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Strinqulu

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Intervista a David Della Rossa

Strinqulu è il nome d’arte di David Della Rossa, musicista elettronico italiano di ottima caratura. Tutti i suoi lavori si possono liberamente scaricare in formato MP3 dal sito

http://www.milaus.net/default.aspx

Discografia

Net Releases:

1. Strinqulu & Urkuma – “Tuddhi” (CtrlAtlCanc) – Marzo 2004

2. Strinqulu – “Uncertainty” (Nishi) – Settembre 2004

3. Strinqulu – “Fiche” (Earlabs) – Novembre 2004

4. Strinqulu – “Ten cases of human aberration” (Nishi) – Maggio 2005

Partecipazioni:

1. Strinqulu & Urkuma & Phobode – “Susuma sweet nightmare”, su “Cucina Vagabonda” (Ogredung) – Novembre 2003

2. Strinqulu & Urkuma & Corkzal – “DoubleSecRemix”, su “Oscillator707 Suite #1” (Ogredung) – Gennaio 2004

3. Strinqulu & Urkuma – “Epifania O’ Clock” (Granular.fm) – Febbraio 2004

4. Strinqulu – “Vermin voices in a metropolitan puddle”, su “50th release on Nishi” (Nishi) – Dicembre 2004

5. Strinqulu – “The garden of the screaming flowers”, su “breaking down the barriers 1995-2005, ten years of AFE Records” (AFE Records) – Dicembre 2005

Davide

Ciao David. Cosa vuol dire (immagino nel tuo dialetto) il termine Strinqulu? Perché la scelta di questo nome d’arte?

David

Strinqulu, nel dialetto salentino della zona attorno a Gallipoli, è un termine che descrive una risata isterica, incontenibile, che spesso sfocia in un pianto nervoso, irrefrenabile. Strinqulu è un’intrinseca contraddizione in termini. Strinqulu è insieme le due facce della stessa medaglia, è la gioia unita al disagio, l’isteria con la disperazione. Una moderna e timidamente contenuta forma del tarantismo salentino, tuttavia lontana dalle manifestazioni folkloristico-turistico-mediatiche con cui questo fenomeno si è presentato negli ultimi anni.

Ho scelto questo moniker perché racchiude simultaneamente due aspetti complementari, è l’antitesi della certezza, l’essenza dell’incertezza, la rappresentazione del caos. Concetti che sento molto affini.

Davide

Culumbara, marangiana, cashiteddha, calarisa, signura, napoletana, fracazzanu, bruficu… Ogni traccia della release “Fiche” ha un titolo che ricorda le varie specie di fichi che si trovano nella tua terra, il Salento… Perché?

David

Sono nato nel Salento, estremo sud-est della Puglia, e lì ho vissuto fino a pochissimo tempo fa. Ma il mio rapporto con la mia terra di origine è molto conflittuale. Amo questa terra per certi aspetti, la detesto profondamente per altri. Tuttavia non posso negare di aver assorbito la sua aria, la sua cultura e le sue contraddizioni, per oltre trent’anni, e conservo anche molti ricordi belli e piacevoli. Sarebbe ipocrita nascondere questo legame, conflittuale, che in parte rigetto, ma che mi ha anche arricchito molto.

Fiche è una release nata in questa terra, in un’estate molto calda, come sempre laggiù. Nel Salento, d’estate, i fichi sono un frutto, o un’infiorescenza come qualcun altro mi ha sottolineato, in forte contrasto con l’aridità di questa terra in progressiva desertificazione.

Fichi, sole, aria torrida, ricordo di calore soffocante, sapori e odori forti…chi vive o ha vissuto nel Salento sa di cosa parlo.

Davide

Prendiamo una traccia come esempio, Calarisa: più che un fico, mi evoca un cosmico trip alla Klaus Schulze di “Black Dance”… Quello di “Fiche” è un tentativo, “programmatico” e personale, di tradurre in suoni i gusti, le forme diverse delle diverse varietà di fichi, o di ricordi ad essi legati, o è soltanto un’attribuzione, una dedica generica a un più ampio e generico mood legato alla tua terra?

