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Riforme istituzionali in Italia: un modello di riferimento

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Riforme istituzionali in Italia: un modello di riferimento

 

In questo mese di giugno 1996, i cittadini e le autorità pubbliche, celebrano i 50 anni di regime repubblicano1.

Durante questi 50 anni, la forma di Governo, prevista nella seconda parte della nostra Costituzione2, non è mai stata modificata (con le procedure dell’art.1383 della stessa), mostrando così tutti i propri limiti (spesso non solo per la evidente inadeguatezza delle forme giuridiche, ma anche per il malcostume cronico della classe dirigente).

È, quindi, indubitabile che una riforma costituzionale sia necessaria per modificare la forma di Stato4, e per creare una forma di governo che assicuri al Paese stabilità, efficienza nell’azione governativa e soprattutto un maggiore collegamento tra Governati e Governanti, attraverso l’investitura popolare del Responsabile del Governo.

Durante le trattative per la formazione di un Governo di “larghe intese” (febbraio 1996), condotte da Antonio Maccanico5, i maggiori partiti italiani avevano raggiunto un compromesso di “massima” sulla introduzione in Italia del modello “semipresidenziale alla Francese” ma non sui poteri del Capo dello Stato che, nella Costituzione della V° Repubblica6, sono tanto numerosi da fare del Presidente una sorta di “monarca Repubblicano”7.

In Francia, il Presidente è eletto a suffragio universale diretto ogni 7 anni, a maggioranza assoluta dei voti espressi (se al primo scrutinio nessuno ottiene il 50% + 1 dei consensi, si va ad un turno di ballottaggio limitato ai due candidati meglio piazzati alla prima votazione).

Egli non dipende dalla fiducia del Parlamento, nomina il Primo Ministro e i Ministri, presiede il Consiglio dei Ministri, negozia e ratifica i Trattati Internazionali, può sciogliere l’Assemblea Nazionale, può indire il Referendum e avere, in pratica, “pieni poteri”, in caso di eccezionale pericolo per il Paese. È, inoltre, capo delle Forze Armate, ha l’iniziativa per revisionare la Costituzione (su proposta del Primo Ministro) e ha funzioni rilevantissime nel campo della Giustizia tanto che, in pratica, la Magistratura è “controllata” dal potere esecutivo.

L’art.65 della Costituzione prevede che il Capo dello Stato presieda il Consiglio superiore della Magistratura (con poteri sostanziali), inoltre la vicepresidenza è assunta dal Ministro della Giustizia (a differenza dell’Italia, dove il Vice Presidente è un membro del C.S.M. e il suo ruolo è quello di presidente di fatto).

Il sistema francese è semi presidenzialista perché l’Eliseo (il Palazzo di Parigi in cui risiede il Presidente della Repubblica) ha un forte contrappeso: il Primo Ministro, che può essere “licenziato” dall’Assemblea Nazionale, perché è sempre espressione della maggioranza parlamentare. Se, infatti, tra il Presidente e il Parlamento c’è consonanza politica (la maggioranza è filopresidenziale), la nomina del Primo Ministro è effettuata con libera scelta dall’Eliseo.

Se invece non c’è consonanza, il Presidente non è spogliato dei suoi poteri, ma è costretto a gestirli con un Premier che può essergli antagonista (sostenuto da una Camera a maggioranza antipresidenziale).

Il Governo (coordinato dal Primo Ministro) ha in Francia un ruolo minore rispetto al Presidente (che lo presiede come detto), ma non è certo un organo debole. L’investitura dell’esecutivo da parte di una o di entrambe le Camere è “presunta8” dalla Costituzione francese; esso, dunque, entra in carica automaticamente all’atto della nomina e “vince” e fa approvare la legge o il suo programma, se la maggioranza strutturale dei deputati dell’Assemblea Nazionale non si oppone, “perde” se può essere battuto da una mozione di “sfiducia”. I membri del Gabinetto sono comunque nominati dal Presidente su proposta del Primo Ministro (ma con la stessa procedura possono essere rimossi).

A differenza del Governo italiano, quello francese ha la capacità di emanare veri e propri “atti di legge” definitivi (non come i Decreti Legge che l’art.77 della nostra Costituzione prevede “…perdano efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni…” dalle Camere) in numerosi campi che non sono riservati all’azione di indirizzo generale del Parlamento9

L’Esecutivo può agevolmente imporre alle Camere, per esempio, la “legge finanziaria”, se su di essa non vi è una pronuncia di Assemblea Nazionale e Senato entro 70 giorni dalla presentazione10.

Inoltre il Governo (quindi indirettamente il Presidente) fissa di fatto l’ordine del giorno delle Camere (art.48 Cost.).

Dunque, proprio il Parlamento è l’organo meno “forte” del sistema francese (e non si comprende come proprio in Italia, Paese dalla fortissima tradizione democratico-parlamentare, questo aspetto possa essere accettato al di là delle “generiche” aperture ad un cambiamento in senso semi presidenzialista11 alla francese.

L’Assemblea Nazionale è eletta ogni cinque anni a suffragio universale con una formula maggioritaria uninominale a doppio turno eventuale (se nessun candidato ottiene il 50% + 1dei voti si và alla seconda votazione con i due candidati che hanno ottenuto più voti);

il Senato12 eletto a “suffragio indiretto” per un terzo ogni tre anni dai rappresentanti dei 95 dipartimenti amministrativi e dei Consigli Municipali (è forse il ramo più debole di un già debole Parlamento, chiamato a rappresentare gli Enti locali di un Paese fortemente accentrato).

