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Visti per voi (e prima di voi)

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Visti per voi (e prima di voi)

Mighty Aphrodite

di Woody Allen

A chi piace l’umorismo europeo di Allen, infarcito di colti doppi sensi e situazioni dialettiche finemente intrecciate, non potrà non piacere la sua ennesima commedia leggera. La produzione di Allen si può benissimo dividere in due parti: i film profondi e ricercati, tra i quali anche commedie, e le opere “minori” dove prevale il desiderio della risata spontanea e la visione a cuor leggero. A quest’ultima categoria appartengono, ad esempio, “Misterioso omicidio a Manhattan” del 1993 o “La rosa purpurea del Cairo”, nonostante la piacevole ambientazione. In “Mighty Aphrodite” Allen è il solito maritino impacciato ed insicuro che vede la moglie allontanarsi sempre di più a causa dell’apertura della sua nuova galleria d’arte. A ciò si aggiunge un figlio adottivo molto sveglio ed intelligente. Egli è stato adottato non per infertilità della coppia ma per mancanza di tempo ed
è proprio la sua intelligenza che spinge Allen a cercare la madre, dato che il padre è sconosciuto. La ricerca lo porta sino ad una tanto splendida quanto ingenua pornostar, che diventerà poi la sua amica-amante. Allen cerca di “sistemarla” e lei, inconsciamente, fa di tutto per rovinargli i piani. Alcune battute sono già storiche ed il livello degli attori merita il prezzo del biglietto.

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Apollo 13

di Ron Howard

Ron Howard è ormai definitivamente “politically correct” e dopo il felice esordio di “Cocoon”, passando per “Fuoco assassino” e il discreto “Cronisti d’assalto”, fissa un posto fra i grandi d’America
(pensando a qualche Oscar). “Apollo 13” è la storia vera della navicella che ha rischiato seriamente di non ritornare mai più sulla terra. Quella spedizione fu definita “un fallimento di successo” perchè, oltre all’ottimo lavoro svolto in fase d’emergenza dall’equipaggio e dal personale di terra, riportò l’attenzione sui programmi spaziali, in netto calo d’interesse dopo l’incredibile orma di Armstrong ed il definitivo sorpasso a danno degli odiati comunisti.
Il film è la fedele ricostruzione di quell’avvenimento, tratto dal libro di uno dei protagonisti. Subito dopo la partenza, dopo aver diligentemente distribuito battutine ai compaesani, un bacio alla moglie ed una carezza al figlio, i tre, fra i quali Tom Hanks e Kevin
Bacon, si trovano ben presto nei guai a causa di una perdita d’ossigeno. Fra paure ed espedienti riusciranno ad ammarare nell’oceano sani e salvi, facendo rifiatare milioni di americani e non solo. Il film è molto ben fatto, del resto i soldi non mancano quando si tocca uno dei tasti più cari agli americani. La preparazione del viaggio è godibile ed il finale è addirittura da nodo alla gola ma la parte centrale, condita di termini tecnici e vagamente claustrofobica, stanca lo spettatore che in totale deve dedicare all’Apollo 13 circa due ore e mezzo. Sarà un gran successo e dovrete portarci la morosa se volete fare bella figura, magari informandovi prima sulla terminologia astronautica.

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Strange days

di Kathryn Bigelow

Gia cult? Si direbbe proprio di sì. L’ex moglie di James Cameron, il fortunato regista dei Terminator, fa centro con questo fanta-movie ambientato pressapoco l’ultimo giorno dell’anno 1999. Dopo “Point break” la Bigelow ci regala un’altra potente scarica d’adrenalina fin dalla primissima scena, un paio di terribili minuti d’apnea totale e tanti complimenti (dopo) a chi ha trascinato la steady-cam in quel modo. Ralph Finney (il freddo nazista di “Schindler list”) è un trafficante di laser disc che è possibile “spararsi” direttamente nel cervello, nervo ottico compreso. Questi dischi sono registrati allo stesso modo e, con l’opportuna apparecchiatura, è possibile rivivere le stesse emozioni dell’originale. Inutile dire che le scene di sesso e violenza (o combinazione dei due fattori) vanno per la maggiore. Su uno di questi dischi si trova però anche la prova di un omicidio commesso da due agenti di polizia, una polizia che sembra un esercito di picchiatori sguinzagliati senza controllo. Il morto è un importante uomo di colore e la rivelazione del contenuto del disco scatenerebbe una rivolta nazionale (la stessa Bigelow si è ispirata agli episodi di
Los Angeles di un paio d’anni fa; così ha detto alla conferenza stampa). A tutto ciò si aggiunge un maniaco che perseguita il nostro eroe solitario (filo “Blade Runner” ma meno poetico per esigenze di sceneggiatura). Egli rincorre Juliette Lewis, una splendida eterna sedicenne dall’animo maledetto e lo si può vedere dal come si dimena cantando P.J. Harvey. Angela Basset (l’energica Tina Turner di “Tina”) rappresenta la ragione. Lei non fa uso dello “squid”, l’apparecchio che permette di vedere i dischi, e affianca Finney in tutte le sue spericolate azioni, facendo addirittura sbocciare l’amore (gran finale).

Michele Benatti

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