David

Mi piace la tua descrizione. Si, fiche potrebbe essere una forma di sinestesia che trasforma il gusto in suono. Calarisa, poi, potrebbe essere una gradevole colonna sonora per viaggi della natura più varia. Sono cresciuto a cavallo tra gli anni settanta e gli anni ottanta. Ero un po’ troppo piccolo per vivere pienamente quegli anni in tutte le loro manifestazioni, ma non sono certo stato lì a guardare. Ho sempre sentito l’esigenza di curiosare, di conoscere, di provare, di sperimentare e la musica, e i suoi personaggi, mi hanno sempre fornito irresistibili spunti. L’approccio lisergico-psichedelico continua ancora ad esercitare su di me una morbosa curiosità, e forse nella mia musica si ascolta una specie di metabolizzazione, rielaborazione della psichedelia culturale e musicale della mia giovinezza.

Davide

Greve materia di polvere e sassi, mare su tre lati, natura più rada e aspra, carsismo, le serre come maggiori altitudini (max 200 metri), scarsità d’acqua e di popolazione nelle campagne… Cosa unisce questa arcaico, immutato paesaggio della penisola salentina ai suoni invece altamente rarefatti, tecnologici ed elettronici della tua musica? Una controreazione? Oppure è vero che la musica elettronica è indotta da e induce a un più elevato grado di introspezione e spiritualità, proprio come fanno certi paesaggi più spogli ed essenziali (non a caso, fin dai tempi biblici e da quelli originari di ogni religione, spiritualità e meditazione sono massimamente ispirate dalla essenzialità di deserti e montagne)?

David

Fino a poco tempo fa, l’isolamento della Puglia non era solo dovuto ai confini geografici, mare su tre lati, Europa distante più di mille chilometri, ma a un vero e proprio multiforme isolazionismo culturale e logistico, di cui ancora oggi si subiscono le conseguenze. Ricordo quanto fosse difficile riuscire a reperire materiale musicale, dischi, articoli, recensioni. La musica richiedeva uno sforzo notevole per essere seguita. Per fortuna la situazione odierna è profondamente diversa ed Internet permette di coprire quelle distanze che fino a poco tempo fa sembravano insormontabili.

Ho cominciato ad ascoltare musica “altra”, diversa da quella che passava per radio o su “Dj television” all’età di undici anni, e cercavo avidamente e morbosamente musica rock, psichedelica, metal, difficilissima da trovare nel mio piccolo paesino. In questo sono stato forse agevolato dal fatto che mia madre e altri due parenti stretti coltivavano assiduamente l’hobby della radio, e quindi in età molto precoce mi sono trovato circondato dalla musica più varia. Quello che oggi ascolti è il risultato di mille influenze assorbite sin da quando ero molto piccolo, ma non credo che la geografia del luogo sia determinante più dell’ambiente culturale.

Davide

Da qualche parte hai affermato di amare una tua recente net-release, ma suppongo a questo punto anche tutto il tuo lavoro musicale, perché figlio della tua misantropia, della tua intolleranza verso il concetto di collettività e di aggregazione umana… Concludevi augurandoti che non piacesse. Forse ci sono passato anch’io, dalle parti di un certo misantropismo, fino a scoprire che la misantropia è una forma di avversione più che verso i propri simili, verso i “dissimili”, e che in ogni modo era intimamente legata invece a un’alta carica di amore (ideale e di fatto, troppo spesso deluso, disingannato) per l’Uomo… Per dirla con Nietzsche, un misantropo per eccellenza, amore e odio non sono ciechi, ma accecati dal fuoco che portano in sé… Ma la domanda è: non lavori in modo completamente isolato, hai collaborato ad oggi con altri (Urkuma, il colletivo Oscillator 707…). Chi altri? In che modo realizzi dei lavori con altri musicisti? A distanza, via computer, come Sakamoto e Fennesz l’uno a New York, l’altro in Inghilterra e, come sempre di più in questo modo, tra musicisti lontani? Ricerchi, rifuggi o ti è indifferente una dimensione creativa più “psicofisicamente” condivisa?

