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Futuro

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Futuro

Simone si svegliò come sempre alle sette e dodici minuti, pochi secondi prima che il computer domestico facesse trillare la sveglia.
– Computer, annullare funzione sveglia – disse, con voce roca.
Alla veneranda età di novantasei anni non riusciva ancora ad abituarsi a dover parlare ad un computer. Ai vecchi tempi bisognava usare una tastiera, o al massimo un mouse.
– Funzione sveglia disattivata. Buongiorno, signore. Vorrei fare una osservazione, se me lo permette.
– Avanti, spara – rispose Simone con tono burbero.
– Spiacente ma nella mia dotazione Hardware non sono attualmente comprese armi di nessun tipo. Desidera forse installarne qualcuna? In
Rete sono accessibili molti fornitori di dispositivi per la protezione domestica.
– No, maledizione! – rispose il vecchio, maledicendo nel contempo anche se stesso per essere caduto nel solito vecchio tranello: attribuire al computer una vera intelligenza. Parlavano in modo così naturale a volte…
– Vorrei sentire quella osservazione, se non ti dispiace- riprese
Simone, sospirando, seccato.
– Come desidera. Nelle ultime tre settimane, la funzione sveglia è stata sempre disattivata poco prima di entrare in funzione. Suggerisco di disattivare permanentemente tale funzione in quanto probabilmente inutile.

Simone sentì un fremito di collera pervadergli le stanche membra. Come si permetteva quello stupido computer di dargli persino dei consigli?
– Fottiti, tu e i tuoi suggerimenti, hai capito?!!
– Questo comando non figura nella lista dei comandi riconosciuti.
Desidera forse creare un nuovo comando vocale?
Questo è troppo, pensò il vecchio. Socchiuse le labbra per indirizzare al microfono una lunga sequela di insulti coloriti, “di quelli che si usavano una volta”, quando all’ultimo istante gli venne un’idea migliore.
– Sì, voglio creare un nuovo comando. La parola chiave è “fottiti”.
Quando riceverai questo comando, voglio che spegni tutte le procedure di ordine superiore, lasciando solo quelle per la gestione dell’appartamento. Starai in questo stato di minima attività per sei… no, otto ore, al termine delle quali inizierai una re-installazione di tutte le tue routines. Resta inteso che col comando di emergenza riattiverai subito tutto quanto senza aspettare il termine delle otto ore. E’ tutto chiaro?
– Affermativo. Il nuovo comando vocale è stato correttamente registrato.
– Molto bene. E adesso fottiti, computer.
Dagli altoparlanti non giunse nessuna risposta.
– Computer? – provò a chiamare il vecchio. Nessuna risposta.
“Perfetto” pensò, e col sorriso sulle labbra si accinse a vestirsi per uscire. Uno sguardo sul monitor ultrapiatto appeso al muro sopra al comodino gli confermò che fuori il sole splendeva alto. “Ormai siamo in piena estate” pensò. “Una volta la si sarebbe definita una bella giornata”.
Si infilò una tuta leggerissima e aderente. Il materiale con cui era costruita si modellava seguendo i contorni del corpo e vi si adattava come una seconda pelle. Era impossibile forarlo o tagliarlo con un coltello. Il fatto che fosse così aderente lo faceva comunque sentire a disagio. Quella roba stava bene addosso a qualche avvenente ragazzina, e non ad un vecchietto quasi centenario come lui. Non che fosse poi male, per la sua età. Grazie ai farmaci del ventunesimo secolo la durata media della vita si era allungata fino ai centoventi anni. In compenso le nascite erano in drastico calo. Le proiezioni più ottimistiche davano un ottanta per cento della popolazione mondiale oltre i sessant’anni entro la fine del secolo.
Sopra alla tuta aderente indossò quello che comunemente veniva definito “Protector”, una sorta di lunga mantella con cappuccio. Al tatto era floscia e morbida, ma quando l’ebbe indossata toccò un pulsante vicino al bavero e i particolari polimeri di cui era composto il cappuccio, al passaggio di una lieve corrente elettrica si irrigidirono fino a formare una sorta di casco attorno alla testa di
Simone. Nonostante le strade fossero ormai piene di pazzi e di criminali, lo scopo del Protector non era quello di deviare i loro attacchi. Era stato concepito per riparare dal sole.
“Ci sarebbe quasi da ridere” pensò tra sè e sè.
Dopo la scomparsa quasi totale dello strato di ozono nell’alta atmosfera, avventurarsi all’aperto privi di protezione significava esporsi ad un elevato rischio di cancro alla pelle. Per non parlare poi delle semplici ustioni.
La porta di casa, un lastra blindata di acciaio plastico rivestita da pannelli in finto legno, si aprì docile al suo tocco. La maniglia aveva dei sensori in grado di riconoscere le sue impronte digitali.
Uscito nel corridoio, richiuse la porta dietro di sè. Ora solo lui avrebbe potuto riaprirla. Il lato esterno era comunque segnato dai tentativi di innumerevoli balordi di entrare senza permesso. Qualcuno aveva persino tentato di darle fuoco, come testimoniava una macchia scura vicino al pavimento. Tutto inutile. Quella porta gli era costata un sacco di soldi, ma erano stati spesi bene.
“Per fortuna che ho mandato al diavolo quel maledetto computer” pensò.
“Altrimenti mi avrebbe già augurato una buona passeggiata”.
Simone si incamminò con tutta la velocità concessagli dalle giunture doloranti lungo il corridoio del condominio. Un odore di muffa e altre indefinibili sostanze permeava l’oscurità. In tutto il palazzo non c’erano finestre che davano sull’esterno. Le luci automatiche che avrebbero dovuto accendersi al suo passaggio erano guaste da anni, e nessuno aveva mosso un dito per farle riparare. Che bisogno c’era?
Tanto ormai nessuno del palazzo metteva piede fuori di casa più di una o due volte all’anno. Nessuno tranne lui, naturalmente. Simone era sempre stato molto attento a non cedere troppo alle lusinghe e alle comodità offerte dai computer e dalla Rete. Gli piaceva pensare a se stesso come ad un grande e vecchio albero, con radici ancora forti, radici piantate in un altro secolo, quando tutto era più umano. Quando si sentiva in qualche modo sopraffare dalla deprimente realtà del mondo che lo circondava, riandava volentieri indietro nel tempo con la memoria, che per fortuna non lo aveva mai tradito. Quando era solo un ragazzo, era normale per le persone spostarsi, uscire di casa e recarsi al lavoro, a fare spese, o semplicemente a fare una passeggiata, curiosando nelle vetrine dei negozi…
Ormai quasi tutto si poteva fare direttamente da casa propria. In tutte le case un computer semi-intelligente, oltre che a controllare l’ambiente domestico, consentiva al suo padrone di lavorare comodamente seduto sulla propria poltrona, di accedere ad ogni sorta di informazioni al solo tocco di un dito, di comunicare con qualsiasi altro utente della Rete (ormai il 94% della popolazione possedeva almeno un terminale, per merito della onnipotente multinazionale
Mycrosoft) e di ordinare qualsiasi cosa la sua carta di credito consentisse di acquistare. Le merci, pagate sempre attraverso la Rete, venivano poi recapitate da una organizzazione internazionale di corrieri veloci e discreti. Correvano voci che i loro furgoncini elettrici gialli e neri non fossero guidati da esseri umani. Speciali sensori che “annusavano” una banda magnetica incorporata nell’asfalto e un sistema di sorveglianza satellitare consentivano loro di guidarsi da soli. Del resto,che i taxi utilizzassero quel sistema già da anni non era un segreto per nessuno.
Simone non potè fare a meno di ricordare le sensazioni che si provavano a guidare veramente una automobile. Una vera auto a combustione interna. Ormai le riserve di petrolio erano esaurite, e i nuovi modelli a combustione di idrogeno erano solo per chi poteva permettersele. Simone non era uno di questi.
Mentre scendeva le scale, i soliti rumori del condominio lo accolsero come a ricordargli quale fosse la sua realtà, ormai. I due coniugi dell’appartamento 206 stavano nel bel mezzo di uno dei soliti litigi.
Due persone e un solo terminale d’accesso alla Rete… Facile trovare un pretesto qualsiasi per accendere una lite. Il vecchio si chiese tristemente che fine avessero fatto i buoni sentimenti di una volta.
Quando era giovane, ci si lamentava spesso della crescente violenza, delle crisi dei valori… Ed ora avrebbe dato tutto quello che aveva per poter tornare a quel periodo, per spostare le grandi Lancette del
Mondo di mezzo secolo indietro.
Sotto la porta del 203 filtrava una luce bluastra e intermittente, nitida nel buio del corridoio. Era sempre così. Quello strano ragazzo
(lo aveva visto solo un paio di volte) doveva stare collegato al suo terminale 24 ore al giorno. Che fosse morto? In tal caso, nessuno se ne sarebbe accorto per giorni, forse per settimane. Forse nessuno se ne sarebbe mai accorto.
Scuotendo la testa canuta sotto al cappuccio del Protector, Simone scese l’ultima rampa di scale, diede un’ultima occhiata ai cumuli di spazzatura che crescevano negli angoli dei gradini, e poi uscì fuori.

