(15 Ottobre 1996)
Finalmente suonò la campanella della quinta ora, l’ultima di Martedì poiché non ci avevano ancora consegnato l’orario definitivo. Non ne potevo più di star seduto ad ascoltare la prof. d’inglese, che non pronunciava una sola parola in italiano, pensando forse di dire una bestemmia. Prima che arrivasse l’insegnante di economia, schizzammo come fulmini nel bagno delle ragazze: maschi e femmine, tutti nello stesso ambiente per fumarsi una buona sigaretta e scaricare lo stress delle lezioni. La classe di quell’anno era di mio gradimento, ci trattavamo tutti allo stesso modo. Preoccupato mi chiedevo se il professore si fosse arrabbiato vedendoci rientrare con dieci minuti di ritardo, invece, fu proprio lui a raggiungere l’aula contemporaneamente al nostro arrivo. Era un uomo semplicemente mitico: simpatico, avente buone idee politiche compatibili con le mie, poco severo ed esplicito nello spiegare le sue materie. Stabilizzata la situazione in classe, notammo l’espressione “maligna” scolpita sul suo volto e ci lanciammo timorose occhiate, intuendo che le sue intenzioni non dovevano essere molto benefiche. Mi sentivo preoccupato anch’io, in effetti il giorno prima, non avevo esagerato con lo studio.
11:56. Proprio mentre l’insegnante ci teneva con il fiato sospeso scrutando infinitamente il registro, fummo assordati da un enorme tonfo che saliva impazzito per le scale, intento probabilmente a raggiungerci all’ultimo piano. Subito non potemmo comprendere ciò che stava accadendo, pareva più che altro uno dei soliti lavori di restauro che eseguivano a poche centinaia di metri dal nostro edificio. Il rumore proseguiva, arrivava sempre più infuriato come una metropolitana vicina alla stazione. Trasformatosi in un botto spaventoso, iniziò a tremare il pavimento sotto ai nostri piedi, dapprima in modo leggero. L’insegnante si guardò intorno e quando capì, come noi, cosa stesse accadendo, si lanciò terrorizzato sotto la cattedra. Anch’io feci lo stesso. Sentivo le mani essere trascinate dalle piccole mattonelle verdi e le ginocchia andare in senso opposto.
Continuavo ad essere scosso avanti e indietro in modo violento ed interminabile, come in una giostra del terrore. Erano movimenti rapidissimi, guardavo il professore rannicchiato, udivo le urla dei miei compagni come se fossero sulle montagne russe. Dai corridoi si sentivano vetri che scoppiavano, studenti che fuggivano presi dal panico. Io ero lì, ancora sotto al banco, mi stava scorrendo la vita davanti agli occhi, pensavo alla mia famiglia, alla casa, temevo di non poter più ritornarci. Non potevo immaginare quanto sarebbe durato quello strano fenomeno naturale ed intanto, continuavo ad essere scosso dal pavimento notando i banchi che si spostavano ed i libri che mi cadevano sul capo. Non riuscivo a credere che stesse succedendo proprio nella mia città e per la prima volta, avevo paura di morire.
Urlavo ai miei amici di rifugiarsi sotto i banchi, vedendoli colti dalla trepidazione ed in procinto di scappare dall’aula. Non capivo più niente, ed ora che ci ripenso, mi sembrava incredibile che una scuola così grande, tremasse come una scatolina di legno. Finito l’incubo, composto da un susseguirsi di chilometrici secondi, staccai lo sguardo da terra e notai che in classe eravamo rimasti soltanto io ed il professore: lo avvertii che tutti erano usciti e che potevamo fuggire anche noi, poi iniziai a correre in cerca di un’uscita, di una via di salvezza, temendo che potesse ricominciare tutto d’accapo. Nei corridoi c’erano nuvole di fumo, come se avesse ceduto il soffitto. Mi pareva di essere in un vecchio granaio. Nel cortile ritrovai tutti i componenti dell’istituto Barozzi: ragazze che piangevano, che si abbracciavano… fuori avevano trovato la salvezza, si sentivano al sicuro, ma temevano, come me, che si sarebbe potuto ripetere un episodio così sconosciuto.