David

Si, amo molto tutta la mia musica, ma credo che sia normale. Mi porrei qualche interrogativo, però, se una delle mie release schizzasse improvvisamente alle vette delle classifiche. Mi solletica il fatto che ci sia gente che apprezza i miei suoni, ma mi dà sollievo pensare che questa gente non sia eccessivamente numerosa, almeno fin quando non deciderò di vendere la mia musica… 🙂

Misantropia come distanza dai propri simili o dai propri dissimili? E poi, sono io ad essere dissimile dal resto, o il resto ad essere dissimile da me? E’ un discorso così ampio che meriterebbe un approfondimento.

Le mie poche collaborazioni sottolineano il mio individualismo, non solo artistico. I rapporti artistici con Urkuma (il mio migliore amico da 30 anni, tra l’altro) risalgono a un bel po’ di tempo prima della nostra collaborazione musicale, quando entrambi ci dedicavamo al teatro. Insieme abbiamo registrato una notevole quantità di musica, di cui la maggior parte ancora inedita, ed abbiamo tenuto diverse serate dal vivo. E se andiamo ancora più indietro, tante sono state le occasioni in cui ci siamo trovati sullo stesso palcoscenico.

Insieme abbiamo, inoltre, condotto un vero e proprio studio sugli strumenti acustici autocostruiti: a corda, a fiato, a percussione, a sfregamento; realizzati da zero o a partire da altri oggetti e utilizzati poi per le nostre scorribande musicali sia in studio, sia dal vivo. Fonte di ispirazione è stato anche l’incontro con Mark Stewart, chitarrista di Simon & Garfunkel, durante un seminario da lui tenuto sul tema.

Altre collaborazioni avute sono: con Urkuma, Pierpaolo Leo e Daniele De Rossi, in occasione di una serata musicale sull’inferno dantesco; due serate musico-teatrali di cui, insieme ad Urkuma abbiamo curato la parte musicale, suonata dal vivo con strumenti autocostruiti, mentre la parte teatrale era realizzata dalla compagnia “Min Far Hus” di Martano (Le).

Con il collettivo Oscillator707 collaboro ormai da qualche anno. Oltre ad un continuo scambio di idee, con loro ho partecipato alle due Oscillator Suite, di cui l’ultima è in uscita proprio in questi giorni. Non ho mai avuto, purtroppo, occasione di suonare di persona con nessuno di loro, ma non nascondo che mi piacerebbe molto.

Davide

“Ten cases of human aberration”, altro tuo bellissimo album… Suoni quasi spartani, che si cercano, che non vogliono mai prendere una vera e propria forma inseguibile, se non che abbandonandosi del tutto ad essa, alla sua imprevedibilità e decostruzione. Qual è stato l’intento alla base di questo lavoro sulle deviazioni da ciò che si considera normale, le aberrazioni appunto?

David

Questo è un album che sento molto “mio”, sia per il contesto in cui è stato composto (interamente di notte, al buio, unica luce quella del monitor del pc, e “in silenzio”, non per me naturalmente, che avevo le cuffie), sia per il significato che ho voluto dare alle tracce.

Immaginate una piccola stanza in penombra, pervasa da una debole luce azzurra, il ronzio di qualche ventola e piccoli led pulsanti verdi e rossi che inviano frenetiche segnalazioni morse da più punti della stanza. Nessun altro suono e nessun’altra luce. In questo mare di stasi io e il mio pc, in uno scambio reciproco di stimoli e risposte, coautori di un compendio della piccolezza umana.

Il dialetto leccese, per nominare le tracce, mi è venuto spontaneo, perché la cultura del sud si presta bene a questo genere di critiche.

Ho individuato 10 tra quelle che per me sono deviazioni della società umana, in particolare di quella società in cui sono cresciuto, ma che, spostandomi, ho trovato tal quali in altre “terre” che ingenuamente pensavo immuni. Niente da fare, non c’è scampo alla stupidità umana, non c’è spazio e non c’è tempo in cui rifugiarsi per sfuggire!

