Bentornati a tutti voi, cari lettori; come di consueto, eccoci qui per scoprire qualcos’altro sulla lingua giapponese. Siete riusciti a
“mandar giù” la lezione del mese scorso? Spero che non sia stata troppo dura… Questo mese cercherò di andarci più leggero, contenti?
Ma prima di procedere oltre, controllate come di consueto la soluzione dell’esercizio che vi ho proposto il mese scorso. Per vederla, fate
“clic” col mouse sulla parola evidenziata.
Bene, ed ora possiamo cominciare… Come vi aspetterete, se avete letto la puntata del mese scorso, per concludere la coniugazione dei verbi ci restano ancora da vedere quelli irregolari. I verbi giapponesi classificati di norma come tali sono solamente due, e cioè kuru (venire) e suru (fare). Sono verbi molto importanti e di uso frequentissimo; suru, poi, viene usato anche per tradurre molti altri verbi, col costrutto Nome + suru. Ad esempio, benkyoo significa studio; il verbo studiare si traduce in giapponese con benkyoo suru.
Vi sono anche altri usi e significati del verbo suru, ma li vedremo più avanti. Per ora limitiamoci a studiare la tabella della coniugazione per questi due verbi.
Verbo Radice B1 B2 B3 B4 B5 B6 kuru – ko ki kuru kuru kure koi suru – shi shi suru suru sure shiro
Come vedete, non c’è poi da fare un grande sforzo per imparare anche queste forme. Vi consiglio comunque di ricopiare anche questa tabella e di tenerla a portata di mano, soprattutto per i primi tempi. Anche come commento direi che non c’è molto da aggiungere a ciò che si è già detto il mese scorso; notate comunque che le basi B1 e B2 sono uniche, e che quindi coincidono con le B1a e B2a nel caso che queste siano richieste. Un’ultima cosa: esiste una variante letteraria della B6 per i verbi Ichidan e per il verbo suru. Nel primo caso, si ottiene semplicemente usando un yo al posto del normale ro. Ad esempio, il verbo miru (vedere) farebbe miyo invece di miro. Per il verbo suru, ivece, la variante diventa seyo. Ad ogni modo, nelle lingua parlata queste espressioni non vengono utilizzate. Ve le presento nel caso ve le trovaste di fronte in futuro in un testo scritto.
Bene, e con questo si può dire che abbiamo terminato la coniugazione dei verbi giapponesi! Niente male, vero? Tramite le tabelle che vi ho fornito, siete ora in grado di coniugare un qualsiasi verbo. Ci sarebbero in effetti alcuni verbi speciali (sarebbero irregolari, ma non vengono solitamente definiti come tali) a cui occorrerà prestare particolare attenzione (ad esempio gozaru, ossharu, irassharu, nasaru, kudasaru). Si tratta però di verbi che si usano nel linguaggio onorifico, e si presentano spesso in formule fisse che conviene imparare a memoria. Ad ogni modo li vedremo in futuro, per ora limitiamoci a cose più semplici.
Ok, ed ora passiamo all’argomento di questa puntata, e cioè il verbo essere. Non temete, non ho perso la memoria: non sto parlando di desu, ma dei verbi imasu e arimasu (in forma piana: iru e aru).
Probabilmente non ve ne ricordate (sigh) ma nella quarta puntata ve ne avevo già accennato, parlando del verbo desu. Quest’ultimo va tradotto sì col verbo italiano essere, ma con funzione copulativa. (Come sarebbe a dire che non vi ricordate più cosa significa? Correte a rileggere il quarto numero!). Quando invece col verbo “essere” si intende “esistere”, “esserci”, (funzione predicativa) allora in giapponese entrano in gioco i due verbi aru e iru. Come mai due?
Semplice, il verbo iru si usa quando il soggetto è un essere vivente, mentre aru si usa quando il soggetto è qualcosa di inanimato (e anche con concetti astratti). E’ appena il caso di farvi notare che iru appartiene alla coniugazione Ichidan (non confondetelo con l’apparentemente identico verbo godan iru, che significa occorrere) mentre aru è un verbo godan. Per la loro coniugazione potete quindi fare riferimento ai verbi miru e noru che abbiamo già visto.
Cominciamo adesso a vedere come si usano questi due verbi. Per far questo, vi devo presentare una nuova particella: ni. Essa ha molti usi, ma il più frequente è quello di tradurre il complemento di luogo, cioè quella parte della frase che risponde alla domanda: dove?
Vediamo un esempio:
L’insegnante è in classe (=kyooshitsu).
Sensei wa kyooshitsu ni imasu.
Notate come il ni segue il complemento di luogo. Il verbo utilizzato è imasu, perchè il soggetto (l’insegnante) è un essere vivente. E’ possibile anche cominciare la frase con il complemento di luogo; in questo caso il wa viene sostituito da ga, e la frase prende una sfumatura differente. Confrontate ad esempio la frase che segue con quella di prima:
Kyooshitsu ni sensei ga imasu.
In classe c’è un insegnante.
Notate come, a differenza di prima, in questo caso l’identità dell’insegnante non è nota, o comunque non viene dato risalto a questo particolare. Si può fare una considerazione di carattere generale, forse un po’ grossolana, affermando che wa segue un soggetto che si conosce già (perchè lo si è già menzionato in precedenza, o per altri motivi), mentre ga segue un soggetto che compare per la prima volta.
Vorrei precisare comunque che la differenza tra wa e ga nelle innumerevoli tipologie di frasi in cui compaiono è uno degli argomenti più oscuri e meno facilmente spiegabili dell’intera lingua giapponese.
Vediamo ora di definire meglio quello che abbiamo detto con qualche formula di carattere generale.
