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Intervista a Cecilia Randall (Hyperversum)

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Ciao Cecilia, scorrendo le pagine di KULT Underground abbiamo visto che l’ultima volta che abbiamo avuto il piacere di intervistarti è stato nel gennaio del 2007, poco dopo l’uscita del primo Hyperversum. Sono passati poco più di due anni quindi da allora, e ti ritroviamo con altri due ottimi libri pubblicati, e con un seguito di fan, di ogni età, piuttosto impressionante. Cosa è cambiato, per Cecilia Randall la scrittrice, da allora, e cosa per Cecilia la persona?

R. Entrambe hanno acquisito “punti esperienza”, tanto per restare nel gergo del gioco di ruolo. Come scrittrice spero di aver imparato a elaborare le trame dei miei libri con più consapevolezza e non solo con l’istinto, anche se sicuramente questo continua ad avere una parte importante quando scrivo. Mi sembra di avere più strumenti con cui vagliare e decidere le singole scene e lo svolgersi dell’arco narrativo, più scioltezza nel buttare giù le frasi. Spero anche di aver imparato dagli errori, però solo i lettori possono davvero giudicare se sono migliorata oppure no.
Dal punto di vista personale, ho sicuramente imparato a dominare la mia timidezza. Se penso che qualche anno fa mi tremavano le gambe al solo pensiero di esporre una relazione davanti ai compagni di università… faccio fatica a credere di essere sempre io quella che adesso riesce a parlare dietro un microfono su un palcoscenico.

Il secondo dei libri di Hyperversum (Il Falco e Il Leone) pubblicato a fine 2007 è diverso per molti aspetti rispetto al primo. Più azione, un taglio forse un po’ differente nel descrivere i personaggi e il background (che i lettori già avevano avuto modo di conoscere) e un ritmo reso dall’inizio piuttosto cadenzato dai tanti colpi di scena. Tra quello e il primo, per quello che hai avuto modo di sapere parlando con i lettori o leggendo commenti e recensioni, quale ti sembra sia piaciuto di più e perché? E cosa ha rappresentato per te come autrice quella seconda sfida, dopo i risultati più che positivi ottenuti con il primo volume?

R. Secondo i commenti che ho ricevuto, sembra che “Il Falco e il Leone” sia piaciuto mediamente più di “Hyperversum”, il che mi riempie di soddisfazione, dal momento che scrivere il seguito di una storia espone sempre al rischio di deludere le aspettative. Durante la stesura la paura era davvero tanta. Sentivo addosso una grande responsabilità nei confronti dei lettori e dell’editore; rimuginavo all’infinito su ogni svolta della trama, sempre con il dubbio che le mie scelte non fossero giuste, e in contemporanea sentivo che la storia non poteva andare in modo differente da come l’avevo immaginata fin dall’inizio. Ho moltiplicato le ricerche per lo sfondo storico, ho cercato di vagliare ogni dettaglio dell’intreccio, ma mi sono sentita tranquilla solo quando dalla redazione mi hanno dato il loro responso positivo. La stessa scena si è ripetuta (amplificata!) al momento di scrivere il terzo libro.
Del secondo libro, a quanto so, i lettori hanno apprezzato il ritmo e il taglio più “severo” (la definizione non è mia): la trama è più veloce, lascia maggior spazio all’azione e meno alla storia d’amore. E la parte del leone l’ha fatta… il Leone, se mi perdoni il gioco di parole. Il personaggio di Geoffrey Martewall, l’antagonista, il Leone di Dunchester, è piaciuto molto, ha sorretto sulle sue spalle buona parte della trama e io sono particolarmente contenta del favore che ha riscosso, perché amo questo personaggio almeno quanto Ian e Daniel.

Il primo libro ha un finale aperto, che faceva sicuramente supporre un proseguo delle avventure di Ian, mentre nel secondo tutto si chiude in un modo più netto, meno sospeso. C’è stato un motivo specifico per questa scelta (a parte quello di “spaventare” i lettori…), magari riconducibile a una tua pianificazione sulla saga di Hyperversum? Il terzo volume era già in qualche modo preventivato o è stato concepito in un secondo momento?

