KULT Underground

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La macchina del tempo

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LA MACCHINA DEL TEMPO

La notte andavano sulle colline, fermavano le macchine e si sedevano sull’erba a guardare le luci della città. E’ impressionante la luce che possono sprigionare i formicai. Ma la cosa più bella era vedere un paesaggio e ascoltare un sottofondo diverso. Avete mai provato a togliere il volume alla Tv ed ascoltare la radio?
I grilli tra l’erba pulsano come le luci delle finestre, laggiù.
Qualcuno fa la voce grossa. Somigliano ai bipedi, in questo. Almeno però i grilli non hanno clacson. Una volta credevano che questa fosse una fortuna. Poi il vecchio Mac morì schiacciato nella sua auto.
Glielo avevano sempre detto che era troppo vecchio per andare così forte. Nemmeno la signora Bishop era giovane, e non aveva sentito la macchina di Mac arrivare. Lui aveva preferito scontrarsi con la vetrata dell’emporio, piuttosto che uccidere la signora Bishop. Avesse avuto il clacson per avvertirla, almeno. Glielo avevano sempre detto che era troppo vecchio per andare così forte con un’auto senza clacson.
Ai grilli i clacson non servono, comunque. Insieme a loro sentivano ogni mormorio dell’erba, l’impercettibile fruscio dei fili verdi al vento. Era come mettere l’orecchio su una conchiglia e ascoltare il muggito del mare. Ed era anche l’unica cosa che non li stancava in quel paese che puzzava di facce conosciute, di muffa e di vecchi sempre più vecchi. Rock City non era Chicago, e lo sapevano.
Se n’erano accorti sulla loro pelle che s’induriva per via della noia, e le loro labbra diventavano sempre più aride, e capivano perchè i vecchi parlavano poco. Cosa c’era da dire? Le notizie più squillanti erano quelle sulla signora Bigtower, che aveva starnutito forte la domenica in chiesa, nella messa che da quando erano nati era sempre stata la stessa, se non per lo starnuto della signora Bigtower che ora pagava l’esuberanza del suo naso con una bella settimana di pettegolezzi alle sue spalle. Voi capirete che in un paese così è normale che un ragazzo di diciassette anni cerchi qualcosa di diverso.
Così, nonostante la curiosità fosse molta, e le chiacchiere velocissime, Joe Shasky fu lasciato in pace quando ritirò dalla sua buca delle lettere un pacco proveniente da New York. “Ognuno è libero di avere i suoi hobbies”, pensò il signor Cross che abitava di fronte a Joe ed amava curare le sue piante (non si capiva se la passione per il giardinaggio gli era venuta dopo aver scoperto che dal giardino si vede tutto ciò che succede in strada, o se era capitato il contrario).
Forse gli abitanti di Rock City non sarebbero stati così tolleranti se avessero saputo che il pacco conteneva un manuale pratico per costruirsi una macchina del tempo formato famiglia con le proprie mani. Certo il signor Cross non avrebbe finito per commentare “Affari suoi”, visto che Joe non diceva nulla, neanche quando da ogni parte degli Stati Uniti continuavano ad arrivare pacchi dalle forme più strane, alcune inimmaginabili anche per un inventore di biscotti per bambini. Joe era stato etichettato come un ragazzo strano in poco tempo. Ma uno che costruisce una macchina del tempo può sopportare un’inezia come questa. Anzi, Joe era… euforico. Sembrava galleggiare su una nuvola. Non aveva detto neanche a Marcia Morris cosa stava architettando. Marcia Morris era la sua ragazza, o qualcosa del genere. Lei aveva capito che era qualcosa di divertente, perchè Joe se ne stava tutto il giorno chiuso nella sua camera, e quando usciva aveva un sorriso talmente idiota sulle labbra…
“Finitooo!!”, urlò un giorno correndo fuori dalla sua stanza e scendendo le scale quattro alla volta, col risultato di finire col naso dove di solito si trovano i piedi, o almeno dovrebbero.
“Fratturato”, pensò, ma non si preoccupò tanto. Quel giorno poteva anche cascare il mondo, lui sarebbe stato contento lo stesso. Volò attorno alla madre e le diede un bacio mentre lei urlava per il sangue che gli usciva dal naso.
Più tardi, mentre lo medicavano al Pronto Soccorso, pensò a quello che avrebbe potuto fare col frutto delle sue fatiche. Avrebbe potuto scoprire se aveva fatto bene a scegliere la scuola superiore. Avrebbe potuto portare indietro sua madre, a vedere se davvero sarebbe stata più contenta con Bruce McHardy, come l’aveva sentita dire da piccolo in sogno ed era rimasto choccato a pensare che sua madre un giorno aveva potuto amare un altro e non suo padre. Suo padre!!!
Avrebbe potuto riportarlo a prima dell’incendio del raccolto, prima del periodo in cui avevano dovuto stringere la cinghia e tirare fuori i pantaloni dell’anno prima e rammendare quelli rotti finchè non avevano indossato altro che rammendi.
Adesso non avevano più problemi, la mamma lavorava e anche Joe faceva qualcosa, per avere due soldi in tasca o da parte. A dire il vero le finanze di Joe si erano quasi azzerate per comprare la macchina del tempo.
Pensava a cosa fare con la macchina del tempo. Avrebbe potuto far tornare indietro suo padre, evitare che venisse ucciso da quell’incendio che aveva bruciato tutte le loro risorse. Oh, suo padre era vivo, se essere ubriaco un giorno sì e l’altro pure per voi è vivere. Poteva fare tante cose, ora. Si sentiva… Dio, in un certo senso, ma la parola gli pesava in testa e in tasca, e la scacciò. La sua testa frullava idee in continuazione e lui non sentiva neanche il mondo intorno…
“Lo tenga per una settimana”, disse l’infermiere. Annuì meccanicamente mentre usciva dalla porta dell’ospedale. “Hey!”. Cosa c’è ancora?!? pensò con un moto seccato. “Farebbe meglio a mettersi la camicia, fa freddo fuori”. In effetti, era quasi Natale. E Natale arrivò, il più importante della sua vita. A Mezzanotte in casa aprirono i regali.
Tutta la famiglia Shasky era delusa nel vedere che il loro Joe non aveva un pacco. Era strano negli ultimi tempi, pensò Mc Shasky, ma chi non è strano a diciassette anni? Tutti i regali erano già aperti. Joe non aveva ancora portato nulla. Possibile che non si vergognasse?
Sembrava contento nonostante tutto. Tra un po’ la sorellina avrebbe pianto sicuramente. Ma Joe ruppe il silenzio imbarazzante che si era creato: “Venite di sopra”. La sorellina rise, la mamma lo riconobbe.
Faticarono un po’ a far capire al padre che andavano di sopra, ma alla fine portarono anche lui. “Ecco!”. La stanza era normalissima. Anche troppo in ordine rispetto al solito, pensò la madre. Ma di regali neanche l’ombra. Joe fece segno di tacere, aprì le ante dell’armadio e fece “ta ta ta ta!”. La mamma urlò, la sorellina prima rise come una pazza battendo le mani e urlando `belloooo’, poi guardando la reazione della madre capì che doveva avere paura e si aggrappò frignando alla gonna buona, tirata fuori per l’occasione. Il padre disse “Bravo Joe!” e si versò un grappino.
“Joe..che..che cos’è ?”
“La nostra salvezza”.

