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Storia di Oreste

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Storia di Oreste

Vorrei che qualcuno di voi porgesse orecchio alla storia semplice di un vecchio di nome Oreste che mio amico davvero non è mai stato, nè per la verità l’ho mai conosciuto; ma qualcuno tra voi forse potrebbe averlo conosciuto e ancora conoscerlo, il che davvero strano non sarebbe perchè lui c’è sempre o tra noi o dentro qualcuno di noi.
Dicevo dunque che Oreste era ed è un vecchio nè brutto nè bello, chè da una certa età in poi non ci si può più rapportare all’età, e passava i giorni che gli restavano fermo ad aspettare.
Se qualcosa fosse voluto accadere, sarebbe accaduto da sè senza bisogno del suo aiuto: questa aveva imparato e la considerava la più importante cosa per il suo vivere, davvero senza poi troppo torto.
Egli viveva solo, perchè la moglie l’aveva lasciato qualche anno prima, in una casa piuttosto grande sempre vuota: parenti e figli avevano la loro vita da vivere, gli amici ben di rado gli andavano a far visita nè lui li cercava. Il più del tempo lo passava nella sala seduto su una sedia di paglia attorno al vecchio tavolo di legno opaco. La stanza non era troppo grande ma poteva starci anche un divano sciupato di pelle nera; la luce entrava dalla finestra semiaperta, filtrata dalle tende bianche.
Oreste restava seduto ad aspettare, ascoltando passivamente i rumori da fuori e annusando gli odori che venivano forti eppure dolci dai campi assolati. La vita gli entrava dentro attraverso le narici e poi nei polmoni per uscire con calma dalla bocca così che poteva essere ben saggiata. Così egli passava i suoi giorni seduto sulla sedia con uno scaccia-mosche in mano: e di mosche ce n’erano tante che entravano nella sala e poi uscivano senza nemmeno appoggiarsi, alcune appoggiandosi e rischiando di essere ammazzate; altre non uscivano.
Uccidere mosche era il passatempo, il solo e neanche così divertente per Oreste. Le mosche erano le compagne di tutte le sue giornate e d’inverno senza di loro s’annoiava ancor di più ad aspettare. Allora caricava una vecchia sveglia e seguiva il suo TIC-TAC per tutto il tempo.
Quando le mosche tornavano non ne era contento, ma si rallegrava di poter spegnere la sveglia che per ascoltarla non gli lasciava mai un momento di pace e di riposo.
Ma dopo il giorno veniva la notte, buia e senza stelle, di nuovo anch’essa odorosa e umida; scendeva su Oreste in silenzio come la neve dell’inverno prima, il suo cuore rallentava il ritmo lasciandosi cullare dell’ombra.
Le palpebre chiudendosi lentamente facevano incontrare le ciglia che morbide si appoggiavano l’una sull’altra. E ancora lentamente la notte dal cuore saliva alla mente, stendendo la sua lunga ombra su ogni pensiero.
Allora le membra appoggiate sul letto diventavano molli, il respiro lento e profondo, l’anima trovava un poco di pace: e Oreste così dormiva e si sentiva meglio, quasi più libero.
E una notte nell’ombra e nel profumo dei prati Oreste fu libero.

Monica Orsini

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