R. Giuro, non volevo spaventare nessuno! Nella mia testa il destino dei personaggi di Hyperversum è sempre stato talmente chiaro in tutti i suoi sviluppi futuri (quelli che vanno molto oltre ciò che ho già raccontato nei libri) che i tre finali non hanno mai avuto altro scopo se non quello di mettere un punto fermo alla trama del singolo libro nel modo più ritmato possibile, cercando di non dilungarmi oltre il necessario.
Di solito nessuno mi crede quando dico che il primo finale non è stato studiato apposta per lasciare la porta aperta a un eventuale secondo libro. Semplicemente non volevo lasciare Ian in una situazione disperata, non volevo chiudere il libro senza fargli vedere la luce in fondo al tunnel, tutto qui.
Nel secondo finale, forse non ho realizzato appieno l’effetto che poteva fare sugli altri. Non avendo mai preso in considerazione sul serio l’ipotesi di un taglio netto tra i miei protagonisti in quel punto delle loro vite, in qualche modo ero convinta che anche tutti gli altri lettori non si sarebbero lasciati impensierire.
Il terzo libro non era preventivato quando ho chiuso il secondo, così come il secondo non era preventivato quando avevo chiuso il primo. Io però conoscevo il destino dei miei protagonisti e in nessun modo per me i finali rappresentavano una chiusura definitiva.

La crescita emotiva del protagonista (e anche se meno accentuata anche del comprimario Daniel) tra il primo e il secondo romanzo danno, direi, il tono della narrazione, fino a diventare una parte della struttura della trama nella tua terza opera. Com’è vedere cambiare e in qualche modo invecchiare i propri personaggi, quanto è complicato seguire la loro maturazione con il progredire della trama, e quanto in loro continua ad esserci del “giocatore di ruolo”, punto d’entrata del tutto?

R. Non è complicato seguire i personaggi che evolvono, al contrario credo che sia piuttosto naturale, a maggior ragione se la trama complessiva comporta il trascorrere di alcuni anni. I personaggi non dovrebbero rimanere “congelati” nella loro forma iniziale: dov’è il divertimento se non cambiano, maturano, evolvono nel bene o nel male, esattamente come facciamo tutti nel corso della vita? Il difficile è riuscire a far cambiare un personaggio in modo plausibile e possibilmente interessante, senza snaturarlo, ma anche in questo caso lascio ai lettori il giudizio sui miei personaggi. Di sicuro Ian e Daniel hanno mantenuto la loro natura di giocatori di ruolo, perché la loro vita stessa è diventata un gioco di ruolo pericoloso e in qualche modo stratificato. Ciascuno di loro indossa anche più maschere contemporaneamente, conscio di rischiare la vita nel caso il ruolo non venga interpretato nel modo più impeccabile.

Il background storico di Hyperversum II è forse il più noto (da un punto di vista letterario) tra quelli che sviluppi nei tre romanzi. Passare dalla Francia all’Inghilterra è quindi forse stata una sfida doppia, perché è stato un rimettersi in gioco (dopo lo studio fatto per H1) facendolo in una ambientazione che già suggeriva richiami ai lettori. Quanto questo è stato divertente, e quanto faticoso? E, se c’è un motivo, come mai hai deciso di spostare il campo di gioco oltre Manica? E come mai ha preferito abbandonare personaggi del presente, preferendo a loro personaggi del passato (penso alla figura di Beau, ma non solo), come nuovi membri del “party” principale?

R. In questo caso cambiare scenario è stata una sfida forse più divertente che faticosa, perché mi è sembrato di tornare in luoghi già conosciuti per ritrovare vecchie conoscenze delle mie letture dell’infanzia: re Giovanni Senza Terra, Riccardo Cuor di Leone, Robin Hood e gli allegri compari della foresta di Sherwood… ci sono più o meno tutti, di persona, citati nei dialoghi o solo suggeriti dall’ambiente.
Io però ho attraversato la Manica solo per seguire il Leone. Ai fini della trama era necessario che il personaggio dell’antagonista fosse (almeno all’inizio) nel territorio a lui più congeniale e favorevole, un luogo in cui potesse avere autorità, un ampio raggio d’azione e una posizione di grande vantaggio rispetto ai protagonisti. Cambiando campo ho voluto anche smentire un commento sentito troppo spesso riguardo a Hyperversum I e “gli Inglesi cattivi” contrapposti ai “Francesi buoni”. In Hyperversum nessuno combatte contro o con il Signore del Male e ciascuna parte in lotta ha le sue motivazioni per agire in un modo o in un altro, secondo quella che spesso è la convenienza politica o personale: non ci sono perciò “buoni” e “cattivi” divisi da una linea netta, meno che mai rappresentata dall’appartenenza a un popolo piuttosto che a un altro.
Per aumentare ulteriormente i motivi di tensione, Ian e Daniel dovevano essere soli in terra straniera, quindi ho tolto loro l’appoggio degli amici più stretti (moderni e non) per lasciarli fare i conti solo con le loro forze e la loro capacità di trovare alleati anche dove meno potevano aspettarseli, appunto tra gli Inglesi.
Infine, per cambiare punto di vista rispetto al libro precedente, ho osservato la vita della gente umile, lontana dai castelli e dalla nobiltà. È stato un cambio di prospettiva interessante.