Il giorno dopo, mentre la sorella era in giardino e il padre c’era ma era come non ci fosse, Joe e la mamma parlarono.
“E’ impossibile, Joe. Ho sempre creduto in te, ma ultimamente sei strano. Non avrai mica ripreso a fumare quella roba, eh?”
“Mamma, ti sembra normale quello che hai visto dentro l’armadio? E’ chiaro che una macchina del tempo non è un’affettatrice, ma appena la proverai non potrai fare a meno di credermi”.
La mamma era ancora perplessa. “Vieni con me!”, e la portò di sopra.
L’armadio era come prima, un buio impenetrabile costellato di piccole stelle, un pozzo senza fondo. Joe la prese per mano e la condusse dentro. A fatica. Ora tutto era luminoso intorno a loro, e… no, non poteva essere vero: quella là era proprio lei, fuori dall’armadio. E loro erano dentro. Joe annuì, lei rise piano. Una voce metallica, priva di armonici, chiese: “Destinazione ?”. Joe rispose con una calma che spaventò un poco sua madre “Rock City, 18 anni fa”. A questo punto, di solito ci sono giramenti di testa, scossoni e immagini colorate, come se andare indietro nel tempo fosse uguale a farsi una pera. In questo, no. Semplicemente, si aprì un’altra porta accanto a loro, o almeno così sembrò alla mamma. Uscirono nel sole. Il panorama non era molto diverso, a Rock City il tempo passa lentamente. La mamma vide la signorina Taylor (il suo cognome da nubile, quasi se l’era dimenticato) in compagnia di Bruce McHardy. Formavano una bella copia, ma non la pensavano così i genitori di lei. Mamma Shasky guardò il suo
Joe che aveva compiuto quel miracolo. C’era orgoglio sul suo viso ormai sciupato. Era bella lo stesso. Cambiò espressione in fretta, però, in preda ad un dubbio. “Ci possono vedere ?”. La risposta fu un
“No” detto con la maggior dolcezza possibile, Joe si rendeva conto che la mamma aveva bisogno di sicurezza. Improvvisamente, lei gli chiese di tornare indietro. “Sicura?”
“Sì! Presto!”. Joe aprì la porta e furono di nuovo immersi nella luce.
La voce parlò di nuovo: “Fatto buon viaggio?”
“Ottimo, Mac, grazie”. La mamma quasi non sentiva. Uscirono come erano entrati, trovarono i loro corpi fuori ad aspettarli. La mamma stette un po’ con lo sguardo fisso nel vuoto, poi si voltò verso suo figlio.
Lo abbracciò e pianse con lui.

