E’ da due ore che ascolto questa spiegazione, una lezione di storia americana su un periodo del tempo passato. Il professore è persona capace, e i suoi discorsi sono arricchiti da citazioni e aneddoti brillanti. E’ un bell’uomo: giovane, alto, fisico asciutto, occhi chiari, scura carnagione, capelli fini ondulati, barba di un giorno, con uno scuro vestito della notte precedente, se si intende quel che ho da dire. Ha un’aria da esploratore, e, condizione necessaria ma non sufficiente, l’aula è presa d’assalto dalle femmine più introdotte della nostra università. Sono sedute nelle prime file, a gambe incrociate, per sognare il volto dell’amabile uomo.
Ma non siamo in molti all’interno di questo vecchio edificio.
Rimango lontano, in penultima fila. Il professore ha rinunciato da tempo alla mia collaborazione, e solo raramente inoltra lo sguardo nella mia direzione. Del resto non gli ho mai dimostrato interesse, e da tempo ho smesso di prendere appunti. Il mio indegno comportamento ha suscitato un alto scandalo all’interno dell’ambiente universitario, e sono subito stato richiamato dal Magnifico Rettore di turno. Con voce impostata ho dimostrato che era inutile prendere appunti: se i libri brillanti del mio professore non resistevano all’usura del tempo che speranza potevo avere con le mie stupide frasi? Ma da allora sono stato irrimediabilmente marchiato; ora, per tutti, sono la persona che non riesce a prendere appunti. Tutti mi riconoscono, e non riesco a sfuggire gli sguardi. Ma non è di questo che volevo parlare, come non volevo discorrere delle affascinanti ragazze del mio professore…
Quando si avvicina la fine dell’ora i miei pensieri sono assorbiti dalle prossime esperienze che devo affrontare, esperienze che comincio a vivere anzitempo. Tutto iniziò quasi per caso, un giorno di non so quale anno, ma ora il tempo dedicato all’avvenimento futuro è sempre maggiore, a discapito del tempo dedicato al momento presente. E’ come se vivessi due situazioni contemporaneamente, o come se non ne vivessi nessuna. Ma è così bello lasciarsi trasportare dall’emozione del futuro, un futuro che rimane più certo e visibile del presente. Così sono sempre più infastidito quando quel ragazzo dell’ultima fila, cinque minuti prima del termine della lezione, pone la sua solita, stupida, retorica domanda; quesito che serve solo a richiamare l’attenzione del professore, o a ingraziarsi il rispetto di qualche ragazza.
In quel momento sono soltanto rapito dall’avventura che attraverserà la mia vita, e un tale quesito mi riporta d’un colpo al presente, elimina sensazioni al prossimo momento di vita vissuta.
Dimenticavo di dire che il mio professore è un vero chiacchierone, e si compiace di domande di tale natura. Comincia per lui un lungo pensiero, un ragionamento che partendo da basi lontane si inoltra negli oscuri meandri della questione che vuol dipanare, per risolvere il quesito con la sua solita, brillante, precisa risposta. Ma le lancette si scostano, passa l’inesorabile tempo, minuti preziosi si lasciano perdere a scapito del sogno che mi stava coinvolgendo.
Divento nervoso, sempre di più, per l’amico che imperterrito continua a chiedere spiegazioni o consigli ancor più minuti, tanto che il professore penetra persino lo spazio temporale dell’esperienza che avrei dovuto affrontare.
Dopo qualche mese ho sostenuto l’esame di cui vi ho parlato. Il professore mi ha subito chiesto i miei appunti di scuola, e si è divertito con la sua assistente, una di quelle ragazze che lo guardavano attente, quando gli ho risposto che non li avevo portati.
Sono stato bocciato. Il mio amico, quello dell’ultima fila, non lo vedo da tempo.
novembre 1993