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viva le suocere!

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viva le suocere!

Lei avrebbe dovuto poter lavorare in pace, senza che quell’odioso uomo continuasse a riempire il pavimento di carta accartocciata e a passeggiare su e giù per la stanza con le scarpe in cuoio ben rifinite, lucidate perfettamente, tutte ricamante da ben 205 finti forellini che disegnavano graziose arcate leggere sulla pelle marrone scuro di quel povero, defunto vitello, e dalla suola nera e larga lavorata con innumerevoli segnetti orizzontali, che permetevano al fango, alla polvere e a tutto quell’odiso sudiciume di essere così comodamente trasportato in casa.
Lei avrebbe senza dubbio dovuto lavorare senza tutto quel fastidiosissimo disturbo, non era un impegno da poco, checchè lui ne dicesse, pulire a fondo e con cura le crepe di quel povero pavimento di marmo, e con il solo aiuto di un piccolo spazzolino da denti blu, marca Gibbs, si badi bene !
Lui, quel’insopportabile individuo, non aveva neppure la minima idea di quali demoniache sporcizie potessero infilarsi in una anche piccola crepa, anzi avrebbe dovuto esserle estremamente grato del penoso lavoro che ogni giorno, sì proprio ogni giorno, lei svolgeva con così tanta cura.
Quella stanza era piena di così tanti ricordi per lei ! Era stata prima di suo marito, il suo povero e rimpiantissimo marito, poi della sua adorata e carissima figliola, poi in ultimo l’aveva presa come studio il suo inetto genero.
Pretendeva di essere un avvocato, sempre in mezzo a libri e a carte, non si poteva proprio chiamare uomo quello, lei lo speva bene! E quanto aveva fatto penare la sua povera figliola, morta così prematuramente e per mala sorte. La guardava sempre da sopra in sotto con quei ridicolissimi occhialini cerchiati, leggerissimamente coperti da due ciuffi di capelli grigio chiaro che sembravano quasi un sipario sul punto di aprirsi, e lasciavano intravedere due acute stempiature da uomo di mezza età.
Lei davvero lo disprezzava, lui forse la detestava, quando invece doveva esserle solo grato.
– Io ho finito! Luca è già partito, questa mattina presto, verso le sei. Lo sono venuti a prendere. Si mangia come al solito.
– Va bene Jessica
Che tono tranquillo, ma faceva bene ad essere così tranquillo, per i disturbi che aveva, con una cara donna come lei in casa, che gli faceva proprio tutto, anche al figlio, ormai proprio un bel ragazzo il giovane Luca, ci pensava sempre lei, a stirargli tutte quelle strane magliette colorate, a buttargli via tutti i giornali e le riviste vecchie e i fogli già scritti che lasciava sulla piccola scrivania che aveva voluto nella camera da letto.
Il suo piccolo Luca, ogni mattina ci pensava lei a svegliarlo alle sette in punto, in modo che potesse subito mettersi a studiare per la scuola, quella grande, l’università. Lui, il suo piccolo, era un vero sognatore, gli piacevano le stelle e non studiava altro, lo sapeva bene lei, perchè appena usciva andava a vedere sempre dentro i suoi libri, e leggeva ogni foglio scritto che trovava.
Certo, lei avrebbe preferito che si fosse messo a studiare qualcosa di più concreto, il suo caro, povero e vecchio marito, lui sì che aveva avuto un gran bel lavoro, aveva aperto la più grande farmacia della città, tutta con gli scaffali in legno di (rovere), con due assistenti, il pavimento di lucide mattonelle nere e con tutte le vetrinette di vetro lavorato, fatto venire apposta dall’ Italia. E poi lui ci faceva un vero figurone con il lungo camice bianco, sempre tutto inamidato, con gli occhiali che gli scendevano sul petto appesi alla catenella d’oro che si era comperato dopo il primo mese, sì, proprio dopo il solo primo mese, che aveva aperto l’attività.
Peccato che anche suo marito si fosse impossessato della stanza che attualmente era lo studio di suo genero. A quell’epoca però serviva per ricevere i rappresentanti delle varie case farmaceutiche, e lei anche in quegli anni faceva in modo che tutto fosse impeccabile, dalle tende di broccato rosso scuro, alla mobiglia perfettamente lucida, e naturalmente ogni mattina puliva le crepe del pavimento di marmo.
Neppure suo marito capiva l’importanza di quel lavoro, ma certo lei non si scoraggiava, e restava lì in ginocchio anche quando, il martedì mattina, giorno di chiusura della farmacia, venivano i rappresentanti per parlare con suo marito, e lei, che allora aveva molta più energia faceva in modo che anche loro facessero uso delle pattine.