Quali scene hanno portato via più tempo durante la stesura di H2 e quali sono state più apprezzate dai lettori? Com’è stata ideata la figura del Leone?

R. La scena più complicata in assoluto è esattamente a metà del libro, un momento di intrigo politico che vede coinvolti praticamente tutti i personaggi principali, protagonisti, antagonisti e la mia interpretazione personale di un personaggio storico: William Lunga-Spada, conte di Salisbury. Altrettanto sofferta è stata l’udienza al cospetto del famigerato Giovanni Senza Terra, anche lui rielaborato secondo la mia personale idea e soprattutto le necessità della mia trama. In generale, devo dire che le scene “politiche” sono sempre quelle che mi fanno venire gli incubi per giorni, prima, dopo e durante la stesura.
Faccio fatica invece a individuare quale scena sia piaciuta di più ai lettori, perché mi hanno dato molte risposte diverse: c’è chi ha apprezzato le battaglie, chi il ritorno sulla scena di vecchie conoscenze oppure i dialoghi che in qualche modo segnano una resa dei conti tra alcuni personaggi. Tutti però sono stati concordi in un giudizio positivo sul finale.
Il Leone Geoffrey Martewall compariva tre volte nel primo libro e non pronunciava mai una parola, era solo la spalla dell’antagonista principale Jerome Derangale eppure già da allora sapevo molte cose di lui: che era un guerriero eccezionale, con un fortissimo senso dell’onore e dell’amicizia e un carattere inflessibile e vendicativo. Soprattutto, sapevo che era un uomo onesto, a differenza del suo compagno d’armi. Non immaginavo allora che sarebbe diventato la colonna portante del mio secondo libro, ma poi ho pensato subito a lui quando ho dovuto pensare al nuovo antagonista da mettere sulla strada di Ian e Daniel. Volevo un villain diverso dal precedente, un nemico da stimare e comprendere e non solo da odiare. Devo dire che è venuto fuori esattamente come me lo immaginavo e meno male, perché l’intera trama si appoggia appunto sulle sue spalle. Guai se mi avesse tradito!

Il terzo volume, uscito da poco più di un mese, è stato davvero un bel regalo per i tanti appassionati. In parte perché ha permesso loro di immergersi di nuovo nelle atmosfere di Hyperversum, e in parte perché ha permesso questo, con un romanzo che ha saputo coniugare al meglio tanti elementi presenti nei primi due volumi. Ci puoi dire come è nato questo libro, che tempi ti ha richiesto la stesura, e quali sono stati gli elementi di difficoltà della trama – questa volta impegnata a dipanarsi all’interno della crociata in terra di Francia contro gli eretici?

R. Anche stavolta, come le due precedenti, la stesura mi ha richiesto sei mesi di lavoro, con le ricerche storiche e tutto il resto, e anche con il terzo libro ho dovuto fare i conti con una serie di limitazioni imposte da ciò che avevo già scritto nei libri precedenti. Alcuni personaggi avevano un destino già scritto, che non potevo ignorare e che potenzialmente andava a limitare la suspence. In aggiunta, avevo sullo sfondo un argomento difficile come la Crociata Albigese, sulla quale ho dovuto studiare ancora di più delle volte precedenti, anche se per scelta ho deciso di tenerla sullo sfondo. Diciamo che ho dovuto intrecciare molti fili diversi, sperando di non creare nodi. Un elemento di particolare difficoltà è stato il dover coordinare gli spostamenti di gruppi diversi di personaggi su un territorio abbastanza ampio, da un certo punto in poi. Ho passato ore sulle cartine geografiche con righello e compasso, a calcolare tragitti e tempi di percorrenza attraverso i feudi medievali.

