in una dissonanza dell’essere. In lontananza , un rumore meccanico senza sosta stritola la non-esistenza; la follia sola potrebbe portare pace, ma non ci è concesso un simile privilegio: la lucidità diventa pena ed aguzzino , e l’invidia verso coloro che almeno hanno il conforto della preghiere dei cari o una vita degna di essere vissuta alle spalle brucia con veemenza e stupidità in viscere che non esistono più. Pensavi , credevi in un luogo dove essere lodato, dove partecipare ai banchetti degli Dei? Niente di tutto ciò esiste laggiù; dove sono stato io, di nessun Dio c’era traccia , a meno che non lo si identifichi non come ira primordiale nei confronti della nostra genia…" Si interruppe per un momento, osservando interessato e disgustato al medesimo tempo il suo nuovo corpo , che di momento in momento acquistava consistenza e vigore adeguandosi al precedente patrimonio fisico e mentale del suo padrone : " E questo corpo ? Cosa poté strapparmi dalla Morte, Gilgamesh ? "
" Amico mio, " , gli rispose , "come già ti dissi, la mia esistenza mai avrà fine: questo corpo, che trovai decadi orsono , è un dono degli Dei per i valorosi, ed è da esso che traggo la mia forza; anche tu lo capirai mano a mano che diventerai tutt’uno con il tuo: i sensi si acuiranno , la forza già sovrumana diventerà quella propria dell’eroe , la vita non conoscerà mai fine. Purtroppo , il privilegio di questi corpi è destinato a pochi : solo tre unità furono impiantate nel nostro pianeta , e noi disponiamo delle prime due: quale guerriero , tra i valorosi , avrebbe meritato più di te questo privilegio, primo tra i combattenti e dall’animo così grande da sacrificare la vita per l’amico ? Sebbene terribile per le moltitudini, accolgo la novella del regno dei morti che mi offri con gioia , in quanto, col mio operato, ti ho liberato da un indegno giogo che sarebbe durato nei secoli."
Con espressione rassegnata e ponendosi tristemente una mano sulla fronte , Enkidu disse : " Gilgamesh…Ti conosco troppo bene, e le tue menzogne non possono certo ingannarmi : certo, puoi continuare a lusingarmi , ad asserire che la mia resurrezione è stata decisa dal valore e dalla grandezza delle azioni , ma nella mia mente è ben chiaro cosa è successo : il peso della mia morte giaceva come un macigno sulla tua tronfia coscienza, senza contare il fatto che nessuno può permettersi di portarti via una tua proprietà , uomo o persona che sia . Le persone come te pretendono di espiare i propri peccati commettendo colpe ancora più gravi : l’esito di ciò che fate è irrilevante , se ritenete di avere riparato l’offesa in qualche maniera a voi comoda, indignandovi per la mancata riconoscenza dell’offeso. Gilgamesh ! Non sono una tua proprietà, un dannato oggetto per il tuo sublime trastullo: io sono, o almeno ero, una persona. Come dici? Affermi di avere agito per il mio bene? No, stolto, hai agito per il tuo bene. Ascoltami: nulla, né impiegando tutti i tuoi poteri, né applicando tutte le tue conoscenze, né dandomi tante nuove vite quante sono le stelle del firmamento , potrà restituirmi ciò che è per sempre perduto. Pensi che questo corpo che mi hai attribuito rappresenti una benché minima redenzione per quello che hai fatto? Credi di potermi stringere a te , tributarmi tutti gli onori sanciti dai vincoli sacri dell’amicizia , presentarmi nuovamente alla città come il guerriero che ha sconfitto la morte in persona, come se nulla di quello che è successo abbia creato un fiume di disprezzo che ci separa? Si , Gilgamesh, io ti disprezzo, mi fai semplicemente ribrezzo. Come hai osato darmi questo corpo? Un corpo simile si addice solo al giusto, a colui in grado di utilizzarlo per potere aiutare il suo prossimo, non certo al guerriero: perché ne hai fatto uno strumento di morte e di vita improprio, nel mio caso? Chi ti ha dato il diritto di utilizzare su te stesso e me il dono degli Dei ? Chi ha osato farti giudice dei destini di questi corpi ? Come può uno stolto che decide di andare contro Natura resuscitando per un infantile capriccio l’amico, fare da giudice relativamente a ciò che potrebbe salvare le vite di migliaia di persone? Non a me né a te si doveva attribuire un simile dono , ma al saggio che consapevolmente avrebbe portato il fardello della vita eterna per il bene altrui… "
Congestionato in volto dall’ira per un simile trattamento , Gilgamesh rispose : " Come puoi trattarmi in questo modo? Io ti ho ridato la vita! Disprezzi la vita a tal punto? Preferisci forse i terribili reami della Morte di cui tu stesso, con il volto piegato dal terrore mi hai narrato? Non capisci che ora sei nuovamente nel nostro mondo e non avrai più nulla da temere?"
" La vita giace nel mio cuore come dolce ricordo da serbare almeno quanto la morte ha segnato la mia medesima esistenza: io non dovevo rinascere, e non perché non ami ancora la vita, ma perché, per quanto i reami della Morte siano spaventosi, c’è una ragione per cui ognuno di noi deve morire."
" E qual è, di grazia?" chiese irritato l’eroe di Uruk.
" Forse anche tu l’avresti capita morendo, forse anche tu. Guarda, " e alzandosi indicò la coltre celeste , " perse nel cielo , le nuvole scivolano via : io andrò con loro. Addio Gilgamesh; pregherò perché i nostri cammini non si incrocino mai più."
Piangendo dall’ira come un fanciullo contro il destino crudele che aveva risvegliato un Enkidu così a lui avverso , appoggiato contro una parete rocciosa battuta dal pugno, lasciò l’amico andare via senza opporre resistenza : solo il fato sapeva che i due presto si sarebbero ritrovati su fronti avversi.

Federico Mori

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