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Corvè

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Corvè

“Courvè!” domenica mattina, 6.21, con uno straccio sporco ai tuoi piedi, a chiederti cosa fai in quel posto a quell’ora del giorno, che (poi) non ci sono risposte, nessuna risposta, 6.22, (tant’è) che potresti essere in tanti viaggi diversi in quel tempo, in un mondo qualunque, ma soprattutto in un letto, con l’ego a sfiorare la donna che ami, e invece
“Corvèe!” continui a pulire il pavimento, 6.23, e sei stanco, maledettamente stanco, sfinito da non crederti, con lo straccio dei gabinetti, a pulire un pavimento che non ti importa, tu e uno straccio che ha fatto il Vietnam, senza due guanti qualunque, domenica mattina, 6.24, sei ragazzi e due cuochi preparano la colazione per ottocento soldati, ottocento selbst che pensano ai loro letti soltanto, a ragazze passate e a donne future, alle famiglie e agli amici di sempre, ma nessuno li fa dormire abbastanza per quei
“Corvèe!” sogni infantili, sei corvèe e due cuochi, giovani sconosciuti conosciuti in quel giorno, sconosciuti come Andrea, compagno di terra e sventura, 6.25, vent’anni e non so proprio nient’altro, e (dire che) lui insiste di avermi già visto, chissà, in qualche discoteca della bassa comune, chissà e non so, in un sabato di quelli lunghi delle nostre parti, e proprio non so, l’unica certezza sono le sue nuove bestemmie, perchè ha tutto un suo stile, tecnica e inventiva,
(per)che(`) non ha gradito davvero il servizio domenicale, lavorare mentre altri si godranno la libera uscita, lavorare dopo una settimana d’inferno con una new semaine che bussa alle porte, non ha gradito
“Corvèe!” quel comando improvviso, e nemmeno Luca ha gradito, Luca sporco e incazzato, come gli altri del resto, Luca intelligente e metodico, il
(sincero) contrario di quello che chiedono qua dentro, 6.26, e su di lui si potrà contare, contare davvero, perchè potremo organizzare il lavoro, perderemo meno tempo possibile, mentre i soliti finiscono sempre per starti
“3 Corvèe!” a guardare, sfortuna sfacciata, proprio courvè doveva capitare, il servizio più pesante, (un servizio) per una punizione qualunque, 6.27, perchè lavori quattordici ore pesanti, senza fermarti quattordici ore, quattordici ore e nemmeno una pausa, quattordici ore filate, che basterebbero sei giri a piegarti, e dopo undici ti senti un minatore inglese del XIX secolo, 6.28, quattordici ore in cucina, colazione+pranzo+cena, 6.15-20.15, una qualcosa che davvero non passa
“Corvèe!” un qualcosa che non riesce a finire, luglio, domenica mattina, 6.29, tu e uno straccio nero da strizzare, tu e il caldo che arriva dai fornelli, tu contro il nucleo controllo cucine, il (tuo) diretto superiore, tu e grillo, un 19enne che non riesce a meritare maiuscole, che peggio (proprio) non poteva capitare, un calabrese con cinquanta giorni in + di caserma, un pezzo di bastardo che non muove un dito ma ogni tre secondi si sbilancia in un
“2 Corvèe!” che tanto c’ha sei stronzi che corrono per lui, sei ragazzi che si massacrano per prendere roba dal magazzino, 6.30, & pulire fornelli & pulire tegami & pulire pavimenti & pulire forni & pulire un po’ dappertutto & pulire e ancora pulire & servire ottocento persone & altri servizi del genere, quattordici ore così, interminabili, quattordici ore della tua vita passata, e non hai nemmeno voglia di guardarti, di pensare a qualcosa di bello, in mezzo a tutto a quel caldo, 6.31, a tutto quello schifo che finirà nel cibo che hai mangiato fino a quel giorno, a quel cibo che continuerai a mangiare
“Corvèe!” anche domani, e pensi soltanto che prima o poi finirà, prima o poi arriverà sera, prima o poi qualcosa dovrà infine cambiare, pensi che potresti (anche) essere fuori, lontano e all’aperto, pensi al tuo fiore, 6.32, sì, al tuo fiore impossibile, a un fiore che sboccerà in un caldo mattino di luglio, e a te che non lo vedrai quel fiore, e che infine ne avresti anche il diritto perchè sono sei giorni che ti spezzi le ossa e non dormi & una pausa te la potevano anche regalare,
6.33
“4 Corvèe!” per vedere sbocciare quel fiore, quel fiore che d’improvviso ti accorgi ad amare, quel fiore che in un tratto ti metti a sognare,
6.34, ancora, con lo straccio sporco sempre ai tuoi piedi, quattordici ore impossibili da descrivere, per sempre, che non vi vorrei nemmeno annoiare, e l’unico respiro sono le bestemmie di Andrea, compagno di terra e sventura, ancora e per sempre, tutte le volte che una voce nasale, improvvisamente (sale)
“Corvèe!”

Questo breve racconto, scritto in un cattivo momento, è dedicato a
Luigi, che come la fa lui l’imitazione del nucleo controllo cucine non l’ha mai fatta nessuno

stazione di Pescara, 30 luglio 1995
Raffaele Gambigliani Zoccoli

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