Che figure sono diventate Ian e Daniel, in questa terza opera? E che altri attori importanti ci può trovare il lettore, storici e non storici nel background di Hyperversum?

R. Ian e Daniel sono diventati entrambi uomini adulti e maturi alla fine del secondo libro, attraverso i pericoli che hanno dovuto affrontare e superare. In questo terzo libro ho voluto seguire il loro cammino lungo strade che lentamente divergono a causa dell’ambiente in cui hanno deciso di vivere. Ian ha scelto il Medioevo, Daniel il ventunesimo secolo: due realtà così distanti, con regole morali e punti di riferimento a volte completamente diversi, non potevano non influenzare il modo di pensare e di comportarsi di entrambi i personaggi. È stato interessante vedere i due amici fraterni evolvere in modi distinti fino a contrapporsi su alcune scelte decisive.
Intorno a loro stavolta ho richiamato molti personaggi dei libri precedenti (il conte di Ponthieu primo tra tutti), lasciando meno spazio a eventuali nuovi arrivi (a parte gli antagonisti, ovviamente). Tra i personaggi storici dell’epoca ho dato la mia personale interpretazione del famigerato condottiero Simon de Montfort, ma soprattutto di una regina poi diventata santa: Bianca di Castiglia, moglie del futuro re Luigi VIII e madre di San Luigi IX.

Le figure femminili, presenti comunque in tutti e tre i volumi, assumono in questo terzo romanzo un ruolo fondamentale. Ce ne puoi descrivere qualcuna e raccontarci quanto c’è di Cecilia Randall in ognuna di esse?

R. Non credo ci sia molto di me in queste donne così coraggiose e forti! Casomai hanno alcune delle qualità che vorrei tanto avere, anch’io. Isabeau de Montmayeur sa impugnare le armi per difendere se stessa e chi ama da qualsiasi minaccia e non si lascia spaventare dall’ignoto; Bianca di Castiglia non si fa intimidire da condottieri, abati o sovrani, quando difende le sue opinioni; Donna de Sancerre ha fatto con serenità una scelta coraggiosissima, ha saputo voltare pagina e lasciarsi ogni cosa alle spalle per cominciare senza alcuna garanzia una nuova vita in un mondo straniero. Io che di natura sono ansiosa, timida e piena di dubbi non posso che invidiare donne così…

In Il Cavaliere del Tempo è difficile per me dire quale scena mi sia piaciuta di più. Forse, da giocatore di ruolo, ho apprezzato molto l’agguato e la fuga, o forse specificatamente qualche combattimento. Ma molto curati sono anche i momenti politici. Cosa ti aspetti che rimanga più impresso nella memoria del lettore, tra queste, o altre, tipologie di accadimenti? L’impressione che dietro alla narrazione in quest’ultima opera ci sia uno studio ancora più approfondito delle altre volte del background storico è probabilmente falsata dalla memoria, ma se c’è qualcosa di particolare dietro alle ricerche che hai compiuto, o qualche punto su cui vale la pena raccontare un aneddoto, ci piacerebbe sentirlo.

R. Le scene politiche sono state apprezzate anche da altri lettori e io ne sono felice, vista la fatica che mi sono costate, come sempre! Io spero soprattutto che i lettori apprezzino l’intrigo e il gioco di mosse e contromosse che sta sotto l’azione. Ho cercato di progettarlo nei minimi dettagli, valutandolo dai punti di vista dei vari personaggi, e spero di aver fatto un buon lavoro. Aspetto il responso con ansia.
Riguardo la ricerca storica, ormai per me è un tale divertimento scovare le curiosità della vita medievale che cerco quando possibile di mettere nella narrazione piccoli dettagli che approfondiscano l’idea dell’ambiente. In questo sono facilitata dal fatto di aver potuto descrivere gli aspetti principali della vita medievale nel primo libro e perciò, proseguendo con i due successivi, ho potuto dedicarmi progressivamente ai dettagli.
Il problema delle ricerche storiche è l’affidabilità delle fonti, che vanno controllate e confrontate mille volte e poi ti riservano sempre delle sorprese. Nel caso del Cavaliere del Tempo, ho ricevuto un brutto colpo quando una fonte (apparentemente autorevole) ha completamente contraddetto ciò che avevo letto in precedenza sull’argomento specifico (non dirò quale!). Ero a tre quarti della stesura e ho passato due giorni a rileggere tutto da capo (fonti e libro) per cercare di correggere un errore… che poi non c’era, perché era l’ultima fonte a essere sbagliata. Ho avuto un momento di sconforto, confesso.

