Gregorio Bardini è un flautista di eccellente caratura. Se la pietra di paragone è l’oro, questa caratura si può quantificare all’oro di massima purezza, 24 parti d’oro su 24 totali. Non si tratta soltanto di qualità “curriculari”: ha conseguito il Diploma di flauto traverso moderno presso i Conservatori di Mantova e Parma e una Laurea in Filologia ugro-finnica presso l’Università di Bologna; ha seguito corsi di perfezionamento con Severino Gazzelloni, Silvano Bussotti, A. Mayr, G. Trovesi e altri grandi nomi della scena internazionale; ha studiato numerosi e diversi flauti, da quelli etnici al flauto rinascimentale e al traversiere barocco; ha avuto una intensa attività concertistica nel campo della musica classica, antica e popolare in Italia e all’estero come solista e in gruppi da camera; ha insegnato; ha una discografia egregia. Ma si tratta ancor prima e prima di tutto del musicista al contempo ricercatore e intellettuale della musica a tutto tondo, che fa di Bardini un patrimonio eccellente per la cultura musicale italiana e non solo italiana. Bardini scrive e collabora con diverse riviste di musica (I Quaderni di Avalon, Viator, Quaderni di Kultur, Italia settimanale), ha partecipato a un volume collettaneo con un saggio sulla cultura musicale lappone, ha scritto libri (Musica e sciamanesimo in Eurasia, 1996 Barbarossa Ed., testi su Bach e una biografia di Komitas). Tra i suoi lavori editi su Cd segnalo (perché li conosco, e questo per giustificare ciò che non menzionerò) “Ballate lombarde” (Arx-collana Ballate Arcadiche, 2002, con Davide Bortolai e Giuseppe Santini), La casa del custode (su poesie scritte e recitate dal poeta mantovano Alberto Cappi), Komitas (ArxCollana, 2004, con Paolo Longo Vaschetto, che merita ulteriori approfondimenti). Last not least Bardini è un musicista che ha collaborato con le migliori avanguardie del “dopo-rock”, tra cui Tuxedo Moon (Tour e video “Ghost sonata”), Steve Piccolo dei Lounge Lizards e Tony Wakeford dei Death in June.
Due parole su Komitas. Gregorio Bardini ha pubblicato un cd di 35 trascrizioni per flauto di brani vocali raccolti dal grande musicista armeno Soghomon Gevorki Soghomonyan – Komitas (nome col quale fu soprannominato quando venne fatto monaco) Vardapet (titolo che potrebbe corrispondere al nostro “don”) o, semplicemente, Komitas (credo si pronunci Gomidas Vartabed). Sacerdote, pedagogista, compositore e musicista armeno nato nel 1869, morto a Parigi nel 1935, Komitas fu anche un etnomusicologo. In gioventù visse a Berlino e a Parigi, dove fu apprezzato dai massimi compositori dell’epoca, tra cui Debussy. In seguito si trasferì a Costantinopoli. Il suo lavoro di ricerca sul campo della musica armena è stato paragonato a quello di Bartok verso la musica popolare ungherese. Egli girò in lungo e in largo l’Armenia trascrivendo circa 3000 canti popolari, molti dei quali adattò per coro polifonico. Fu arrestato nel 1915, agli inizi del genocidio armeno, e condotto in una città dell’Anatolia. Autorità politiche e culturali turche del suo tempo riuscirono a riportarlo indietro nel 1916, ma Komitas non era più lo stesso. Ricoverato in un ospedale di Istanbul, si vociferò di schizofrenia, di un manifestarsi di pazzia per le conseguenze di una malattia venerea o di insopportabile stress a causa del genocidio a cui aveva assistito (oggi è considerato uno degli uomini simbolo dell’Olocausto armeno che vide la deportazione e la eliminazione di centinaia di migliaia di armeni compiuta dal governo dei Giovani Turchi tra il 1915 e il 1916. Nel 1919 fu trasferito a Parigi dove, nel 1935, morì nella clinica psichiatrica Villejuif. Nel 1936 fu riportato a Yerevan e sepolto in un Pantheon a lui dedicato. Bardini ha compiuto un lavoro di grande rilevanza: non ha soltanto realizzato un cd con le musiche di Komitas, ma anche scritto un libro che, oltre alla vita del Grande, tratta anche lo studio intrapreso per decifrare il “Khaz”, ossia il sistema di notazione neumatica della musica armena.
Davide
Ciao Gregorio. Innanzi tutto, c’è qualcosa da migliorare o aggiungere al profilo che ho fatto di te e poi anche di Komitas?
