Linsay Kemp al Punto Arte
Raffinatissimo protagonista, è l’eclettico-coreografo-scenografo inglese, che si è esibito diverse volte al Teatro Comunale, e con
Flowers nella versione estiva di Piazza Grande. Come diversi personaggi dello spettacolo, tra i quali Pasolini e P. Leroy (in scultura), anche Lindsay Kemp si dedica alla pittura, tracciando una sorta di diario visivo, in appunti di una fervida creatività, con cui mette a punto unn codice visivo, concretizzando impressioni come tappe di un Work In Progress, con cui elabora immagini colte in movimento.
Sono percezioni , apperentemente labili, ma sembrano corrispondere al faustiano “Fermati, sei bello!”, catturando l’immagine trascolorante in un attimo, condensato nell’astanza, attraverso un gioco metaforico di un caleidoscopio cangiante, captando in flash-back uno spezzone di un STREAM OF CONSCIOUSNESS, per dirla con W. Jaes, seguendo il filo dell’evocaizone lirica. E’ un segno fluido, e setoso come una carezza, che s’insinua a tessere frammenti iridati del contingente fenomenico, appuntando stralci in una trama marezzata, come la tennysoniana LADY
OF SHALLOTT.
Queste eleganti silhouettes, di gusto simbolista, si condensano in strutture sintetiche rarefatte e trascoloranti com il codice di notazione di una pentagramma visivo.
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Le bambole di Lucia Preitano son protagoniste indiscusse di un’avventura scenica, come i pirandelliani Personaggi in cerca d’autore.
La brava artusta messinese tradisce in queste, fragili silhouttese di porcellana, elegantemente agghindate, come se cominciassero a mimare gessti e passi per uno spettacolo imminente, una vocazione di costumista, che potrebbe agevolmente operare nel formato LIFE SIZE per attori in carne e ossa.
Tradisce, in questa micro-sfilata di mosa e costume su trepide bambole, dagli occhioni sgranati sul teatro del mondo, uno studio annoso, amorevole e accurato del costume, occhieggiando anche al repertorio consumato della commedia dell’arte alle elaborate mises e acconciature barocche, in una ricerca sempre condotta con criteri storico-filologici: la storia diviene riveduta e corretta, in una ricetta scenografica, condita di humur e fantasia.
Si aspetta, come nella Coppella di Delibes, che queste bambole, inchiodate all’immobilità per l’incantesimo di una perfida strega, si scrollino di dosso i condizionamenti della megera, sciogliendo gli impacci di un meccanismo inceppato, per slanciarsi nella danza, in un’atunomia di movimento.
Dinanzi a queste, delicate protagoniste, si assiste a un trait-d’union con il mondo della fiaba e dell’illustrazione; con le acconciature e i duriosi copricapi che adornano queste fattezze levigate, si pensa al
TE’ DEL CAPPELLAIO MATTO di “Alice in Wonderland” di LEWIS CAAOLL e si sprofonda dolcmente nel sogno, come ne I fiori della signorani Ida di Andersen, in cui, allo scoccare fatidico della mezzanotte, fiori, giocattoli e babmbole si scuotono dal torpore, per acquisire autonomia di movimento e diventare protagonisti della fantasia e del sogno.
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Elisabetta Gnoli, pittrice e restauratrice apprezzata, dà luogo alla sua produzione naturalistica nella cornice di COUNTRYLYFE, fiera del viver ecologico.
E inghirlanda serti di niveo candore di magnolie, risaltanti tra foglie lucenti oppure occhieggiano fiammeggianti corolle di gerani aromatici.
A tradire il pieno autunno, dispone serti di ortaggi: trecce d’aglio. abbinate a zucche dorate che non si tramutano in carrozze, come in
Cenerentola, ma rilucono come gli aurei pomi del Giardino delle
Esperidi.
