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Giapponese

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Giapponese

Salve a tutti, cari lettori! Come state? Siete riusciti a “mandar giù” tutto quello che vi ho proposto il mese scorso? Spero di sì, naturalmente.
Se ci dovessero essere dei problemi, scrivete pure, che sono qui per voi!
Prima di cominciare la puntata numero cinque di questo piccolo corso (come vola il tempo!) controllate subito l’esattezza delle frasi che vi ho lasciato come esercizio, e che voi avrete sicuramente tradotto, VERO? Per farlo, basta che facciate clic col mouse sulla parola soluzione.
Bene, ed ora allacciatevi le cinture che si parte! In questa puntata continueremo a mettere insieme dei piccoli ma fondamentali “pezzi”, e vedrete che tra poco potremo iniziare a costruire sul serio delle frasi più complesse.
Cominciamo subito con una nuova particella di uso molto frequente, e cioè
“no” (N). Questa piccola sillaba è molto utile… Innanzitutto viene usata per tradurre il complemento di specificazione. Per chi non avesse più fresche le nozioni di grammatica, ricordo che tale complemento ha la funzione di specificare ulteriormente il soggetto o un altro complemento, al quale è unito tramite la preposizione ” di “. Vediamo alcuni esempi:

Il vestito di Mario è nuovo.
L’insegnante di inglese è severa.
La luce del sole è abbagliante.

In sostanza, questo complemento risponde alla domanda “Di chi? Di che cosa?”. Bene, in giapponese il “di” viene tradotto con no (N). Ad esempio:

Lui è insegnante di inglese (=eigo).
Kare wa eigo no sensei desu.

Già da questo esempio si può notare come la specificazione precede il nome o il complemento a cui si riferisce, e questo a differenza dell’italiano. Occorre quindi fare attenzione a non sbagliare; tantopiù che è possibile connettere più nomi in catena, sempre usando “no”, ad esempio:

Lui è un insegnante di inglese di Tokyo.
Kare wa Tookyoo no eigo no sensei.

In casi come questi si tende ad andare dal generale al particolare.
Un altro uso molto importante della particella “no” coinvolge quelli che in italiano sono chiamati aggettivi e pronomi possessivi, ovvero
“mio”, “tuo”, “suo”, ecc. Vediamo come si traducono in giapponese:

Lui è il mio insegnante.
Kare wa watashi no sensei desu.

Lui è tuo amico (=tomodachi)?
Kare wa anata no tomodachi desu ka?

Come vedete, in giapponese si fa uso di “no” anche per i possessivi: non
“mio”, dunque, ma “di me”, e così via.
La particella “no” può anche fare da pronome, quando sia già implicito il tema del discorso. Ad esempio, se stiamo parlando di biciclette
(=jitensha), la frase:

Questa (=kore) è la mia.

Si tradurrà con:

Kore wa watashi no desu.

Naturalmente la frase completa sarebbe:

Questa è la mia bicicletta.
Kore wa watashi no jitensha desu.

Infine vorrei farvi notare che alcuni aggettivi italiani, si traducono in giapponese col “no” e un nome. Un tipico esempio sono gli aggettivi che indicano la nazionalità:

Questa è un’automobile (=kuruma) italiana.
Kore wa Itaria no kuruma desu.

E’ un po’ come per i possessivi: non si dirà quindi “italiana”, bensì
“dell’Italia”, ecc…

Bene, prima di procedere, vorrei presentarvi due piccole liste di parole, che una volta imparate ci permetteranno di utilizzare esempi un poco più articolati. Si tratta dei pronomi personali (io, tu, egli, ecc…) e dei pronomi e aggettivi dimostrativi. Vediamole subito, e poi le commenterò:

Io        Watashi
Tu        Anata
Egli/lui    Kare
Ella/lei    Kanojo
Noi        Watashitachi
Voi        Anatagata oppure Anatatachi
Essi/loro    Karera
Esse/loro    Kanojora

Interrogativo:

Chi? Dare?

Questa prima tabella ha bisogno di pochi commenti; vi faccio soprattutto presente che “Io” e “tu” si possono tradurre in molti altri modi, a seconda dell’età di chi parla, del suo sesso, del grado di cortesia del discorso, e chi più ne ha più ne metta… “Watashi” è la formula più neutra, e tuttavia sufficientemente cortese, e la si può utilizzare in ogni situazione. “Anata” è altrettanto polivalente, e corrisponde sia all’italiano “tu”, sia ad un più cortese “lei”. Ad esempio:

Lei è (oppure tu sei) insegnante?
Anata wa sensei desu ka?

