After all my turning this fire is still burning
Il ‘ragazzo d’acqua’ è tornato, ed è una notizia che non può in alcun modo lasciare indifferente chiunque abbia seguito da vicino il viaggio musicale compiuto negli anni ’80 dai Waterboys.
Siamo dunque di fronte a un nuovo lavoro di Mike Scott, e ci vuole poco ad immaginare che anche in questa occasione assisteremo a una sorta di diffusione quasi ‘sotterranea’ dello stesso, ovvero ben difficilmente circolerà in rotazione continua su Mtv un video di Mike, tantomeno le radio passeranno i suoi pezzi insieme a quelli di Eros o di Giorgia, ma siamo certi che un buon numero di ‘adepti’ del verbo del menestrello scozzese (e non sono pochi) non mancheranno di procurasi questo “Still Burning”.
Anche l’opera dei Waterboys non ha certo mai goduto di massive spinte pubblicitarie o di marketing, comunque l’invito per chi non ne abbia mai sentito parlare è di procurarsi i loro dischi (sono ormai negli scaffali ‘mid price’ in tutti i negozi) ed entrare così nella
‘dreamland’ che Scott, avvalendosi di numerosi collaboratori alternatisi sotto la sigla Waterboys, ha creato nel corso del decennio dal 1983 (anno di uscita del disco di esordio)al 1993, quando uscì quel “Dream harder” che è l’ultimo lavoro a firma Waterboys, ma che può tranquillamente essere considerato il primo disco solista di
Mike.
Il talento poliedrico dell’uomo di Edimburgo ed i suoi interessi per le più svariate forme musicali lo hanno portato da un iniziale fase di rock elettrico di grande portata epica (si vedano i primi tre album dei Waterboys, con il vertice nel capolavoro “This is the sea”, del
1985) a reinventarsi cantore delle tradizioni e dello spirito d’Irlanda, andando a incidere (e a vivere) sulla costa occidentale dell’ isola di smeraldo e sfornando due lavori imprescindibili come
“Fisherman’s blues” e “Room to roam”, dove troviamo Van Morrison e
Yeats, i fiddles e i tin whistles per una manciata di canzoni per danzare, pensare, commuoversi e sognare.
Poi, dopo il citato “Dream harder”, forse un po’ penalizzato dal confronto con quanto lo precedeva, ma comunque un lavoro da non trascurare, Mike comincia a correre da solo e lo fa nella maniera meno attesa, presentando, nel ’95, un disco totalmente acustico,
“Bring’ em all in” pieno di composizioni molto intime e delicate, certamente, comunque, all’antitesi di un discorso di larga diffusione commerciale.
Da questo punto di vista, forse, fortuna migliore potrà capitare a questo ultimo lavoro, che, pur scontando la prevedibile assenza dell’utilizzo di strumenti di diffusione massiva, presenta composizioni più immediatamente ‘fruibili’ anche da chi non sia un fan integralista di Scott, se non altro per via del ritorno da parte sua ad una dimensione di band elettrica.
Quando parte “Questions”, che apre il disco, un brivido percorre immediatamente la schiena dei vecchi aficionados, semplicemente per il fatto di udire la voce incalzante di Mike che tanto in passato era stata capace di emozionare, poi, procedendo nell’ascolto ci si accorge che in “Still burning” vi sono anche composizioni meno riuscite, a nostro parere contenute nella seconda metà dell’opera, che pero si conclude con due pezzi eccellenti quali “Sunrising”, sorta di (ci si passi il termine) ‘road-song’ estremamente intensa e sentita ed
“Everlasting arms”, dove si torna alle atmosfere del lavoro acustico per ascoltare una toccante preghiera sussurrata da Scott accompagnato da chitarra e pianoforte.
A tale proposito non si può fare a meno di notare, e lo testimonia ampiamente anche il citato disco precedente, come Mike mostri ora in taluni suoi pezzi un senso religioso che si estrinseca in un rapporto con Dio attraverso una sorta di invocazione estremamente semplice e diretta, con cui si rivolge a un essere superiore mediante una preghiera, per così dire, ‘tradizionale’, laddove in passato lo stesso artista aveva mostrato una concezione della divinità non come qualcosa di ben definito, quanto di insito nella natura stessa, ovunque e in nessun luogo (si veda a tal proposito il pezzo “Church not made with hands”, del 1984: “…la chiesa non costruita con le mani/ non circoscrivibile dall’uomo/ quel luogo prezioso/ non creato/ dall’uomo), forse per via della profonda influenza su di lui esercitata dalla cultura degli indiani d’America.
Dal punto di vista musicale, “Still burning”, benchè discontinuo, presenta alcune gemme tra cui, oltre i pezzi già citati , sono da menzionare la sognante “Open” e “Love anyway”, dove il lavoro degli archi ottiene risultati di grande suggestione; nulla si è perso, riguardo ai testi, di quel poetico misticismo e di quella spiritualità che hanno da sempre permeato le opere di Scott, riuscendo a darci ogni volta la sensazione di nascondere un significato più profondo di quello immediatamente percepibile.
Mike Scott prosegue dunque nel suo viaggio musicale, incurante delle mode del momento e del music business, con cui palesemente cerca di avere a che fare il meno possibile, l’unico modo per entrare nel suo mondo è quindi attraverso le parole delle sue canzoni:”..I’ll savour the softness of summer / I’ll wrap up when winter blows / and wherever
I’m going I’ll go / in search of a Rose ” (da “In search of a Rose”,
1990) ; potrebbe allora accaderci, un giorno o l’altro, di trovare davvero, sulla nostra strada, una rosa.