KULT Underground

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Voci che sussurrano

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Voci che sussurrano

Più che un sussurro sembra un tuono in mezzo alla campagna quello che si eleva questo mese dalle pagine elettroniche di KULT Underground. Come speravo, infatti, un numero sempre maggiore di persone si è unito al gruppo, e pian piano è cresciuta la voglia di fare e di raccontare. Chi con poesie, chi con racconti, chi semplicemente con frasi o piccole composizioni, in molti hanno deciso di usare questo ‘canale’ distributivo per farsi conoscere, per rendere altri partecipi di emozioni, per esprimersi in maniera libera e diversa.
Persone comuni, gente che nella vita ha attività differenti dallo scrivere, che distillano del loro in maniera sublime, spontanea, per ottenere qualcosa di prezioso che noi non possiamo fare a meno di ammirare. Ci auguriamo, per loro, e in fondo anche un po’ per noi, che molti di quelli che ora scrivono su KULT possano diventare eventualmente famosi, e, partiti da questo nostro trampolino improvvisato fare sentire al mondo una voce nuova ed intensa.
In questo ricco numero di ‘Voci che sussurrano’ possiamo vedere quasi una certa divisione tra il materiale pervenutoci, più che per autore, per soggetto e tema. Apre la carrellata di composizioni un nuovo amico di
Imola, Matteo Ranzi, con una poesia (‘Dentro di te’) che potremmo definire acre. L’argomento trattato, l’amore, viene visto in un modo apparentemente dolce, ma la forma, il ritmo rendono il tutto particolarmente strano e onirico. La lentezza della cadenza e la ripetività di certi concetti vogliono sottolineare un qualcosa di sotto la superficie, che pur essendo calma e delicata, sembra evidenziare contrasti e titubanza.
E continuazione apparente di questo desiderio di dolcezza, misto a turbamento più o meno evidente, ci giunte ‘Ti penso’ di Dengo.
Come un ruscello questa poesia parte con concetti pacati per poi giungere, poco prima della fine, ad un climax emotivo che sfocia in un momento di
‘flusso ininterrotto’ bruscamente terminato da un ‘no’, sicuramente sofferto.
L’ultima frase, senza punto, in cui tutto ciò che è stato enunciato si nega in un contesto che sembra essere più ampio di quello in realtà descritto, mostra l’ormai conosciuta assenza di punti fermi che caratterizza una parte della vita di ognuno di noi.
L’opera seguente, ‘Videotossico’ di IGNATZ, fa abbandonare a SUSSURRI per un istante la poesia, spostandosi su una prosa inconsueta ed estremamente coivolgente. Lo ‘zapping’ continuo, la scelta di punteggiatura, lo stile usato e gli argomenti trattati rendono questo racconto breve una specie di viaggio. E la forma delle frasi, più che le parole stesse, aiutano il lettore a lasciarsi andare in questa sorta di sogno ad occhi sgranati dove le situazioni si susseguono incalzantemente, senza consentire tregua. Volendo collocare il racconto in qualche categoria predefinita probabilmente commetteremmo un errore. IGNATZ, come avrete modo di vedere anche nei prossimi numeri (il materiale valido che ci ha inviato è abbastanza numeroso) segue sentieri differenti e raramente la sua linea è completamente in parallelo con qualcosa di già noto, grazie a quel pizzico di umore nero, o forse di cinismo, che permea quasi tutti i suoi scritti.
Molto più criptica, ma per certi versi non del tutto differente, segue questa composizione ‘Stati di allucinazione’, ancora di Matteo Ranzi, che descrive un itinerario di pensieri, dando spazio alle libere associazioni. L’ambiente in cui questa poesia è stata composta, e i tempi, potrebbero rendere più chiaro il tutto, ma preferisco lasciare a chi legge il dubbio, e la tentazione di andare oltre, per cercare di capire. I riferimenti finali, ad un Irlanda vista e idealizzata, non tolgono però il senso stretto delle ultime righe, simili a ‘Dentro di te’, dolci e romantiche, ma di un romanticismo così poco concreto da far riflettere.
IGNATZ ci presenta poi una coppia di poesie, Gruppo e Utopia, racchiudenti un senso di isolamento e di sfiducia che fanno ricordare un certo tipo di letteratura contemporanea, pur mantenendosi in un qualche modo ‘disallineate’.
La metrica semplice ed incisiva di ‘Gruppo’ colpisce forse più di
‘Utopia’, che seppure meno immediata, mette però a nudo argomenti come violenza, razzismo e altro ancora.
In ultimo, ma soltanto come ordine, prima degli spazi consueti per ‘Dalla vita ho imparato che’ e ‘Rapidi pensieri’, riappare felicemente Raffaele
Gambigliani Zoccoli con un racconto che letteralmente stupisce come spontaneità narrativa: ‘Van Basten’.
Questo scritto descrive a grandi pennellate una vicenda che si svolge in un breve arco di tempo, coinvolgendo però le relazioni che ogni singolo fatto ha su tutto l’arco della nostra esistenza. Qualche dubbio, qualche sicurezza, un po’ di ‘male di vivere’, e molta forza espressiva.
E dopo questa mia breve e forse superflua introduzione se fossi in voi non esiterei a premere F5 per leggere quanto appena descritto.
Sperando poi che questi ottimi lavori spronino altri ad inviarci i loro vi auguro una buona lettura.

Marco Giorgini

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