Luogo ni A (inanimato) ga quantità arimasu.
Al posto di “luogo” metteremo ovviamente la parola giapponese che indica il luogo appunto dove esiste A; nel caso vi siano due, tre, o un qualsiasi numero diverso da uno di A, allora si aggiungerà nel punto della frase occupato da “quantità” il numero opportuno. A questo proposito, la faccenda è tutt’altro che semplice, dato che il sistema giapponese per contare le cose è particolarmente complesso. Per ora vi basti sapere che ai vari numeri vanno attaccate particelle postfisse
(messe cioè alla fine della parola), comunemente chiamate classificatori. Tali particelle sono differenti a seconda di cosa si sta contando, ad esempio oggetti piatti e sottili, lunghi e stretti, animali, persone, macchine, ecc… I più comuni sono circa una quindicina, e ad essi e al loro uso sarà dedicata una prossima lezione. Per il momento limiteremo i nostri esempi a casi in cui il soggetto è unico.
Lo schema di prima conteneva il verbo aru e un soggetto inanimato; ovviamente la frase-tipo col verbo iru e soggetto animato è perfettamente analoga:
Luogo ni A (animato) ga quantità imasu.
Vediamo ora la forma negativa, usata per dire che nel tal luogo non c’è A. Ecco lo schema generale:
Luogo ni A (inanimato) wa quantità arimasen.
Luogo ni A (animato) wa quantità imasen.
Come vedete il tutto era abbastanza prevedibile; attenzione però che nella frase negativa, il ga è sostituito da wa. Vediamo un rapido esempio:
In questa città non c’è la metropolitana (=chikatetsu).
Kono machi ni chikatetsu wa arimasen.
Nel caso vogliate enumerare più cose che esistono in un determinato luogo, potete utilizzare la particella to. Osservate l’esempio:
Luogo ni A to B to C ga arimasu/imasu.
In (luogo) ci sono A, B e C.
Notate come all’ultimo elemento della lista segue ga e non to. Ad esempio:
In casa ci sono Mario, Luca e Michiko.
Ie ni Mario-san to Luca-san to Michiko-san ga imasu.
Notate l’uso della parola -san, che va attaccata ai nomi di altre persone per cortesia (assomiglia un po’ al “signor” dell’italiano).
Fate bene attenzione a NON attaccare -san al vostro nome, perchè questo equivarrebbe ad auto-innalzarsi agli occhi del vostro interlocutore, cosa assolutamente da evitare. Tenete sempre a mente che l’etichetta non solo è importante, nel giapponese: in un certo senso si potrebbe dire che l’etichetta è il giapponese, non so se mi spiego…
La particella to viene usata nel caso di enumerazione esauriente, cioè quando il vostro elenco di cose le comprende tutte. Nel caso invece che elenchiate solo una parte delle cose che si trovano in un dato luogo, usate invece la particella ya. In questo caso, l’ultimo elemento della lista è accompagnato spesso dalla parola nado
(eccetera). Vediamo un esempio:
In classe ci sono sedie, gessi, scrivanie, ecc.
Kyooshitsu ni isu ya hakuboku ya tsukue nado ga arimasu.
Come dovrebbe essere chiaro dall’esempio, sedia=isu, gesso=hakuboku e scrivania=tsukue. (Stiamo lavorando per il piccolo dizionario dei termini che abbiamo già visto, pazientate ancora un po’!).
Vediamo infine lo schema generale usato quando si vuole specificare dove si trovi il soggetto in questione (ed eventualmente la sua quantità), cioè lo schema del primo esempio di questa puntata.
N (inanimato) wa luogo ni quantità arimasu.
N (animato) wa luogo ni quantità imasu.
Per finire, vi presento una serie di utili paroline che vi aiuteranno a specificare con più precisione il luogo dove si trovano le cose.
Vediamole subito in una rapida carrellata:
ue = sotto shita = sopra mae = davanti ushiro = dietro hidari = sinistra migi = destra naka = dentro soto = fuori soba = a fianco, accanto chikaku = vicino ura = retro omote = fronte
Per utilizzarle, tenete presente che in giapponese non sono avverbi, ma nomi: quindi vanno combinate con la parola a cui si riferiscono tramite la particella no, che abbiamo già visto in precedenza. Vediamo qualche esempio:
Sopra la scrivania c’è un libro.
Tsukue no ue ni hon ga arimasu.
Una traduzione letterale di questa frase suonerebbe come “sul di sopra della scrivania c’è un libro” (ecco perchè si usa no). Vediamo un altro esempio:
Il cinema (=shinema) è vicino alla scuola.
Shinema wa gakkoo no chikaku ni arimasu.
Notate che ho usato l’altro tipo di costruzione: il cinema di cui si sta parlando è già noto all’interlocutore. Ormai dovreste aver già capito qual è lo schema generico per l’uso di queste parole, e cioè:
N no (parola) ni …
Dove al posto di (parola) metterete il termine appropriato tra quelli della lista di prima.
Bene, e con questo abbiamo terminato anche per questa volta… Mi raccomando di tenervi in allenamento, e se avete domande da fare, scrivetemi pure al solito indirizzo. Ora vi lascio al consueto esercizio; svolgetelo con attenzione, e arrivederci al mese prossimo.
Sayoonara
Qui c’è un libro.
Il libro è qui.
Dov’è il signor Tanaka?
Il signor Tanaka è a scuola.
Il tuo libro non è in camera (=heya) mia.
Non ci sono libri qui.
Il gatto di Michiko è sotto la scrivania.
In casa ci sono Giorgio e Anna.
Nella borsa (=kaban) ci sono matite (=enpitsu), carta (=kami), libri, ecc…
Ieri (=kinoo) ho studiato a scuola.