Sappiamo che tramite le presentazioni o le partecipazioni alle fiere, o ancora attraverso i canali digitali, tu hai un contatto frequente con i lettori. C’è qualcosa di curioso o di simpatico che ti è capitato in questi due anni che riguarda l’interazione con i tuoi fan?

R. Sono sempre emozionata dall’entusiasmo che mi dimostrano tutti quelli che mi scrivono o vengono a incontrarmi alle presentazioni e alle fiere. Ne approfitto per ringraziarli tutti di cuore per la carica pazzesca che mi trasmettono. Un episodio che mi ha colpito particolarmente è accaduto a La Spezia, l’anno scorso, durante un incontro con una scuola media. Alcuni bravissimi studenti hanno deciso di scrivere un romanzo a più mani (con tanto di disegni e sito web a corredo!) ispirati da Hyperversum: non ti dico che emozione quando hanno cominciato a farmi leggere le loro pagine. Li ho incontrati di nuovo anche a Lucca Comics e devo dire che il loro progetto sta procedendo in modo splendido. Rivolgo loro il mio più grande “in bocca al lupo” per il futuro.

Alle fiere hai avuto modo di conoscere altri autori noti, alcuni dei quali impegnati nel tuo stesso genere letterario. Come è stato il confronto con loro, e cosa ricordi con piacere di qualche episodio specifico?

R. Arrivando in un mondo in cui per me era tutto nuovo, è stato bello e istruttivo conoscere autori affermati ed esperti. Ho condiviso e confrontato esperienze con loro e mi sono consolata nello scoprire che molti hanno avuto le mie stesse paure e difficoltà agli inizi. Ricordo con piacere gli incontri uno a uno per la cordialità che tutti mi hanno sempre dimostrato. Al Fantasio Festival Moony Witcher mi ha accolto con un affetto squisito per il quale le sono grata. Con la sua energia straordinaria è stata la mia guida d’eccezione per tutto il tempo che ho trascorso a Perugia.

Tra le attività che hai svolto in questo periodo ce n’è stata una molto interessante: hai infatti tenuto un breve corso di scrittura, in collaborazione col servizio Biblioteche di Modena. Un corso a numero chiuso in cui hai avuto una interazione forte con i partecipanti, e che ha portato all’analisi di un loro breve scritto. Ci puoi parlare di questa esperienza e riassumerci quali sono stati gli elementi di valore nei testi che hai avuto modo di valutare, e, ancor più utile per chi vuole scrivere, quali gli errori più comuni riscontrati?

R. Il minicorso di scrittura mi ha dato l’occasione di confrontarmi con tanti altri appassionati e mi ha arricchita molto. Ho dovuto/potuto razionalizzare e analizzare il mio modo di lavorare, prima di poterlo raccontare ad altri, poi ho dovuto spiegarlo e argomentarlo davanti alle domande e le obiezioni che mi facevano. Da allora mi sento ancora più consapevole dei processi con cui elaboro le trame e dei meccanismi che a volte mi bloccano. Spero di essere riuscita a trasmettere un po’ delle mie esperienze e strategie e soprattutto che possano essere utili a chi mi ha regalato il suo tempo per venire ad ascoltarmi.
Devo dire che il compito affidato ai partecipanti era difficilissimo: scrivere un racconto fantastico in una facciata… a me sarebbe venuta l’ansia, perché di natura non amo porre limiti al numero di parole da usare (forse si nota dal tonnellaggio dei tre Hyperversum…).
Se la sono cavata tutti in modo egregio, con entusiasmo e fantasia e quindi possono solo meritare tanti complimenti. Mi hanno colpito soprattutto per la varietà dei temi che hanno saputo mettere sulla carta, realizzando una galleria di episodi degni de “Ai confini della realtà”.
I due difetti più comuni in testi così corti erano uno legato all’architettura dell’intreccio e l’altro di tipo più strettamente formale. Molto spesso gli autori (almeno nella prima stesura) non tenevano conto dello spazio limitato e perciò si dilungavano nell’impostare l’azione per poi trovarsi a concluderla in fretta e furia quando ormai le parole a disposizione erano agli sgoccioli. Questi racconti erano quindi “sbilanciati in avanti”, con un taglio netto messo a chiudere l’arco narrativo, e dovevano perciò essere ridistribuiti in modo più equilibrato.
Dal punto di vista formale, invece, alcuni testi preferivano lasciare spazio ad aggettivi e dettagli d’ambiente sacrificando le spiegazioni, necessarie specialmente quando la storia si svolgeva in un contesto inusuale. In questi casi, è bastato eliminare i fronzoli non necessari per lasciare più spazio ai dettagli significativi.
Però ripeto: era un compito difficilissimo e testi così corti impongono molte più limitazioni (e sacrifici) rispetto agli altri.
 