Quanta luce! Il sole batteva impietoso sull’asfalto, trasformandolo in un nastro rovente e appiccicoso. Nonostante la temperatura raggiungesse i quarantacinque gradi, il Protector faceva il suo lavoro senza protestare. Oltre ad offrire una buona schermatura dalle radiazioni pericolose, un impianto interno di refrigerazione a liquido evitava al suo padrone un surriscaldamento eccessivo.
Una macchina elettrica passò sfrecciando silenziosa a pochi passi dal vecchio, che continuava nel suo incedere lento ma deciso. Simone imboccò una via che passava per il centro della città vecchia, una via che una volta era stata chiamata Emilia. Tanto tempo prima, quando era ancora consuetudine chiamare le strade con dei nomi, e non con dei codici numerici. “quando sarò morto”, pensò rabbuiandosi un poco, “ci sarà ancora qualcuno che si ricordi queste cose?”
Era una domanda destinata a restare senza risposta. Il centro della città vecchia lo accolse presto dentro di sè. La temperatura screpolava le pietre già corrose dall’inclemenza del tempo. Il cuore della città era morto; nessuno abitava più in quelle vecchie case, nessuno percorreva più quelle strade, ancora lastricate con cubetti di porfido. La popolazione della città, giunta ormai a contare quasi due milioni di anime, viveva ora nei quartieri ad alta tecnologia periferici.
Il silenzio era quasi totale. Il calore impregnava l’aria facendo tremare il paesaggio. A Simone venne improvvisamente in mente un haiku di Basho:

shizukasaya

iwa ni shimiiru

semi no koe

“Niente più cicale, vecchio mio”, pensò Simone, e si commosse quasi fino alle lacrime.

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continua

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