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Pessoa secondo Tabucchi

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Il ritorno al delirio:

Pessoa secondo Tabucchi

“La vita è indecifrabile. Mai chiedere e mai credere, tutto è occulto”. E’ probabilmente alla luce di questa sentenza (il cui sconcertante pessimismo farebbe pensare addirittura a Kafka) che deve essere interpretato il romanzo di Antonio Tabucchi uscito nel settembre dello scorso anno e intitolato Gli ultimi tre giorni di
Fernando Pessoa (Palermo, Sellerio, 1994); con l’accortezza, però, di puntare l’attenzione sul significato epistemologico di essa più che sulla scoraggiante visione esistenziale che essa comporta.
Come recita il sottotitolo, il breve racconto, che a malapena raggiunge le sessanta pagine, si può riassumere in un delirio. Fine di novembre del 1935 (e sono gli anni in cui il Dottor Pereira traduceva racconti dal francese per il suo giornale…), Fernando Pessoa, poeta d’avanguardia portoghese, sta morendo in un ospedale di Lisbona.
Tabucchi ne ricostruisce con tono commosso e partecipe gli ultimi momenti, creando intorno a lui un alone misto di immagini fantastiche, epifanie oniriche e procedimenti inconsci, apparentemente disgregati ma in realtà uniti dalla coerenza psicologica del poeta morente. Nella sua stanza solitaria si alternano così, a uno a uno, quei personaggi cui egli ha saputo dar vita nel corso della sua produzione letteraria: nella realtà, nient’altro che nomi fittizi cui egli si compiaceva di affidare la responsabilità delle proprie poesie; ma, nell’anima del poeta, persone vere e proprie, dotate di esperienze individuali e uniche, con le quali dialogare e, inevitabilmente, confrontarsi.
Gli eteronimi di Pessoa sono personaggi in cerca d’autore che muoiono insieme al loro Pigmalione ma che prima dell’ultimo addio vogliono dimostrare affetto e riconoscenza al padre che ha donato loro un nome e una vita. Attraverso i loro discorsi Tabucchi fa riemergere la personalità e la biografia di Pessoa, la sua immensa solitudine, la sua passione per i piccoli piaceri quotidiani, la sua ironia, i suoi amori mancati. Nelle parole dei personaggi che si avvicendano, in lunga processione, al capezzale del poeta sembra di leggere l’inquietudine di Pessoa, il male di vivere che lo ha portato alla morte e quella pazzia ereditaria che “come un’onda nera si era abbattuta sulla sua testa”.
A ogni personaggio appartiene una ben definita personalità che
Tabucchi lascia trasparire con sensibilità e maestria, fondandosi prima di tutto sulle notizie ricavabili dal suo poeta preferito, ma senza esitare ad aggiungere quello che l’impressione e le letture personali potevano suggerirgli. Nella stanzetta d’ospedale di Fernando
Pessoa si presentano così Alvaro de Campos, dandy decadente e ironico;
Alberto Caeiro, padre putativo e maestro ideale del poeta, dall’animo gentile ed elegiaco; l’aristocratico reazionario Ricardo Reis, inguaribile amante della classicità e della monarchia; Bernardo
Soares, autore di un significativo Libro dell’Inquietudine, modesto e sognatore, certamente uno degli eteronimi più amati da Pessoa e dallo stesso Tabucchi che gli dedica ampio spazio nell’economia del romanzo; e per ultimo giunge, personaggio singolare, Antonio Mora, un folle paranoico che rivive gli antichi fasti della Roma lucreziana e affida le sue speranze a un improbabile Ritorno degli Dei (ed è sufficiente ascoltare alcuni momenti delle sue allucinazioni panteistiche per capire il tono di tutto il romanzo: “[…] ho attraversato notti infinite come una cometa lucente, gli spazi interstellari dell’immaginazione, la voluttà e la paura, e sono stato uomo, donna, vecchio, bambina, sono stato la folla dei grandi boulevards delle capitali dell’Occidente, sono stato il placido Buddha dell’Oriente del quale invidiamo la calma e la saggezza…”).

Chi possiede una certa familiarità con le opere di Tabucchi potrà avere l’impressione che l’autore sia in un certo senso ritornato alle atmosfere ipnotiche e irreali di Requiem, a quello stile lirico venuto a mancare durante la parentesi di Sostiene Pereira. E infatti, pur dovendo accordare a quest’ultimo romanzo un’impronta certamente originale, rimarcata specialmente da uno stile che fa’ forza sulle ripetizioni e su una modernissima punteggiatura, da un tono apparentemente semplice e lineare sotto il quale si celano potenti riflessioni filosofiche, bisogna ammettere che esso segua un andamento molto più coerente con la struttura tradizionale del romanzo classico.
Il percorso di Sostiene Pereira è un percorso cinematografico dove la tragica catastrofe finale funge da catarsi per il protagonista, ma anche per il lettore che, dopo aver seguito la vicenda abbandonandosi fiducioso all’ironia e all’apparente leggerezza che caratterizzano il racconto, resta inevitabilmente sbigottito davanti all’improvviso e terribilmente realistico atto conclusivo. Catapultato nella triste realtà del salazarismo portoghese, il lettore non può evitare di paragonare questi eventi a quelli altrettanto tragici di cui si resero protagonisti nazisti e fascisti nel nostro paese.
L’aggancio con la realtà rimane invece assai labile in Requiem come anche negli Ultimi giorni di Fernando Pessoa. Poesia e prosa si confondono, sogno e psicanalisi fanno da struttura a due romanzi incentrati su dialoghi immaginari, situazioni fittizie in cui concorrono personaggi viventi, illusori fantasmi, vicende inesistenti, colloqui favolosi. Il lettore scaltrito, lasciandosi guidare dalle suggestioni oniriche, dall’insistente interazione fra realtà e fantasia, trova un indubbio referente dell’opera nel Vittorini di
Conversazione in Sicilia, specialmente per il ruolo primario qui destinato alle sfere del ricordo e del sentimento, uniche guide cui è affidato l’intreccio del romanzo. La conversazione coi personaggi morti o immaginari, le epifanie di ricordi che si impongono al protagonista al punto di portare a un inevitabile confronto risultano essere la cifra dell’opera di Tabucchi che dimostra così di avere appreso la lezione dei romanzieri europei di questo secolo (fra i quali, oltre a Vittorini, non vanno dimenticati Thomas Mann e Cesare
Pavese) e di tutti coloro che rivisitarono il topos del viaggio come scoperta della propria coscienza e delle proprie radici.
Se dunque Requiem era, secondo le stesse parole dell’autore, una alucinacao, Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa, pubblicato a soli due anni di distanza, in quanto delirio, si propone come sua ideale continuazione. Si tratta di due biografie romanzate, due testamenti letterari di diversa ampiezza e diverso respiro nei quali prevalgono, a mo’ di ideale trait-d’union, profonde riflessioni sulla vita, sulla morte, sulla poesia. Ma essi rappresentano anche due splendidi omaggi prima di tutto alla civiltà portoghese, cui Tabucchi si sente indissolubilmente legato e alla quale profonde tutto il suo affetto, nonchè ai personaggi che animano questa terra, vivi come non mai e tutti generosamente ritratti sotto una perversa luce positiva.

Roberto Righi

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