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La casa

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La casa

-I-

Ce l’aveva fatta! Non sarebbe mai certamente riuscito a tradurre i suoi sentimenti e le sue sensazione fisiche in parole, neppure in pensieri lucidi e coerenti. Vedere davanti ai propri occhi “fisici” quello che i suoi occhi “mentali” vedevano ormai da quanto… già, da quanto? Quand’era stato che l’ipotesi è diventata possibile, la possibilità probabile, la probabilità obiettivo e ora… già, quando era stato? Aveva forse importanza? I suoi occhi indugiavano ora su questo, ora su quel particolare della Casa, distinguendo inconsciamente ciò che era stato deciso fin dall’inizio da ciò che si era aggiunto col tempo. Ma aveva forse importanza? Era tutto esattamente come aveva voluto, crisi dopo crisi, sfida dopo sfida, difficoltà dopo difficoltà. Come ogni comandante, aveva avuto le sue perdite, ed erano state spesso dolorose, e più di una volta si era chiesto perchè lo stava facendo. Ma cosa importava, ormai? La battaglia era vinta. La guerra era finita. Aveva costruito la sua
Casa. Niente altro contava, era felice.

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-II-

Avrebbe dovuto telefonare a momenti. Un tempo queste cose lo avrebbero fatto imbestialire. Un tempo odiava essere in attesa di qualcosa, anche se non aveva fatto altro per tutta la sua vita. Poi… beh, i suoi occhi erano riempiti da ciò che aveva fatto; non tutti gli uomini potevano avere sotto gli occhi l’espressione della loro grandezza e forza di volontà. Poteva stare ore nella Casa, ed ogni ora era nuova e diversa. Come era strano scoprire ogni ora, ogni giorno un posto nuovo che non conosceva (ma come era possibile?). La Casa era l’edificio più vasto che fosse mai esistito prima di allora. Non sapeva come mai la sua mente non riuscisse a focalizzare esattamente il concetto. La sua
Casa era… infinita? No, non rendeva l’idea. Il punto è che non aveva uno sviluppo reale ed oggettivo nelle tre dimensioni, ma… come si può dire… ogni stanza aveva un suo senso e se ne poteva conoscere solo una per volta. Potevano, teoricamente, passare giorni prima che gli fosse fisicamente possibile tornare nella stessa stanza. Comunque sia, per ogni evenienza, aveva acquistato un telefono senza fili, per non inciampare nel noioso problema di sentire squillare il telefono, e non sapere da che parte andare per raggiungerlo. E, comunque, la telefonata avrebbe potuto essere importante. Anche se, pensandoci, niente era realmente importante, ora. Aveva anche fatto installare una segreteria telefonica, senza sapere realmente perchè. Gli era sembrata una cosa giusta. Cosa contavano poi delle telefonate quando lui aveva già ottenuto tutto? Ah, già: gli altri avrebbero potuto avere bisogno di lui. Sprofondato in un divano, i suoi occhi abbracciavano e la sua mente spaziava in ciò che aveva fatto, al senso che aveva dato alla sua vita. Gli altri. Aveva il dovere di aiutare gli altri, pensava pigramente. In fondo, gli facevano un po’ pena. Beh, cosa gliene importava della telefonata!

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-III-

Si era addormentato. Quando si era svegliato, si era sentito un po’ colpevole. Pensava alla persona che gli doveva telefonare, alla sua speranza nel trovare la linea libera, ed alla sorpresa quando nessuno aveva risposto. Pensava alla sua speranza di aver sbagliato numero, al suo secondo tentativo ed alla sua nuova, cocente delusione. Non sapeva quanto tempo aveva dormito, anche perchè aveva lasciato da qualche parte l’orologio da polso, ed aveva scoperto che ogni stanza aveva un suo tempo soggettivo. Avrebbe perlomeno dovuto comprare orologi da tavolo da disporre nelle stanze. Già, perchè ogni stanza era comunicante con l’esterno. Poteva uscire in qualsiasi momento, e ciò era decisamente comodo. Ma… dove aveva lasciato l’orologio? E… quando l’aveva perso? Si accorse che la segreteria telefonica era muta, segno evidente che nessuno aveva telefonato. La sua mente esaminò la possibilità che chi doveva telefonare potesse avere riagganciato il telefono senza aver lasciato messaggi in segreteria.
No. La segreteria sarebbe comunque scattata. Non aveva telefonato nessuno. Beh, peggio per lui. Dove aveva lasciato l’orologio?