Si segue l’avvicendarsi del ciclico delle stagioni: i fiori essendo simbolo della primavera, intesa come germinazione della natura; i fulvi, sapidi serti di grano, per l’estate; i vividi, dorati frutti per l’autunno; una sintesi scarna di rami nodosi, tra cui rifulgano le sfere aromatiche delle arance per l’inverno.
Elisabetta Gnoli è anche apprezzata ritrattista e autrice, di tenerissime maternità, in cui le delicate fattezze di bambini sembrano riferirsi a maesrti antichi, come Correggio. E’ restauratrice di dipinti e di antichi affreschi; è autrice di cicli Trompe-l’oeil e
Murales.
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Michele Pavel – Sono scoccate 92 primavere, per l’eclettico artista, di origine russa; versative docente di matematica, folosofo, musicista e apprezzato poeta.
Il bravo artista, di finissima cultura e umanista, sa captare fervidi umori e tensioni materiche nella prima fase figurativa, taglio espressionistico, in cui si enuclea l’humus di una ferracità terragna, avvertita nelle scansioni ozonomatiche, in una resa sintetica del dato sensibile, tradotti in scampoli di una visione dell’alo.
Pavel si è poi cimentato con un lungo, accurato studio della simbologia esoterica e orientale: ecco allora spuntare una ridda di
MANDALA, figure simboliche, già care allo Jung di ARTE E ALCHIMIA:
“Oppure son motivi sinuosi, a inseguirsi, a rammentare l’avventura presocratica della materia, ricondotta agli Elementi.
Si avverti in queste opere, in queste motivi e simboli, che campeggiano in fondi emblematicamente nudi: e gli Elementi si enucleano nel vuoto pneumatico. “In principio era la Terra…” recita la Genesi.
Ma non dimentichiamo che, alla base dell’artista russo, c’è non solo una robusta formazione matematica, ma un lungo, lervicace studio musicale, cui non è estranea un’indagine sulla simbologia del colore, sulla scia della goethiana teoria delle ombre colorate, della teoria corpuscolare e ondulatoria, senza volermi addentrare nel campo minato della fisica.
Avvincente, la produzione degli ultimi anni, che fanno inserire l’artista nell’ambito dell’arte segnica: una famiglia etereogenea, che vede allineati grandi talenti simbolisti come HUNDERTWASSER, accanto a
WOLS Mathieu, senza trascurare i WHITE ALPHABETH di Mark Tobey; o è un assieparsi di linee di Hartung: tra i segnici “nostrani”, annoveriamo l’arte concreta di Mario Nigro le calibrate composizioni del lirico
Guido Strazzq, le filiformi estenuazioni di Boille senza tralasciare i comitoli segnici di Scahavino, le griglie di
Capogrossi.
Si avverte una diversa matrice in queste strutture simboliche di Pavel per dirla con Umberto Eco, siamo alle prese con un’opera aperta, in cui si nota l’influsso degli ideogrammi orientali e si pensa all’avvenura cinese di Ezra Pound{} o all’Impero dei segni di Roland
Barthes.
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Presso Palazzo Margherita, una mostra documenta le antiche attività, legate all’alimentazione, nella vecchia Modena da fine ‘800 agli anni
’40. Il Menù, però, riguarda la pubblicità di varie leccornie nella collezione delle figurine Panini.
Nuovo corpus di disegni, delle donazioni alla Civica, in mostra ai
Giardini, tra cui una bella personale di scenografia e bozzetti pubblicitari di Koki Fregni e una rassegna di poesa visiva, del fatidico Gruppo ’63.
Jole Caleffi alla BNL di v. Scudari: è un itinerario che parte dall’emblematico Dripping, all’informale, fino all’insinuarsi del colore in strutture geometriche di vividi colori primari; ora, opta per monocromie color sabbia, appena intaccata da una griglia segnica.
Avvincenti i lavori, a colori vividi, che ricalcano strutture Mandala e ideogrammi orientali su Batik, Di raffinata concisione formale, le accensioni timbriche, delicamente stemperantesi nel crogiolo cromatico, ottenute a tempera e acquerello. Una percentuale sulla vendita è destinata a Telethon.