Le altre forme dei pronomi personali le vedremo più avanti, quando sarete più esperti. Bene, ed ora veniamo ai pronomi e aggettivi dimostrativi. Vi ricordo la differenza tra aggettivo e pronome: il primo specifica una qualità od una caratteristica di un nome, e quindi lo affianca, mentre il pronome sostituisce un nome. Come vedremo tra poco, i dimostrativi in giapponese si articolano nelle tre serie ko- so- e a-.

Aggettivi Dimostrativi:

Questo Kono
Codesto Sono
Quello Ano
esempio: questo uomo è insegnante. kono otoko wa sensei desu.

Pronomi Dimostrativi:

Questo Kore
Codesto Sore
Quello Are
esempio:
Questo è un libro.
Kore wa hon desu.

Innanzitutto una piccola osservazione. Il pronome “kore” e il corrispondente aggettivo “kono” indicano un oggetto vicino a chi parla.
Viceversa, “sore” e “sono” indicano qualcosa che è lontano da chi parla e vicino a chi ascolta. Infine, “are” e “ano” indicano qualcosa di lontano sia da chi parla, sia da chi ascolta. Anche se nella lingua corrente lo si sente sempre più di rado, anche l’italiano “codesto” indica qualcosa di vicino a chi ascolta.
Prima di vedere qualche esempio, vi presento anche il pronome/aggettivo interrogativo:

Quale? Dore? (pron.)
Quale? Dono? (agg.)

Esempi:

Qual è il tuo libro?
Dore ga anata no hon desu ka?

Quale libro è il tuo?
Dono hon ga anata no desu ka?

Questi esempi meritano un po’ di commento. Notate innanzitutto la particella “ga” (,) che sostituisce il solito “wa”
(scritto O). Sappiate per il momento che la frase interrogativa di questo tipo necessita di tale sostituzione. Vorrei inoltre che confrontaste con particolare attenzione le due frasi, per cogliere bene la differenza tra pronome (dore) e aggettivo (dono). Notate infine come nella seconda frase si fa uso della particella “no” come pronome, lasciando sottintesa la parola “libro” (sarebbe stata una ripetizione inutile).
Come va? Stanchi? Allora riposatevi una attimo, perchè stiamo per
“assaggiare” il piatto forte di questa puntata: gli aggettivi!
Bene, rilassatevi, mentre vi fornisco alcuni esempi in italiano, tanto per chiarire il concetto di “aggettivo” (nella fattispecie, aggettivo qualificativo):

Il sole è caldo.
Il maglione rosso è nell’armadio.

Nel primo esempio l’aggettivo caldo è usato con funzione predicativa, ovvero completa il significato del verbo (che è infatti un verbo copulativo, ricordate la scorsa lezione?). Nel secondo esempio invece, l’aggettivo rosso ha funzione attributiva, ovvero attribuisce una qualità ad un nome. Vedremo tra poco che l’aggettivo usato con funzione predicativa in giapponese ha un comportamento diverso che nell’italiano.
Prima però diamo uno sguardo agli aggettivi giapponesi. Si dividono in due grandi gruppi, che chiameremo aggettivi-i e aggettivi-na. La ragione per questi nomi un po’ strani è che i primi terminano tutti con “i” e i secondi tutti con “na” (almeno nella loro forma di base). Volendo essere estremamente pignoli, si potrebbe far notare come alcuni studiosi di grammatica non ritengano gli aggettivi-na dei veri e propri aggettivi, ma dati i fini pratici e la mancanza di pretese di questo corso, facciamo pure finta di niente…
Bene, una prima grossa sorpresa sta nella coniugazione dell’aggettivo.
Come saprete, in italiano l’aggettivo si declina (ovvero cambia la desinenza finale) a seconda del genere (maschile o femminile) e del numero (singolare o plurale) del nome a cui si riferisce. Ad esempio: ossO, rossA, rossI, rossE. Dov’è la sorpresa? Beh, sta semplicemente nel fatto che nel giapponese NON c’è alcuna distinzione di genere e numero nei nomi! Questo significa in altri termini, che le parole:
il libro i libri
si traducono allo stesso modo: “hon”. Inoltre, trovandosi di fronte ad una parola priva di contesto, ad esempio “gakusei”, la si potrebbe tradurre in molti modi:

Lo studente
Uno studente
Gli studenti
Degli (=alcuni) studenti
La studentessa
Una studentessa
Le studentesse
Delle (=alcune) studentesse