Gregorio
Profili perfetti…
Davide
Sono curioso di saperne di più a proposito di neumi armeni. Ci puoi descrivere questo sistema di notazione?
Gregorio
Esistono due sistemi di “chaz”, il sistema di notazione neumatica della musica sacra armena. Il primo sistema era costituito da segni “ecphonetici” chiamati “arogunat`yan chazer” ossia segni di accentuazione, usati negl’inni ,”sharaknots”; in questo sistema troviamo dieci segni di base, suddivisi in quattro categorie e denominati “olorak” (tonos), “amanak” (xrono), “hagag” (pneuma) e “kirk” (pathi). Il secondo sistema invece annovera più segni ed un gran numero di varianti e sottogruppi. Tale sistema fu descritto da padre Komitas in “Die armenische Kirchenmusik” (Lipsia,1899). In tale opera, Komitas inserì diversi esempi di melodie decifrate, elenchi di “chazes” ed il loro contesto d’utilizzo (di “nuance”, d’altezza, melismatici, dinamici, ritmici, di chiave, d’accentuazione, di cadenza, di stile, d’alterazione, d’unione e divisione). Questo sistema fu utilizzato per trascrivere i canti liturgici armeni ma anche nella musica profana. Komitas dedicò vent’anni alla studio dei “chaz”, arrivando infine a trovarne la chiave di decifrazione. Per secoli questi segni erano rimasti un’enigma. Dopo la morte del padre, i suoi studi paleografici non furono ritrovati. Molti temettero che fossero stati bruciati durante le persecuzioni subite dalla comunità armena, assieme a molto altro materiale musicale di Komitas. Invece, nel 1984, Arthur Shahazarian ritrovò nell’archivio di Komitas gli appunti originali! Da qui è partita la fase di decifrazione dell’intero patrimonio liturgico armeno che è ancora in corso.
Davide
Tu che hai studiato altri modi di notare la musica, elettronica a parte, pensi che quello comunemente accettato, insegnato e adoperato utilizzi la semiografia musicale migliore possibile? Oppure hai riscontrato segni neumatici più efficaci in grado di esprimere cose che la notazione universale non riesce a significare? E, se questo ti è capitato studiando il “khaz” armeno, come hai cercato di trascriverli?
Gregorio
Penso che i sistemi neumatici antichi siano di gran lunga superiori a quelli moderni, in quanto più sintetici e dinamici. Ho utilizzato in passato una notazione neumatica “fai da te” in ambito concertistico ma anche in quello didattico. Ciò mi è servito come pro memoria ed era mutuato dai segni del “cantus planus” erroneamente definito “gregoriano”.
Davide
Un’ultima domanda sulla notazione (scusa, ma è un argomento che mi affascina). Tu hai studiato, tra gli altri, con Bussotti e, quindi, credo che ti saranno note certe partiture assolutamente creative, che devono in qualche modo adeguarsi alle esigenze evolutive della musica contemporanea e d’avanguardia. Si tratta a volte di vere e proprie notazioni personali, ad hoc, di valore nondimeno estetico. Ma, a parte queste, sono stati ormai proposte circa 300 tipologie di riforma della notazione lineare come l’esagramma o differenziazioni di righe da una sola fino a sedici, righi costituiti da righe singole, doppie o quadruple, continue o spezzate, piene o increspate, orizzontali o verticali, equidistanti o a distanza variabile… Insomma, un ginepraio. Secondo il tuo punto di vista ad oggi, quale sarebbe per te il tipo di notazione ideale?
Gregorio
Quella del cantus planus aggiornato alla grafia della tecnologia moderna.
Davide
Anche tutto il resto, ammiro però molto il fatto che tu abbia collaborato con i Tuxedo Moon, Blaine Reininger e Steven Brown in primis, suppongo. Puoi dirci qualcosa di questa tua esperienza?
Gregorio
Un giorno, nel 1982, una mia amica punk di Milano, sapendo che i Tuxedo Moon erano il mio gruppo preferito, mi telefonò, informandomi che i Tuxedo avevano messo un’inserzione sul Corriere. Il gruppo americano stava cercando alcuni strumentisti per la performance “Ghost Sonata”. Dopo un’audizione a Falconara, fui accettato, per cui trascorsi un mese intero coi Tuxedo in Ancona. Avevo solo quindici anni: vi lascio immaginare, fu un’esperienza indimenticabile! Potevo suonare col mio gruppo preferito! E infatti ho seguito i Tuxedo nel loro tour italiano (cinque date più la registrazione di un video) che terminò a Modena (esiste un live di questa data).
