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Voci che sussurrano

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Voci che sussurrano

In un mese in cui gli artisti del concorso “nella rete del giovane
Holden” hanno fatto sentire, con forza, la loro voce, non posso che essere contento nel notare come anche SUSSURRI riesca a non perdere tono e consistenza.
Sì, lo so, non c’è concorrenza, anche perchè, un po’ per volta, molti dei lavori presentati per il concorso verranno riproposti proprio su queste pagine; ma forse, lo ammetto, mi fa piacere vedere quanti non disdegnino di proporsi direttamente in questo strano ambiente letterario, alla ricerca di qualcosa di differente e di diversamente quantificabile rispetto alla vittoria in una competizione.
Non che ci sia nulla di male in questo. Anzi. Il concorso di SUSSURRI non avrebbe senso, altrimenti.
Ma. Ma forse, dopo avere scelto, insieme ad altri, quattro vincitori su settanta partecipanti, mi viene un po’ male a pensare ai secondi, ed ai terzi. Bravi, a parer mio, quasi come i primi. In alcuni casi, magari anche più bravi, ma meno in tema, o meno vicini all’idea che si voleva vedere concretizzata. Non so. Penso solo che ogni tanto sia bello anche che ci sia qualche posto in cui si vince partecipando. Si vince nel momento stesso che si decide di fare qualcosa.
Una vittoria minore.
Ma solo se chi leggerà l’opera deciderà così. In fondo scrivere per pubblicare è più o meno questo: un parlare ad alta voce in un locale pieno di gente, nella speranza che qualcuno trovi nelle nostre parole un po’ di magia. Un po’ di quel colore che noi vediamo avere, ma che spesso non è così semplice condividere con altri.
Ed è proprio per questo che non è detto che il più ascoltato, sia poi quello ascoltato MEGLIO.

Paradossalmento mi chiedo se qualcuno ha capito la differenza…

Sì, ok, adesso la smetto. Ma che volete, è domenica, c’è un sole splendido e mille e una persona che vorrei vicino adesso. Ed invece sono qua con voi a parlare di altri, nella penombra della mia camera, con il viso scolpito dai riflessi del mio monitor.
Forse ho diritto a lasciare correre qua e là qualche parola, su un tema per me così sentito… o no?

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Comincia la prima parte di SUSSURRI, quella ormai consacrata alle poesie, un autore che abbiamo conosciuto tre mesi fa: Psycho, del quale numero presentiamo due sue opere, Uomo e Amore e Odio. Testi in un certo qual modo “audaci”, ricchi di ripetizioni utilizzate per creare ritmo, e di forti contrapposizioni di concetti e temi. Una filosofia di fondo si nota con chiarezza, un senso di appartenenza ad una umanità spesso calpestata, ma sempre cercata, voluta.
A mio modesto parere, quelle proposte in queste pagine sono le più
“deboli” delle opere pervenuteci, ma in esse si distingue sempre un certo timbro, una specie di “firma” letteraria, che potrà sicuramente trovare riconoscimento.

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E con questa terza parte si conclude Windword Apocalypse di Mia Preti,
“zibaldone” di poesie, risma di pensieri dal diverso gusto, compensato da una comune “simbologia”. Le brevi “escursioni” poetiche toccano, anche questo mese, argomenti differenti, suggerendo al lettore spunti di riflessione e qualche misticheggiante visione, per concludersi nell’ultimo e, probabilmente, migliore passaggio che preannuncia la fine della notte, con l’avvento dell’alba di un nuovo giorno.
Mi è difficile, come già espresso la volta precedente, ricordare la giovanissima età di Mia durante la lettura: la scelta dei vocaboli, la complessità di alcuni punti, e la “filettatura” complessiva è sicuramente significativa. Può ovviamente non piacere un passaggio, o risultare oscuro un concetto, ma difficile è non gradire l’insieme, anche così, spezzato in più parti per motivi esclusivamente tipografici.
Aspettiamo con ansia, qualche altro passo di questa autrice.

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Continuando con una produzione in italiano di discreta forza espressiva, Untold evening tales propone questo mese il tema forse già sentito della donna lontana. In questo Saluta la luna al freddo la figura del desiderio non sembra toccare l’amore, o la passione: è infatti cauto, lieve, quasi pudico. La sera, onnipresente, copre il mondo, dividendo il soggetto narrante, dall’oggetto del suo pensare; e nella riflessione ci si accorge che diversa è pure l’atmosfera, l’approccio complessivo verso la vita. Primavera ed autunno si fronteggiano, ma senza spinta: si sa già come tutto deve finire in un domani senza migliori fortune alla porta.
Malinconico ma non depresso, questo testo ha un ritmo coinvolgente che colpisce. Forse non all’altezza della prima parte, il finale.

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Più acre e triste della precedente, Spazi di Cesare Mortera mostra un’altra volta l’attitudine del suo autore a racchiudere in pochi e brevi versi, forti emozioni, e complessi turbamenti. Fugace l’immagine complessiva dell’opera: l’io narrante elevato sopra tutto, in un luogo dove però non sembra essere il sole l’elemento dominante, ma le nuvole ed il vento. Un suo sguardo a terra, e la presenza di lei diventa un turbine, che catalizza ogni pensiero.
Il rifiuto, o comunque la distanza sembra fondamentale in questo splendido quadro, meglio organizzato e sintatticamente più coeso di quello presentanto il mese scorso. E la scelta dei termini, sicuramente non casuale ma ben pesata, non risulta secondaria: il sussegguirsi delle azioni proposte nella penultima strofa incita il lettore verso un desiderio di azione concreto e pressante, per poi morire “brutalmente” nel finale, con poche e crude parole di separazione.
Ottima poesia, che riesce a trarre luce anche da temi tradizionali, arricchendo con un sapiente uso di ritmo e parole il suono del vento di febbraio.