In compenso, però, l’articolo giapponese si modifica secondo una sua coniugazione (è simile quindi ad un verbo) della quale esamineremo per amore di semplicità solo la dipendenza dal tempo (presente o passato) e dalla affermazione o negazione. Confusi? Un paio di esempi vi chiariranno le idee… Vediamo subito qualche aggettivo-i:
atarashii (nuovo) warui (cattivo) chiisai (piccolo)

Ed ora qualche aggettivo-na:
shizuka na (tranquillo) kirei na (carino) yuumei na (famoso)

Vi faccio notare che ho reso in italiano gli aggettivi con la forma singolare maschile, ma avrei potuto benissimo usare il plurale e/o il femminile. Vediamo alcuni esempi di aggettivi “in azione”:

(1)    Questa automobile nuova è mia.
Kono atarashii kuruma wa watashi no desu.

(2)    Questa automobile è nuova.
Kono Kuruma wa atarashii (desu).

(3)    Lui è un insegnante famoso.
Kare wa yuumei na sensei desu.

(4)    Lui è famoso.
Kare wa yuumei desu. oppure:
Kare wa yuumei da (vedi più avanti).

Vediamo di definire il comportamento di questi aggettivi. Quando sono usati con funzione attributiva, non ci sono problemi: restano così come sono. E’ questo il caso degli esempi (1) e (3). Quando sono usati invece con funzione predicativa, gli aggettivi-i restano invariati, mentre gli aggettivi-na perdono il “na” quando seguiti immediatamente dal verbo essere, “desu”. Gli esempi (2) e (4) mostrano i due tipi di aggettivo usati con funzione predicativa. Diversamente da quanto accade nell’italiano, gli aggettivi giapponesi usati con funzione predicativa possono costituire un predicato senza bisogno dell’ausilio di alcun verbo.
In altre parole, atarashii non ha bisogno del verbo “essere” per formare una frase di senso compiuto: si potrebbe anzi tradurre meglio questo aggettivo con ” essere nuovo”. Ecco quindi che la frase:

Kono kuruma wa atarashii.

Si deve tradurre:

Questa automobile è nuova.

Per questo motivo, nell’esempio (2) ho indicato desu tra parentesi.
Qualcuno di voi si chiederà forse che cosa lo si mette a fare desu se non c’è bisogno del verbo essere. In frasi come la (2), desu assume la funzione di verbo ausiliare di cortesia, e serve quindi soltanto a rendere più cortese la frase, senza nulla aggiungere al significato. La frase senza desu assume lo stesso tono della forma piana dei verbi. La forma piana degli aggettivi-na è molto semplice, basta sostituire “na” con
“da”. Alcuni ritengono che in questo caso “da” sia solo una desinenza, altri invece (considerando gli aggettivi-na come dei “quasi-nomi”) lo considerano come la forma piana di desu con funzione copulativa. Quando vi dicevo che la difficoltà del giapponese sta nella sua diversità, io mica scherzavo…
Vediamo ora cosa succede quando si vuole realizzare la forma negativa, cioè quando volete dire ad esempio che l’automobile non è nuova, ecc…
Gli aggettivi-i cambiano effettivamente forma: si toglie la “i” finale e la si sostituisce com “ku”, il tutto seguito dalla forma negativa del verbo essere (che abbiamo visto la volta scorsa). Vediamo un paio di esempi:

Questa automobile non è nuova.
Kono kuruma wa atarashiku arimasen.

Questo fiore (=hana) non è rosso (=akai).
Kono hana wa akaku arimasen.

Naturalmente si possono usare delle varianti, giocando col verbo essere.
Abbiamo così la forma piana negativa:

Kono hana wa akakunai.

Ricordate, la forma piana negativa di desu era nai, giusto? E si può anche utilizzare l’ alternativa cortese di arimasen, cioè nai desu:

Kono hana wa akakunai desu.

Tutte queste varianti sono ovviamente equivalenti dal punto di vista del significato, ma occorre fare attenzione a non mancare mai di rispetto nei confronti del nostro interlocutore. Utilizzate sempre la forma cortese, o almeno la variante con nai desu, ed eviterete di trovarvi in imbarazzo.
C’è una solo aggettivo-i irregolare, e cioè “ii”, che significa “buono” (o anche “bravo”, “bello”). La sua forma negativa diventa yoku arimasen, o l’equivalente yokunai (desu). In effetti, esiste una forma alternativa di ii, che è appunto yoi.
Per quello che riguarda gli aggettivi-na, tutto quello che dovete fare è coniugare opportunamente il verbo desu, che dovreste ormai conoscere bene. Mi limiterò a fornirvi qualche esempio:

Lui non è famoso.
Kare wa yuumei de wa arimasen.