10 esasperazioni di concetti che ci arrivano da molto lontano nel tempo, da quando per sopravvivere era necessario aggregarsi strettamente in una piccola tribù rigidamente gerarchizzata, dove si facevano poche domande e si ricevevano poche risposte; 10 concetti aberrati dalla successiva necessità di impiegare il tempo diversamente, a seguito della più facile sopravvivenza dovuta ad una società via via più organizzata, che è diventata un organismo, che come un organismo ha i suoi anticorpi verso ciò che è estraneo e lo combatte fino a distruggerlo.

Infine assisto mortificato al trionfo della natura dell’uomo sulla natura del resto. Il ribaltamento della situazione iniziale; se inizialmente la sopravvivenza chiedeva un tributo in abilità e intelligenza, in questa fase servono vanità, conformismo e millanteria.

Davide

L’elettronica, fin dai suoi primordi, era un genere musicale di ricerca estremamente di nicchia e di concetto (lo è anche oggi), riservato però un tempo a pochi sperimentatori di estrazione colta, cioè classica (Maderna, Nono, Stockhausen, Schaeffer, Ligeti, Oscar Sala, Marino Zuccheri…). Qual è la tua preparazione musicale e teorica di base, e cosa ne pensi del fatto che oggi chiunque in possesso di un semplice software, possa invece creare elettronica (diciamo) spontanea senza in qualche misura disciplinarsi in modo più ampio e completo rispetto alla musica? Qual è il tuo rapporto con le avanguardie storiche?

David

All’età di sei anni ho preso le prime lezioni di pianoforte e ho studiato teoria e solfeggio, e armonia. In seguito ho studiato basso elettrico e poi ho preso lezioni di flauto traverso e clarino. Ho sempre avuto un ottimo rapporto con la musica e la matematica che le sta dietro, un orecchio musicale relativo, capacità di improvvisazione, facilità a produrre suoni da qualunque strumento musicale. Oltre a diverse esperienze in piccoli gruppi rock giovanili, ho avuto un’importante esperienza come organista (su uno splendido organo a canne) di un coro polifonico di musica sacra. Negli anni a venire ho sperimentato soluzioni basate sulla musica popolare salentina, con contaminazioni musicali da altri generi, una breve esperienza in una jazz/blues band. Comincia poi l’approccio con la sperimentazione elettronica-elettroacustica, la collaborazione con Urkuma, che porterà alla registrazione di tantissimo materiale, alla pubblicazione di “Tuddhi” e alla mia recente produzione.

Come ascolti, sono partito dall’hard rock, spostandomi poi durante l’adolescenza al punk e all’heavy metal. Successivamente ho studiato molta musica classica per poi ritornare ad ascoltare principalmente rock e derivati. Ho avuto anche una parentesi di metal estremo (thrash, death e black). Da qualche anno ascolto con inesauribile curiosità la musica progressive e le sue contaminazioni con altri generi.

Il computer è stato determinante per la mia vita, sia lavorativa che artistica. Penso che la sua ormai capillare diffusione sia un’opportunità preziosa che permette un approccio moderno a qualunque tipo di arte, uno strumento musicale a basso costo, ma dalle potenzialità e dalla versatilità (quasi) illimitate. L’arte, in ogni sua forma, non è un passatempo di nicchia, è un’esigenza umana che trova mille sfoghi, è incontenibile, inarrestabile e il computer permette di canalizzare la propria fantasia e creatività in modo efficiente e veloce.

Davide

Parlami di Tuddhi, diviso in cinque parti, ciascuna intitolata Tuddhu. Cos’è un Tuddhu?

David

Tuddhi è solo una piccola parte di tutto un lavoro di ricerca e sperimentazione condotto insieme a Urkuma.

Nasce nel nostro piccolo studio di registrazione da un approccio molto improvvisativo, jazzistico oserei dire. L’elettronica è sempre presente, ma non predominante. Il sapore principale che si avverte è di tipo elettroacustico, più che elettronico. Il computer è presente, ma solo come contorno per amalgamare tradizionali suoni di chitarra elettrica, basso elettrico e clarino.