In Francia il Presidente, salvo i periodi di coabitazione (in cui il Primo Ministro e Assemblea sono espressione di maggioranza avversa al Presidente), è molto più potente del Presidente degli Stati Uniti, non per il prestigio che gli viene dalla elezione diretta a suffragio universale, ma per il fatto di essere il capo effettivo della maggioranza parlamentare.

La Francia, sotto la Quarta Repubblica (regime assembleare) ha gravemente sofferto per la precarietà dei propri Governi. Per reazione la Quinta Repubblica ha moltiplicato le garanzie in grado di assicurare l’autorità e la stabilità dell’Esecutivo.

Ma, lo ha fatto riducendo all’eccesso il ruolo del Parlamento.

Alberto Monari


[1] La proclamazione formale della Repubblica, avvenne il 10/06/1946, nella “Sala della Lupa” del Palazzo di Montecitorio a Roma (sede dell’Assemblea Costituente allora, e oggi sede della Camera dei Deputati) dove i Giudici della Corte di Cassazione promulgarono i risultati del Referendum del 2/06/1946, in cui gli italiani, come è noto, scelsero la Repubblica rispetto alla Monarchia.

[2] Essa fu redatta dall’Assemblea Costituente eletta contestualmente al Referendum istituzionale del 2/06/1946, citato in nota precedente.

[3] Il “famigerato” art.138 recita al 1°comma: “Le leggi di revisione della Costituzione…sono adottate da ciascuna camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna camera, nella seconda votazione…”. Quindi il legislatore costituente non ha subordinato (in applicazione del principio liberale) la modifica della Costituzione al fatto che le diverse forze politiche si accordino necessariamente; è sufficiente il consenso della maggioranza politica che sostiene il Governo (maggioranza assoluta = 50% +1 dei componenti di ciascuna Camera). L’accordo è, senza dubbio auspicato, perché quando nella seconda votazione la modifica non è approvata dai 2/3 dei deputati e senatori, allora si da luogo a Referendum popolare consultivo. Anche in questo caso è necessaria, però, la richiesta di 1/5 di deputati o senatori o 500.000 cittadini, o 5 Consigli Regionali (comma 2 e 3, art.138 Cost.).

[4] La forma dello Stato italiano è quella regionale, così come prevede il Titolo V° della Costituzione (art.114/133).

Ma, per ragioni storiche e politiche, il livello di autonomia previsto dal costituente, non ha mai trovato realizzazione pratica. La maggioranza politica (egemonizzata dalla DC) che per 48 anni ha governato, non ha mai voluto concedere alle regioni quel decentramento “forte” di funzioni (in teoria possibile, attraverso opportune norme di attuazione della Costituzione), che avrebbe potuto, nel tempo, rispondere meglio alle esigenze dei cittadini e del sistema economico, anche perché alcune regioni (Emilia, Toscana, Umbria etc.) si dimostrarono fin da subito, saldamente in mano alle forze di sinistra, perciò scomode per le politiche imposte dal centro (politico e geografico). In questa ottica, peraltro, è abbastanza difficile che la nuova maggioranza (impostasi il 21/4), affamata di governo da ½ secolo, sia così “eroica” da consentire di “spogliarsi” di poteri a favore delle entità regionali e locali (Prof.A.Mattioni: “Lezioni di Diritto Regionale” Università cattolica, A.A.1995/96).

[5] Uomo politico ritenuto da tutti “super partes” per dare vita a una fase di riforma Costituzionale, ma poi schieratosi con la sinistra per essere nominato, dopo le elezioni, Ministro delle Poste e Telecomunicazioni nel Governo Prodi.

[6] Il 3/06/1958, il Parlamento della Quarta Repubblica Francese autorizzò, con legge Costituziona, il Governo (con a capo Charles De Grulle) a redigere un progetto di riforma dell’assetto istituzionale. In pochi mesi fu approvata da Referendum popolare (29/09/1958), la (nuova) Costituzione. La figura del Presidente fu rafforzata, ulteriormente, nel 1962, con l’introduzione della elezione popolare (lo stesso De Grulle, primo Presidente della V° Repubblica, fu invece eletto, il 21/12/1958, da un collegio di Grandi Elettori composto da Parlamentari, membri dei Consigli Generali, rappresentanti dei Consigli Municipali e dei territori d’oltremare).

[7] “La principale critica che il regime attuale merita è lo slittamento verso il potere personale…”

2/12/1965, Le Monde, François Mitterand (1916/1995), egli fu Presidente della Repubblica ininterrottamente dal 1981 al 1995).

[8] Art.49 Cost. francese: “Il Primo Ministro impegna dinnanzi all’Assemblea Nazionale la responsabilità del Governo sul suo programma o… su una dichiarazione di politica generale”.

[9] Assemblea Nazionale e Senato esercitano la funzione legislativa “esclusiva” su un numero ristretto di materie: “Diritti Civili, Difesa, Giustizia, Imposte, Elezioni, Nazionalizzazioni”.

[10] Persino negli USA (dove troviamo la forma più pura di presidenzialismo) il Presidente è costretto ad estenuanti trattative con il Parlamento sulla legge di bilancio.

[11] In Francia, il Presidente può lavorare su un’ottima Pubblica Amministrazione, su un’ottima tecnocrazia, su una solida gamma di imprese pubbliche, su un ruolo effettivo in politica estera, fattori che l’eventuale Presidente italiano non avrebbe…” Giuseppe De Rita , Corsera 6/02/1996.

[12] “Il Senato è come la cistifellea:… è inutile”. Charles De Gaulle (Presidente dal 1958 al 1969).

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