La loro vita fu più serena, da allora. Mamma Shasky lo era già, ma stavolta era una pace vera, non la rassegnatezza di essere costretta a vivere in una situazione che lasciava spazio a dubbi. Le loro abitudini non mutarono di molto, apparentemente. Ma tutti si accorsero che erano più…leggeri. La piccola Abbie aveva già scordato l’armadio di un Natale appena diverso dal solito. Papà Shasky era il vegetale di sempre. Ne avevano parlato, e avevano concluso che non valeva la pena di toglierlo dalla sua condizione. In fondo, lui non si rendeva conto di star male. Eppoi la macchina del tempo non poteva cambiare gli eventi. Poteva solo far vedere cosa sarebbe potuto succedere: era come un film in cui ogni volta cambiava un particolare, ma la realtà non era influenzata.
Non ho la più pallida idea di come funzionasse, e anche se lo sapessi non ve lo direi.
Tornando a mamma Shasky, era stata contenta di avere scoperto che la sua vita non sarebbe stata certo migliore sposando Bruce McHardy.
Bruce sarebbe morto sotto un trattore due anni dopo il loro matrimonio, lasciandola con un bimbo in pancia ed il suo strazio. Ogni tanto Joe la sentiva sospirare, l’abbracciava forte e lei diceva
“Meglio così!”. Adesso non mancava il denaro in casa: Joe si era diplomato ed era diventato il miglior assicuratore dell’agenzia di Mr
Brown. Era pagato bene.
La sorellina era cresciuta e un giorno aveva messo un maglione ed altre cianfrusaglie dentro uno zaino. Era partita seguendo la strada, tra le lacrime della madre e lo sguardo orgoglioso del fratello che la vedeva fare quello che lui non aveva mai osato. Sarebbe tornata, un giorno. L’avrebbero aspettata, sicuri che il segreto che ora riguardava anche lei non sarebbe mai stato svelato.
La mamma poteva riposarsi, ora. Si concedeva soltanto la droga leggera di un viaggetto, ogni tanto. Faceva tanto bene alla circolazione, ed era bello rivedere vecchie facce nuove ogni tanto. Non le mancava molto al viaggio definitivo, ormai, ma era sempre serena. Joe non aveva voluto prendere moglie, e così se non ci avesse pensato Abbie, la macchina del tempo sarebbe rimasta un armadio, sarebbe morta con loro.
E andò proprio così. Mamma Shasky morì a 92 anni, Joe ad 80.I pochi che videro entrambi i funerali, notarono che erano morti con un sorriso talmente idiota sulle labbra……

IGNATZ

(Doriano Rabotti)

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