“Li tuddhi” è un gioco di abilità, molto diffuso fino a qualche decina di anni fa nel Salento, che consiste nell’effettuare dei lanci in aria con cinque sassolini arrotondati, detti “tuddhi” appunto, in condizioni di difficoltà via via crescente. Come nella nostra release, in cui ogni traccia è un “tuddhu”, un esercizio di abilità molto divertente da fare, e anche molto piacevole da ascoltare.

Davide

In questo momento sto ascoltando “Uncertainty”… Pura elettronica, bella, emozionante… Poi arrivano Matracone con la prima voce che sento tra tutti i tuoi lavori, vocoderizzata al modo dei grandi Kraftwerk, Violent anguish ha un basso distorto che fraseggia quasi al modo delle musiche “noir” di Simonini… ed è la prima cosa che ascolto tra le tue che abbia un qualche rapporto con le note musicali. Ma anche No time no space, quella chitarra… e avanti… In questa tua release ci sono note, frasi armoniche o melodiche, arpeggi, accordi, accenni, voci… Un album molto diverso dagli altri…

David

Uncertainty è il mio primo album, ed è il frutto di una transizione interna, un passaggio scritto tra il mio passato musicale, quello della musica tradizionalmente intesa, fatta di ritmi, melodie e spartiti ad una consapevolezza meno pop, più naïf. Uncertainty segna musicalmente la mia conquista della posizione eretta. In esso si odono ancora patterns cacofonicamente riconoscibili, farciti da suoni disturbanti che da essi nascono e prendono il sopravvento. Non a caso tutta la release è racchiusa tra le due “Steady states”. Tutta la release racconta un momento della mia cultura musicale, uno screenshot della mia sensibilità artistica, il passaggio dal precedente al successivo. In questa raccolta sono presenti i primi trent’anni della mia vita, una sorta di battesimo vibrante, un addio e un’iniziazione. Con uno stato stazionario inizia, ripercorre pensieri e momenti, suoni e rumori, effettua la sua parabola e termina ancora in uno stato stazionario, identico per certi versi, ma profondamente diverso.

Davide

Dove pensi che stia andando l’elettronica? Riesci a prefigurarti una direzione per quella che un tempo era la musica ad hoc di ricerca di territori inesplorati, ormai estesamente esplorati e investigati?

David

Il futuro dell’elettronica sarà senz’altro influenzato dall’evoluzione culturale, sociale e mediatica del periodo in cui viviamo e, per il fatto che siamo immersi in questo contesto, una valutazione su larga scala, come quella che tu mi chiedi, richiederebbe un’astrazione difficilmente raggiungibile da chi ci sta dentro. Ormai da qualche anno l’elettronica ha raggiunto un tale livello, da essere ormai alla portata di tutti a poco prezzo e questo ha permesso a tanti (come a me) di potersi esprimere senza dover investire capitali, svincolandosi dalle politiche commerciali delle majors discografiche.

A tal proposito, penso che l’industria discografica nei prossimi anni debba cogliere, accettare e adeguarsi a questo cambiamento radicale nella circolazione musicale, se vuole sopravvivere.

Davide

Prossimamente?

David

Sta per essere pubblicata la mia ultima release, molto probabilmente su supporto fisico, “Miserere alla storia”; non posso dare ulteriori dettagli sulla label che la pubblicherà perché sono ancora in trattative.

Si tratta, ancora una volta, di una release fondamentalmente diversa dalle precedenti. Suonata interamente con un vecchio organo elettrico Farfisa, danneggiato nell’elettronica e inutilizzabile per scopi tradizionali, ma tutto da scoprire come timbrica e dalle potenzialità entusiasmanti. E’ una release fondamentalmente elettroacustica, interamente suonata. Il computer è servito solo per la registrazione, l’equalizzazione e la masterizzazione finale. Il risultato è un magma elettrico con sotterranee contaminazioni rock-prog, potentissimo.

Davide

Grazie, e à suivre.

David

Grazie a te, alla prossima.

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