LA CHIAVE scattò nella toppa, con uno scatto metallico il cancelletto si aprì. La ragazza attraversò a passi veloci il piccolo cortile della casetta di mezza campagna, facendosi scudo con la borsa di fronte all’acquazzone primaverile appena esploso, contro ogni previsione.
Gocciolante, appena dentro appese la sua borsetta all’attaccapanni.
“Lella, sei tu?” disse una voce. “Sì, sono io. Sono a casa!” “Oh, povera Stella, hai preso l’acqua! Non avevi l’ombrello, vero?” “No.
Non m’aspettavo piovesse, così di punto in bianco.” La Lella si accese una sigaretta, e con un tonfo sordo si lasciò cadere su una poltrona, di faccia all’amica e convivente. Tirando lunghe, avide boccate, guardava il soffitto, inseguendo un pensiero dall’aria stanca, tenendo le belle, snelle gambe a cavalcioni su un bracciolo della comoda poltrona, utilizzando l’altro come poggia schiena.
Le sue labbra, che disegnavano una boccuccia a forma di cuore aperto, si avvinghiavano elegantemente al filtro, e con altrettanta eleganza plasmavano le folate di fumo che soffiava fuori.
Elastiche, le gambe calciarono via gli stivali di cuoio, che caddero disordinatamente sul pavimento. Senza parlare, continuava a guardare il soffitto, rincorrendo le piroette di fumo, che aleggiavano assieme all’odore di caffè e profumo da donna. “Cosa c’è, Lella? Qualcosa non va?” “Oh, Simona, se tu lo avessi visto!” “Chi? Cosa?” “Ma niente, niente. Si tratta di Luca.” “Che c’entra Luca?” “Mi ha sputato in faccia ciò che si è tenuto dentro da due anni a questa parte.” “Ma parli di Luca… Luca?” “Sì, è lui. Quanti altri Luca ci sono alla facoltà?” “Non ti seguo, Lella, proprio non ti seguo. Cosa dovrebbe averti sputato in faccia?” “Oh, Simo, se lo avessi visto…
Aveva gli occhi iniettati di sangue. Sembrava un pazzo omicida. Ma no, ma no, cosa dico, cosa dico anch’io. Era furente, esplodeva di rabbia.
Ma io che ci posso fare?” “Cos’è che s’è tenuto dentro da tanto tempo?
Forse non me l’hai raccontata tutta, Lella.” “No, non te l’ho raccontata tutta. Ti ho raccontato molte cose, Simo, ma questa no.
Neanch’io pensavo fosse una cosa così grave; grave per lui, s’intende.
E oggi l’ho incontrato in facoltà, nei corridoi. Mi ha a malapena salutato. Io ci son rimasta di merda. Non m’aspettavo si comportasse così. Mi aveva detto, a suo tempo che ‘io e lui dovevamo parlare’.
Parlo di discorsi che avevamo fatto quando abitavo ancora con l’Eleonora, lui diceva che certe cose che io gli avrei detto lo avevano fatto stare male, che c’era qualcosa di irrisolto da sciogliere, ma non credevo che andasse ancora dietro. Beh, dicevo, lui a malapena mi saluta, io gli chiedo se è arrabbiato, perché si comporta così, e lui cosa fa? Mi guarda fisso fulminandomi con due occhi, oh Simo, se lo avessi visto, mi guardava come se gli avessi ammazzato suo padre. Dopo un breve silenzio gelido, mi aggredisce e vuota il sacco. Mi ha detto di tutto, perfino di situazioni che la mia memoria aveva rimosso da un pezzo; Io stessa non me ne ricordavo più.”
“E… quando sarebbe cominciato tutto questo?” “Io credo… mah!… penso dalla prima volta che mi ha visto, era Novembre, nel ’91, quando anche noi due ci siamo conosciute, ricordi?” Il volto di Simona si illuminò di tenerezza, il suo sorriso esprimeva un affetto sconfinato per l’amica. Le due si scambiarono occhiate d’intesa. Poi Simona riprese: “Già, mi ricordo, ci eravamo tutti trovati per caso. Ricordo ancora quando Luca venne in biblioteca per chiedermi di riservargli un
Duden perchè il giorno dopo avrebbe avuto un esame, e poi la sera stessa ci venne a trovare a casa tua.” “Ti dirò di più: fu l’Eleonora a telefonare a casa sua per chiedergli se aveva saputo l’esito di un esame, poi anch’io gli ho parlato un po’ al telefono. Solo che aveva molte cose da dirmi, così io mi sono offerta di andarlo a prendere con la macchina e prenderlo con noi. Sì, c’eri anche tu, e c’era anche
Simone, l’Eva… ecco, è dai discorsi che facemmo quella sera che tutto ha avuto origine, da allora in poi sono cominciati i suoi tarli nei miei confronti.” “Vai, Lella, sono tutta orecchi, la cosa mi interessa assai!”. “Ah, già. La vicenda è molto semplice. Al di là di tutto lui soffre perchè mi desidera, perchè vorrebbe amarmi, vorrebbe
possedermi, avermi tutta per sè, e sa che io non potrò mai ricambiarlo. L’ho capito subito, da quando mi parlava di musica, da quando mi aveva chiesto cosa ne pensassi del suo modo di ballare, da quando… da quando ha cominciato a correre dopo che gli ho dubitato sul suo stato di forma fisica… da sempre, oramai so riconoscere quando una persona mi desidera e ha paura di farmelo capire, eppure manda silenziosi messaggi. Mi spiace… ma non posso, soprattutto quando uno mi fa capire che non si sente all’altezza, e non fa nulla nemmeno per convincermi.” “Forma fisica?” “Ma sì, è talmente ossessionato dalla paura di non piacere, che riesce a liberarsene solo se corre un tot al giorno. Non hai visto com’è dimagrito, da Febbraio dell’anno scorso? Deve essere stato uno scrollone terribile, sentirsi giudicare da una persona che desiderava. Povero! Oddio, giudicato, lui diceva di fare solo della ginnastica, per mantenersi in forma, e io gli ho chiesto se quello che faceva era abbastanza. Ho visto subito che ha accusato il colpo, ma io non intendevo ferirlo. E’ solo perchè lui mi vede forte, e crede di non esserlo, e si demoralizza. Ha reagito, ma è stata una cosa sofferta. Lui mi porta molto rancore. E odio. E amore. Luca è una persona molto sensibile. E’ più avanti dell’età che porta. Forse è per quello che si sente così a disagio, così incompreso, ma in fondo è anche colpa sua. Sapessi certe fisime che ha. Se solo riuscisse a liberarsene. E’ troppo permaloso. E’ difficile essere naturali, disinvolti e sereni, e sprigionare il proprio fascino se ci si mangia il cervello cercando di trovare risposte ad interrogativi… che non hanno risposta, che sono da accettare come sono.
Sfogo
continua