Davide
Vorrei farti una domanda senza il solito punto interrogativo. Quando in giro ho detto di te che avevi studiato, tra gli altri, con Severino Gazzelloni, è stato automatico vedere espressioni di ammirazione…
Gregorio
Ebbi la possibilità di perfezionarmi col celebre flautista Severino Gazzelloni in quanto frequentai l’Accademia Chigiana di Siena, parecchi anni orsono.
Seguii le sue lezioni: la prima volta come solista, durante un lunghissimo corso estivo e successivamente assieme a un quartetto di flauti.
Davide
Schiarazula marazula. La lusigne, la cracule, la piciule si niciule di polvar a si tacule… Ti sono grato per avere riascoltato, nel tuo cd “Ballate lombarde”, questo bellissimo ballo dei Benandanti… Mi inquieta sempre la vicenda di quei “nati con la camicia” (con l’amnio), che da positivi salvatori di raccolti divennero poi eretici stregoni affiliati con il demonio, quindi perseguitati. Viene da chiedersi perché mai continuare a usare l’espressione “nato con la camicia”, vista la fine che han fatto… A parte questa colloquiale divagazione, qual è il brano del tuo repertorio di cui ti piacerebbe raccontare una qualche sua storia esemplare?
Gregorio
L’ultimo brano di “Ballate Lombarde” s’intitola “l’Inglesa”. E’ un brano celebre, diffuso in tutt’ Europa, da noi presente in pianura padana e nell’area alpina. Si tratta della celebre favola di Barbablù che viene cantata, più o meno con lo stesso testo (nei vari dialetti) ma con melodie diversissime da paese a paese, da provincia a provincia. Io l’ho raccolta nella mia famiglia tramite mio papà e mio nonno che la cantavano accompagnandosi colla chitarra e col mandolino.
Nell’album l’ho cantata accompagnandomi col Bock (ted. “caprone”), una cornamusa a mantice con pelo nero ed una statuetta lignea raffigurante un caprone che viene suonata in Boemia, a Vienna e in Franconia.
Davide
Omar Bandinu dei Tenores di Bitti, qualche tempo fa, mi ha detto che il canto a tenore sardo è stato annoverato tra i beni del patrimonio umano dell’UNESCO. A quanto pare il cosiddetto patrimonio umano dell’UNESCO si sta quindi allargando anche ad altro, non più limitandosi ai soli beni archeologici o ambientali. Premesso che farei di ogni musica e arte “patrimonio umano dell’UNESCO”, oggi, dopo trent’anni esatti, ho riascoltato “Eskimo” dei Residents e una mia annotazione sulla Moleskine alla fine è stata: Eskimo dei Residents, da proporre come un patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. Anche Stalker di Tarkovskij. Tu chi e cosa proporresti al riguardo?
Gregorio
Il “Sacre” di Strawinskij.
Davide
Senti, detto ancor più in questi tempi di “Grande Fratello 8” dove i Beatles sono I Bletz, John Lelo, Paul McCartley, Roy Roger, Roger Moore, George Roger… http://www.youtube.com/watch?v=JKdJ_q0GVIc Insomma, a concepire musica come la tua e parlarne come stiamo facendo noi, c’è pure il timore di fare la figura dei quattro intellettuali “sfigati”… Naturalmente non me ne importa e ci rido sopra. Non è colpa delle persone, anche un po’ vittime, ma di chi dovrebbe fare cultura e invece promuove l’ignoranza. Tu cosa pensi al riguardo?
Gregorio
Certamente chi controlla i media ha delle grosse responsabilità. Comunque ognuno resta libero di cercare ciò che vuole e di tendere verso le cose secondo la propria natura. Tra l’altro nell’era di internet, tutti hanno la possibilità di trovare le cose più strane o di nicchia: abbiamo meno scuse, rispetto al passato, di restare ignoranti…
Davide
Quali sono i tuoi progetti a venire?
Gregorio
Sto componendo alcuni brani di musica sacra. Prossimamente entrerò in studio per registrare il mio nuovo album. Nel frattempo attendo l’uscita di due album, che usciranno per la label israeliana Eastern Front: si tratta di due cd realizzati con Thierry Jolif (musica bretone) e con Gerstein (Maurizio Pustianaz) (un lavoro decisamente più industrial/elettronico).
Davide
Spero di poterne parlare presto. Non voglio concludere come Marzullo (Si faccia una domanda e si dia una risposta). Perciò ti ringrazio molto per la disponibilità e spero di tornare a parlare presto di un tuo nuovo lavoro. A’ suivre.