Questo hotel (=hoteru) non è tranquillo.
Kono hoteru wa shizuka de wa arimasen.

Naturalmente valgono tutte le varianti viste la puntata scorsa: al posto di de wa arimasen si possono quindi usare le espressioni ja arimasen, de wa nai, ja nai, de wa nai desu, ja nai desu, ferme restando le considerazioni sul livello di cortesia.
Vediamo ora di completare la coniugazione dell’aggettivo con la forma passata. Dovete sapere infatti che gli aggettivi si modificano anche in funzione del tempo (in senso grammaticale, non atmosferico!).
Fortunatamente il giapponese prevede solo due tempi, presente e passato
(avrete modo di rallegrarvene anche quando affronteremo i verbi, vedrete…). La forma presente, affermativa e negativa, l’abbiamo appena vista; non ci resta che esaminare la forma passata. Gli aggettivi-na non creano problemi particolari, dato che si accontentano di essere accompagnati dalla forma opportunamente coniugata del verbo desu. Vediamo un esempio:

La stanza (=heya) dell’hotel era tranquilla.
Hoteru no heya wa shizuka deshita.

La stanza dell’hotel non era tranquilla.
Hoteru no heya wa shizuka de wa arimasen deshita.

Ormai non sto più a ripeterle, ma valgono anche qui tutte le forme alternative che già conoscete. Vi ricordo solo che la forma piana di deshita è datta.
Gli aggettivi-i, invece, cambiano ancora una volta la loro forma: si toglie la solita “i” finale e la si sostituisce con katta. Un esempio vi chiarirà il concetto:

La sua automobile era veloce (=hayai).
Kare no kuruma wa hayakatta desu.

Ancora una volta, desu assume qui la funzione di ausiliare di cortesia; la parola hayakatta esprime da sola un significato compiuto (“era veloce”). L’aggettivo “ii” insiste nella sua irregolarità, e diviene
“yokatta”. Fate ora attenzione alla forma passata negativa. Come ci si potrebbe aspettare, la forma presente “-ku arimasen” diventa “-ku arimasen deshita”. Ad esempio:

La sua automobile non era veloce.
Kare no kuruma wa hayaku arimasen deshita.

Partiamo ora invece dalla forma piana “-kunai”. Dato che “nai”, pur essendo la forma piana negativa del verbo “essere”, si comporta come un aggettivo-i, ne risulta:

La sua automobile non era veloce.
Kare no kuruma wa hayakunakatta.

Quindi nai diventa nakatta. Attenzione alla forma cortese alternativa, nelle quale desu ha solo funzione di cortesia, e quindi NON si coniuga.
Osservate il seguente esempio, nel quale uso l’aggettivo shiroi, che significa bianco.

Tempo presente:
Quel fiore non è bianco.
Ano hana wa shirokunai desu.

Tempo passato:
Quel fiore non era bianco.
Ano hana wa shirokunakatta desu.

Vorrei che fosse chiaro che è sbagliato tradurre l’ultima frase con:

Ano hana wa shirokunai deshita. (SBAGLIATO!)

Questo perchè desu serve in questo caso solo per dare un tono più cortese alla frase, e quindi è l’aggettivo a dover essere coniugato. Spero di essere stato chiaro… Se avete dei dubbi fatemelo sapere!
D’accordo, questa volta ho proprio esagerato… Vi prometto che la prossima puntata sarà molto più leggera! Approfittatene però per imparare bene tutto quello che abbiamo visto finora, perchè presto avremo a che fare con i verbi e la loro coniugazione. Tenete duro!
Per mettere in pratica quello che abbiamo visto in questa puntata, ecco a voi le famigerate frasi da tradurre in giapponese. Mi raccomando di usare sempre i caratteri Hiragana, in modo da impararli bene.

Tradurre in giapponese:

Kaori è una insegnante di giapponese (=nihongo).
Quell’uomo è stato gentile (=shinsetsu na).
Gli hotel di Tokyo non sono a buon mercato (=yasui).
Questo esercizio (=renshuu) non è stato difficile (=muzukashii).
La mia automobile nuova è veloce.
Questo vecchio (=furui) ombrello (=kasa) è tuo?

E questo è tutto. Arrivederci alla prossima puntata!
Sayoonara

Kotaro

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