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-IV-

Lo sapeva che sarebbe successo. Il telefono senza fili era caduto e non funzionava più. Aveva cominciato a prendersela con Dio, con la sfortuna e con la sua sbadataggine, poi si era fermato. Un momento, si era detto -o aveva parlato ad alta voce?-, che importanza aveva?
Poteva portarlo ad aggiustare, e i soldi non erano un problema.
Comunque sia, non aveva fretta, e decise che avrebbe portato il tutto al negozio quando fosse uscito a fare la spesa.

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-V-

Si era infilato un dubbio nella sua mente. Doveva avere per forza telefonato, ed era inconcepibile il contrario. O no? E se la segreteria fosse stata rotta? Come avrebbe potuto udire il telefono?
Dormiva! Non sapeva esattamente che ore fossero -dove aveva messo l’orologio, dannazione!- ma sarebbe dovuto andare fuori. Perlomeno a fare la spesa. Ma, in fondo, non ne aveva voglia e poi la telefonata sarebbe potuta arrivare in qualsiasi momento. Era molto meglio stare in casa e aspettare.

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-VI-

Non poteva credere ai suoi occhi! Provviste e bibite di ogni genere lo attendevano nella credenza! Era sicurissimo di non aver comprato nulla del genere quindi… Si sentì quasi svenire di fronte alla sua opera.
Già era sua, l’aveva studiata, pensata, ideata, seguita, costruita; ed ora lei, la Casa, pensava a lui?! Il telefono però continuava a non funzionare. Forse la Casa pensava solo ai bisogni effettivi del suo creatore, non a quelli degli altri. Già. Poteva permettersi, ora, di non uscire di Casa, almeno finchè non fosse arrivata quella maledetta telefonata. Questione di poco.

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-VII-

C’era qualcosa che non andava. Sarebbe dovuto essere più felice. Boh!
Neanche il tramonto sul mare visto dalla stanza col balcone, che lo aveva sempre riempito fino all’orlo di felicità… beh, era bello, ma… Cosa non andava? La stanza con il telefono aveva un bel divano, e lo stereo era a portata di mano e di telecomando. Era bello sdraiarsi e sentire la musica. La musica lo invadeva, e certe volte pensava che il suo cervello, la sua anima si spostasse su un piano extrasensoriale (ma l’udito faceva parte dei sensi, o era una dimensione alternativa?) ed il tempo non esisteva più. Qualche volta gli sembrava di sentire il telefono, e allora si bloccava, venendo sbalzato nella piena coscienza. Erano tutti falsi allarmi. La segreteria doveva proprio essere rotta.

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-VIII-

Eh, sì. Era un bel po’ che non usciva di casa. Certe volte si guardava intorno e fissava quel maledetto telefono. Decise di cambiare stanza, e continuare il vecchio gioco esplorativo che lo aveva sempre affascinato. Dopo un po’ sentì un suono. Doveva proprio essere il telefono. Si voltò pigramente, tornando sui suoi passi. Ma dov’era finita la stanza col telefono?

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-IX-

Non avrebbe saputo dire con precisione da quanto tempo stesse suonando quel maledetto apparecchio. Un comportamento così non era ammissibile.
Quando dovevano chiamare, non chiamavano, e quando non dovevano chiamare, chiamavano. Bella roba! Ma perchè gli altri non cercano di fare qualcosa di buono, invece di scocciare? Da quanto tempo stava cercando la stanza col telefono?

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-X-

Aveva riattaccato. Roba da non credere. Era appena entrato nella stanza giusta, ed il telefono era immediatamente ammutolito. Beh, almeno c’era… C’era qualcosa in segreteria? Quindi funzionava! Era la prima telefonata, non avevano già chiamato (inconcepibile!). Si predispose all’ascolto del messaggio. Avevano riattaccato. Fantastico!
Gli sarebbe venuta voglia di prendere quel maledetto coso, sbatterlo fuori dalla finestra e farla finita con questa maledetta storia. Solo che non gli sembrava giusto. Possibile che fosse così altruista?

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-XI-

Non aveva più lasciato la stanza telefono, e nessuno aveva più chiamato. Poco male. O no? Perchè non era più felice? Doveva andare a fare aggiustare il telefono senza fili. Perchè non era più felice?

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-XII-

Era da molto che non usciva dalla stanza. La vita passava lentamente, e lui la guardava uscire dalla finestra chiusa della casa. Un particolare agghiacciante lo paralizzò per qualche lunghissimo istante, prima di espandersi e pervaderlo come un urlo lancinante di dolore con la sua greve e schiacciante realtà. Questa nuova realtà impiegò molto poco ad chiarirsi davanti ai suoi occhi confusi: non avrebbe mai ricevuto quella telefonata, non sarebbe mai più stato felice, e non avrebbe mai lasciato la Casa.

Bertani Mauro

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