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Lasciata appositamente per ultima, la poesia Ad un amico che non c’è più di Asia 68 conclude, in un crescendo di sensazioni forti, la parte poetica di SUSSURRI di Febbraio. Se si vuol tener fede alle date, questo testo, frutto di un’autrice allora quasi ventenne, si colloca alla fine degli anni ottanta, sublimando una certa disperazione di fondo in modo brutale, immediato. Poesia in parte criptica, degna di una più attenta rilettura, alla ricerca della chiave per tutti i simboli presenti: la droga, il sesso e la morte.
L’amicizia, posta come emblema in un titolo “epitaffico”, è forse tra le righe? O forse non è intesa come il comune lettore potrebbe interpretarla. Forse l’amico, in questo caso, è il compagno di
“sventure”, colui che ci cammina a fianco, nella notte, senza un sorriso, chiedendosi chi tra noi due per primo cadrà.
Forse, ripeto. Le opere di Asia 68 hanno sempre questo splendido velo nero, che ne offusca le immagini, e consente spesso di appropriarsene anche al di là delle probabili intenzioni dell’autrice, creando, come in questo caso un testo crudo, intenso, vivo.

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Un ottimo e sagace racconto apre la carrellata degli scritti in prosa:
Vittoria ed il ragioniere di Alberto Angelici. Il nome non vi è sicuramente nuovo: presentatosi per la prima volta in dicembre, con l’intrigante “Il bastardo di Yonge Street”, Alberto ci aveva già allora mostrato una buona predisposizione per una narrazione dinamica piena di azione e analisi dei personaggi. Abbandonato il mondo
“americano” del primo racconto, questa volta ci troviamo immersi nel più pacato ambiente di casa nostra, e tra cappuccini e cornetti non tardiamo a scoprire i protagonisti della storia: un ragioniere di mezza età, misticheggiato con quel calore proprio di molta letteratura italiana, e una avvenente e formosa barista (vedova, per di più). Se aggiungiamo un narratore amico, e qualche momento di divertente
“tensione”, non poteva che uscirne uno splendido quadretto, autoconclusivo, degno sicuramente di essere ricordato non solo su queste nostre pagine.

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Splendido è pure il secondo racconto di questo mese: Un abbandono di
Lorenza C.. Lorenza, che si era proposta anche il numero scorso con un altro testo introspettivo, si dimostra di volta in volta sempre più capace di presentare in modo efficace e coinvolgente un attimo di vita quotidiana. Il tema, quello di una delusione d’amore, è semplice, ma il suo essere patrimonio comune a molta gente, aiutato da una capacità espressiva notevole, rende questo testo una sentita pagina di diario per ciascuno di noi. I singoli momenti narrati, i pensieri, le riflessioni di chi si sente ferito e tarda a comprendere il più freddo distacco dell’altro, sembrano realmente appartenerci. Sapiente uso del lessico, trama semplice ma ben organizzata, saggio finale: che altro potrei dirvi per suggerirvene la lettura?

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Tra il surreale ed il faceto, un altro racconto si aggiunge alla lista dei testi di SUSSURRI: Lunedì di Marco Giorgini. Ironico spaccato di un momento “lavorativo” senza sentimenti, senza colonna sonora; una fotografia semplice e, mi auguro, simpatica, dentro a quel mondo addormentato che spesso immaginiamo rendersi vivo ogni inizio settimana.

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Gli ultimi due racconti di questo ricco mese, sono classificabili come
“sperimentali”. Il loro scopo non è quello di presentare emozioni o idee direttamente, ma di lasciarle filtrare attraverso parole, o immagini appena abbozzate. Il primo, From Behind, corto e sintetico, è quasi un “gioco”. Un tentativo di fare riflettere il lettore sul significato di rete, o di vita. L’anonimo, che poi anonimo non è, propone un grosso punto interrogativo, circondandolo da un gergo tra l’informatico ed il filosofico.
A voi la parola ora: cosa ne pensate?

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E’ con gioia che propongo qualcosa di nuovo di IGNATZ, fedele collaboratore per il primo anno e mezzo, e da un po’ di tempo
“latitante” sulle nostre pagine. Per il suo Blues delle scritte vere vale lo stesso discorso fatto per “From Behind”, anche se qui, i toni e i temi, sono di tutt’altra specie. Mi asterrò, come richiesto, da commenti o chiavi interpretative, per non rovinare al lettore il piacere di comprendere autonomamente il “gioco letterario”, ma non posso che spendere qualche parola di apprezzamento per chi tenta, in qualche modo, qualche “strada” fuori dal comune. Beh, sì, a volte i giochi di parole non mi riescono così male…

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Non vi state dimenticando di spedire il vostro contributo al concorso di SUSSURRI, vero?
Ma intanto, non indugiate oltre e premete F5. Buona lettura!

Marco Giorgini

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