Aveva confezionato centinaia di pattine rosso scuro, in modo che si intonassero con le tende, naturalmente. Certo non capiva il rancore di suo marito verso quelle graziosissime pattine. L’importante era che il pavimento della stanza fosse pulito, gli altri non li guardava neppure, e un giorno o l’altro, quando nessuno più avrebbe camminato sulle mattonelle di marmo, avrebbe finalmente potuto occuparsi anche degli altri pavimenti.
Comunque quello sì che sarebbe stato un bel lavoro, per il suo piccolo
Luca, del resto che denaro contava di farsi standosene le notti intere a guardare il cielo con il naso ficcato dentro quello che lui chiamava, come ?.. A, sì, il suo telescopio, che aveva comperato alla fine di un’estate con i soldi che aveva guadagnato come lavamacchine.
Che vergogna era stata! Ma era così, suo nipote, uno sciocco sognatore.
Talmente sciocco che aveva deciso di andersene via per ben due settimane a studiare le stelle in un campus estivo, ed era parttito proprio quella mattina, con i suoi amici sognatori quanto lui.
Andò in cucina e si mise a preparare il pranzo per il genero, e quasi presa da un’ispirazione improvvisa aprì l’anta di un armadietto e ne tirò fuori bottiglie, vasetti, fiale, i cui contenuti versò lentamente nelle vivande che stavano cuocendo tranquille sui fornelli, e mescolò tutto con grande cura, fino a quando nessun odore strano e sospetto esalasse più dalle pentole.
Salì veloce le scale e dispose tutto per il pranzo, sistemando la tovaglia a fiorellini azzurri, le posate, la caraffa di vino bianco fresco, il pane croccante, la cesta della frutta, e naturalmente le pietanze appena cucinate.
Guardò tutto con attenzione e amore poi, in uno strillo, chiamò il genero:
– Ecco, è pronto. Io non mangio, ho assaggiato troppo preparando.
Si avviò nella propria stanza, e si mise seduta sul letto come ad aspettare, guardando con aria critica il pavimento. Ma questo era di un bel legno laccato. Sospirò come sollevata.
Il piccolo avvocato si sitemò a tavola, spiegò il tovagliolo e cominciò a mangiare con avidità; certo, quella donna poteva avere la mania di pulire il pavimento del suo studio con uno spazzolino da denti, ma infondo chi non aveva le proprie fissazioni? D’altronde bisogna avere pazienza con le persone di una certa età. E poi quando si metteva con voglia in cucina, era davvero fantastica. Strano avesse lavorato tanto quel giorno, che mancava il ragazzo. Forse aveva voluto, in un certo modo, scusarsi per la solita faccenda delle crepe da pulire. A lui poi, in fondo non infastidiva troppo, era abituato a recarsi a casa dai suoi clienti, quindi la situazione non era affatto imbarazzante. Forse avrebbe dovuto dirglielo.
Si sentiva davvero di buon umore quel pomeriggio, doveva solo sistemare qualche stupida scartoffia, poi avrebbe potuto andare dalla sua Giulia. Era proprio una bella giornata.
Si alzò dalla tavola compiaciuto avviandosi verso il piccolo salotto, dove era solito concedersi un’oretta di riposo dopo pranzo, poi sarebbe stato il momento del caffè. Le tende erano state abbassate, per avere più tranquillità. Si allungò sulla comoda poltrona verde bottiglia, e lentamente sprofondò in un sonno tranquillo e ristoratore.
Jessica si affacciò alla porta del salotto, si avvicinò all’uomo disteso, si caricò il corpo inerte sulle braccia e lo trasportò in cucina.
Sapeva di avere tutto che tempo che voleva, così se la prese con comodo, e in quei giorni in qui il nipote era lontano lavorò con calma e pazienza, ed ebbe anche tempo per riposarsi.
Quando arrivò il mattino del giorno in cui Luca sarebbe tornato si vestì con cura, preparò di nuovo la tavola, e cucinò, questa volta, con gioia, tanto, tantissimo spezzatino.
Finalmente sentì la chiave che veniva infilata nella toppa, allora si alzò in piedi e corse ad abbracciare il nipote, scoppiando in un pianto dirotto.
– Cosa è successo, nonna, dimmi !!
– Oh! Caro, caro! Tuo padre! E’ partito, per il suo lavoro, ma il treno… Oh! Che disgrazia, mio piccolo caro… Il treno… Non potremo rivederlo mai più!
Il giovane rimase impietrito, si sedette e cominciò a ragionare con freddezza.
– Il funerale ?
– C’è già stato, mio caro, non è stato possibile avvertirti.
– Tutte le sue cose ?
– Lo studio è vuoto, le carte le ha prese il suo assistente.
Si avviarono verso la cucina e si misero a tavola mangiando lentamente.
Possibile che la nonna dovesse sempre aspettare che qualcuno morisse per fare lo spezzatino?
– Hai detto che lo studio è vuoto? Potrei trasferirmici io, con quella grande vetrata è ottimo anche come osservatorio.
Non si faceva scrupoli, certo. Non era mai stato un figlio affezionato e devoto, inutile nascondersi dietro finte lacrime.
– Certo, caro, tutto quello che vuoi, naturalmente.
La storia ricominciava, pensò lei con stizza.
La prossima volta, lo spezzatino, avrebbe dovuto mangiarlo tutto da sola.

Chiara

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