Forse questa è una domanda già fatta la volta scorsa, ma anche se fosse, la risposta (dopo due anni) potrebbe essere diversa: che consigli puoi dare a chi vuole provare a diventare uno scrittore?

R. L’unico consiglio che mi sento di dare è “impegnarsi”. Ho potuto vedere che la strada è diversa per ciascuno di noi, così come i tempi e le motivazioni per percorrerla, quindi è difficile dare consigli che possano valere per tutti. Però più di una volta mi è capitato di sentire qualcuno parlare del proprio lavoro (magari in procinto di essere sottoposto al vaglio di un editore) e dire “probabilmente potrei fare di meglio, ma per adesso è sufficiente così”. Credo che questo sia un errore gravissimo. Indipendentemente dai risultati che ciascuno di noi può ottenere scrivendo, penso che sia indispensabile almeno impegnarsi ogni volta per dare il massimo delle proprie capacità. Se ci accontentiamo troppo presto del risultato ottenuto o, peggio ancora, riteniamo che non valga la pena perderci troppa fatica, non avremo mai modo di migliorare o forse non ci interessa poi molto raggiungere l’obiettivo. E se siamo noi i primi a dubitare dell’accuratezza del nostro lavoro, perchè dovrebbe crederci un editore?

Ovviamente, quasi alla fine di questa intervista, non possiamo esimerci dal chiederti qualcosa relativo al tuo futuro come autrice. Pur immaginando che, probabilmente, molte cose non si possono davvero rivelare in anticipo per motivi editoriali, c’è qualcosa che ci puoi comunque dire? I dubbi di tutti sono facili da indovinare: avremo ancora modo di tornare nel passato con Ian e soci? Capiterà in un romanzo o magari in qualcosa di più breve? Hai altri progetti diversi in mente, e se si di che tipo? E quando/se vedremo un videogioco di Hyperversum, o ancora meglio, un film o un telefilm basato sui tuoi testi? Stiamo esagerando? Speriamo solo un po’.

R. Dopo “L’Ombra del Duomo” e “Mutazioni”, sto partecipando a “Sanctuary” una terza antologia, stavolta curata da Luca Azzolini di Fantasy Magazine per l’editore Asengard. Spero che il progetto sia accolto bene dai lettori, visto che il ricavato andrà in beneficenza.
Dopo di che, ho in testa almeno due progetti distinti, entrambi ancora di tipo fantasy-storico, ma è davvero presto per dire se e quando vedranno davvero la luce. Ne sto studiando gli intrecci e le ambientazioni e nel frattempo mi documento su Rinascimento e Anno Mille. Dopo tre Hyperversum ho voglia di cambiare storia: è tempo di conoscere personaggi nuovi e vedere luoghi diversi e non ancora esplorati. Certo, resto sempre legata ai personaggi di Hyperversum e per me la loro storia non finisce certo con “Il Cavaliere del Tempo”, anche se gli sviluppi a cui ho pensato forse non verranno mai “fissati” in un libro. Qualche racconto qua e là esiste sulla mia scrivania, ma si tratta solo di piccoli divertimenti personali sulla pelle di uno o dell’altro personaggio. Diciamo che per il momento lascerò un po’ in pace la compagnia di Hyperversum: mi sembra doveroso, dopo tutto quello che i protagonisti hanno dovuto passare a causa mia.
In quanto a film, telefilm, videogiochi (cartoni animati, perché no?)… sono tutti sogni nel cassetto di qualsiasi autore. Mi piacerebbe poter dire che c’è qualcosa di concreto in almeno uno di questi sogni, ma per ora non se ne parla proprio. Comunque, sognare non costa niente, perciò… tanto vale farlo in grande!

Grazie per il tuo tempo, e in bocca al lupo per tutto quanto.

R. Grazie a te, e crepi il lupo!

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