a Paola
Mi considererei il più fortunato dei mortali se riuscissi a guarire gli uomini dai loro pregiudizi.
Pregiudizio io chiamo non già il fatto di ignorare certe cose, ma di ignorare se stessi.
CHARLES-LOUIS DE SECONDAT
BARONE DI MONTESQUIEU
Da tempo, non ricordo da quanto, attendo il mio pranzo. Il locale, costituito da un unica sala, è piuttosto elegante. Non è il solito ristorante, dove ceno con amici, d’inverno, ma un locale d’albergo, ove il pranzo è servito ad orari prefissati. Alcuni tavoli, lungo il bianco perimetro della sala, non sono occupati. Comunque, in previsione di qualche ritardo, anche i posti più discosti sono stati preparati. I camerieri, inquadrati da una rigida divisa, sfrecciano tra i tavoli per soddisfare le singole richieste. Acqua, vino, pane; eppure, e a loro pare completamente naturale, continuano a non servire la cosa più importante, l’oggetto del comune desiderio: il pranzo. La cosa peggiore, e non sono il solo a notarlo, è che fingono di non vedere il nostro tavolo, come se volessero ignorarci. Eppure siamo al centro della sala, e quelle bianche figure passano continuamente al nostro fianco. L’uomo alla mia destra, un grasso straniero, ha da tempo finito il pacchetto di grissini che gli era stato assegnato. Con tenace diplomazia è riuscito a ottenere anche la mia parte, ma ora, spinto da composta voracità, vorrebbe un altro pacchetto. Un paio di volte – sono riuscito a notarlo con un certo piacere – ha tentato di chiamare un cameriere con un cenno di mano, ma nessuno gli ha rivolto lo sguardo.
Alcune persone, a me conosciute, mi tengono compagnia. Una comune esperienza ci ha legato per un certo periodo. Ma non abbiamo altri ricordi. Possiamo parlare solo di quell’episodio. Nessuno di noi si permetterebbe di discorrere di qualche altro argomento. Non siamo in molti, e lo spazio ristretto consente un unico dialogo. Tutti, in ogni momento, sono obbligati a parteciparvi. Solo chi è seduto agli estremi del tavolo può permettersi di scambiare qualche parola con chi è al suo fianco. Ma è imbarazzante, in quel caso, scegliere l’interlocutore senza offendere l’altro. E poi, di cosa parlare? E’ difficile trovare un secondo argomento, e sarebbe stupido sciupare in quel modo una buona occasione di conversazione. Io ascolto. Non riesco a trovare nulla da dire, nulla di più interessante dei loro ricordi. Ogni tanto, quando mi accorgo che chi parla è voltato nella mia direzione, fingo di interessarmi con un sorriso svogliato o con un cenno di capo. A volte il silenzio si fa generale. E’ il momento peggiore. Tutti gli sguardi si fanno d’un colpo più inquieti; tutti pensano inutilmente a qualcosa da dire; tutti gli occhi si indirizzano verso la persona più importante: quel grasso straniero seduto al mio fianco. E’ lui, infatti, che riesce a trasformare l’episodio più insignificante in un aneddoto brillante. Questo non fa che aumentare la sua posizione di comando, che è già molto alta. Ogni tanto qualche sguardo si posa sul frenetico andirivieni dei camerieri, con la speranza che il cibo possa finalmente arrivare. Il pranzo sarebbe una vera liberazione. Non occorre, anzi è sconsigliato, parlare mentre si mangia. In ogni caso, se proprio si deve dire qualcosa, si può sempre giudicare la qualità di quel cibo. Ma i camerieri, assorti dal loro lavoro, continuano ad ignorarci. Qualcuno di loro ha cominciato a servire gli altri tavoli.
Questo fatto ha riempito di grande speranza ciascuno di noi.
Probabilmente, presto o tardi, arriverà il nostro turno. I miei amici, avevo cominciato a notarlo da tempo, cominciavano a spazientirsi. Ma non perchè il cibo non voleva arrivare, bensì per il fatto che non avevo ancora parlato. Tutti avevano tentato di animare la conversazione, ed ora, per un senso di giustizia che regnava sovrano, era arrivato il mio turno. Ma io, che nulla ricordavo della nostra esperienza, non sapevo che cosa raccontare. Le altre cose, quelle che riguardavano la mia quotidianità personale, avrebbero certamente annoiato ognuno di loro. Qualcuno mi avrebbe certamente fatto notare che non ci eravamo ritrovati per sentire le mie storie insensate. Ma perchè, continuavo a ripetermi, avevo accettato quell’invito improvviso? Avevo solo perduto il mio tempo prezioso. I camerieri, intanto, avevano tolto i piatti della prima portata. Il nostro tavolo, in mezzo a quell’unica sala, era stato ignorato. Ma nessuno di noi osava lamentarsi per quella mancanza. Tutti temevano che il signore importante, che forse ci aveva invitato, avrebbe potuto offendersi per il nostro comportamento. Non era stato lui, però, a parlarmi di quel pranzo, ma uno degli altri, quello magro, dall’altra parte del tavolo.
“Passami a prendere” mi aveva detto al telefono, “sarà uno spasso, vedrai.” Neppure lui sembrava divertirsi, nemmeno lui riusciva a parlare. Nessuno, però, sembrava rassegnarsi a quello stato di cose.
Tutti cercavano di cominciare qualche discorso, anche il più insignificante, purchè avesse qualche attinenza con la comune avventura che avevamo vissuto. D’improvviso, proprio mentre i camerieri cominciavano a servire la seconda portata, la ragazza che mi sedeva di fronte ricordò un episodio importante che ancora ci era sfuggito. Un coro di approvazioni partì dagli altri commensali.
Qualcuno cominciò persino a ridere. Il ragazzo che mi aveva telefonato arricchì quell’episodio con una felice battuta. Tutti, a partire dalla ragazza a cui ora luccicavano gli occhi, si erano rallegrati di quell’inaspettato ricordo. Riuscimmo a parlarne per qualche minuto. Io continuavo ad ascoltare, sorpreso dal numero di interpretazioni che quel ricordo riusciva ad evocare. Loro sembravano così felici, ora, di poterne parlare. Ma poi, quando tutto fu chiarito, il tavolo ripiombò nel più assoluto silenzio. I camerieri avevano tolto i piatti della seconda portata. Gli ospiti degli altri tavoli sembravano soddisfatti del pranzo che avevano consumato. Qualcuno pregustava già il dolce, che forse aveva sognato fin dall’inizio del pranzo. E noi? Non si erano accorti quei camerieri che non avevamo ancora mangiato? E gli altri seduti al mio tavolo? Perchè nessuno protestava? Forse si erano rassegnati? Forse era destino che non avremmo mangiato? Anche il signore più importante aveva smesso di conversare. Anche lui guardava assente lo spazio circostante, anche lui era in imbarazzo per quel cupo silenzio che aveva causato. Un cameriere molto alto, finalmente, si avvicinò al mio tavolo. Mi porse un foglio di carta, appoggiato su un vassoio d’argento. Ero contento per la fine di quell’agonia, ma mi seccava di essere stato prescelto per pagare quel conto salato.
Nessuno, infatti, si offriva per dividere quella spesa. Strano però, pensai guardando il cameriere molto alto, non mi sembrava di aver mangiato.
Modena, 12 ottobre 1993