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Giapponese

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Giapponese

Benritrovati, cari lettori. Eccomi di nuovo qui, come promesso, per parlarvi ancora una volta delle lingua giapponese. Come ve la state cavando con l’alfabeto sillabico Hiragana che abbiamo visto il mese scorso? Spero bene, e vi esorto comunque ad usarlo spesso, affinchè divenga per voi naturale come quello che avete imparato a scuola da piccoli.
Avete provato a scrivere le parole che vi avevo lasciato come esercizio?
Se sì, controllate subito se avete fatto errori o se invece avete scritto bene. Basta che facciate clic col mouse sulla immagine qui sotto.
Bene, in questa puntata vedremo finalmente il secondo famigerato alfabeto sillabico: il Katakana. Prima però vi devo dire ancora alcune cose sull’uso dei caratteri sillabici. Riguardatevi la prima tabella che il mese scorso vi ho presentato (siete riusciti a stamparvela? Apprezzo molto anche i volenterosi che se la fossero ricopiata a mano!). Noterete che tutte le sillabe sono composte da una consonante più una vocale, tranne che per le vocali stesse e l’ultima sillaba in fondo alla tabella, la “n” (vi ricordo che la tabella si legge dall’alto in basso e da destra verso sinistra). Proprio quest’ultima merita particolare attenzione, dato che presenta alcune caratteristiche singolari. Innanzitutto la si utilizza per esprimere il suono della doppia “n”; ad esempio la parola “onna”
(significa “donna”; quasi uguale, vero?) si scrive con le sillabe “o” +
“n” + “na” e non utilizzando lo “tsu” piccolo come si fa invece per tutte le altre consonanti doppie.
Inoltre, quando si trova davanti a “p”, “b”, “m” la sua pronuncia si modifica rendendola più simile alla “m”. Ad esempio, la parola “a-n-pi” non si pronuncia “anpi” ma qualcosa tipo “ampi”.
Infine, bisogna tenere presente che il simbolo Hiragana “n” rappresenta una “sillaba” vera e propria. Quando si trova davanti ad una vocale oppure davanti alle sillabe “ya”, “yu”, “yo”, utilizzando la scrittura con caratteri occidentali ci si potrebbe confondere. Ad esempio, la parola
“kani” si scriverà con le sillabe “ka”+”ni” oppure con le sillabe
“ka”+”n”+”i”? E’ opportuno tenere conto di questo, anche perchè ci sono parole che hanno un significato diverso a seconda di come sono scritte! Se indichiamo con un apostrofo dopo la “n” il fatto che tale lettera è da considerarsi isolata, potremo scrivere per il nostro esempio “kani” oppure
“kan’i”. Questa è proprio una di quelle parole di cui vi parlavo prima, infatti se scritta nel primo modo significa “granchio”, mentre se scritta nel secondo modo significa “semplicità”.
Un altro “trabocchetto” da tenere d’occhio riguarda le sillabe “ya”,
“yu”, “yo” e le loro combinazioni (le avete imparate, vero? ). Infatti bisogna stare attenti a distinguere i suoni “contratti” (ad es. “kya”,
“ju”, ecc…) dalle sillabe soltanto accostate. Non è chiaro? guardate i seguenti esempi e capirete cosa intendo dire:
kiyaku kyaku biyooin byooin riyooshi ryooshi

In particolare vorrei che notaste come (ad esempio) “kiya” sia un suono formato da due sillabe (“ki”+”ya”), mentre “kya” è un suono formato da una sola sillaba. Anche qui non si tratta di distinzioni fatte per “spaccare il capello in quattro”, perchè due parole simili possono avere diverso significato. Un esempio valga per tutti: “byooin” è l’ospedale, mentre
“biyooin” è il salone di bellezza! Pensate a quali tremendi equivoci andreste incontro…
Bene, ancora una cosa prima di passare all’alfabeto Katakana, e cioè le cosiddette vocali mute. Le vocali “i” ed “u” se sono “corte” (cioè non raddoppiate) e se seguono le consonanti k,s,t,h,p vengono pronunciate in maniera molto attenuata, quasi sussurrate, o addirittura non vengono pronunciate affatto. Quest’ultimo caso vale soprattutto per la “u”.
Vediamo alcuni esempi:
chikara è pronunciato ch’kara futon è pronunciato f’ton tsuki è pronunciato ts’ki oppure tz’ki desu è pronunciato des’ oppure dess arimasu è pronunciato arimass futatsu è pronunciato f’tats’ oppure f’tatz shiki è pronunciato sh’ki

Se vi sembra più difficile, non perdetevi d’animo: questi modi di pronunciare non sono obbligatori, infatti anche pronunciando tutte le vocali dovreste farvi capire lo stesso. Naturalmente il vostro giapponese suonerà un po’ strano; ad esempio, dato che tutti i verbi (almeno nella loro forma cortese, come vedremo tra qualche lezione) terminano in “-su”, se pronunciate anche la “u” finale assumete un tono tipico della parlata dei bambini. Pazienza, l’importante è capirsi a vicenda…
OK, e adesso veniamo finalmente all’alfabeto sillabico Katakana. Fate clic col mouse sulla riga sottostante e potrete esaminare la tabella dei suoni puri.
SILLABARIO KATAKANA – SUONI PURI
I più attenti si saranno certamente resi conto di come la tabella dei
Katakana sia perfettamente analoga a quella degli Hiragana. Sarete contenti di sapere che tutte le regole viste finora restano valide anche adoperando i caratteri Katakana, salvo quella relativa alle vocali lunghe.
In questo caso è tutto molto più semplice: per allungare una vocale basta mettere un trattino orizzontale dopo il simbolo della vocale stessa.
Anche i caratteri Katakana possono essere modificati coi segni nigori e col piccolo cerchietto, dando luogo ai corrispondenti suoni impuri e semipuri, come potete verificare facendo clic sulla riga seguente.
SILLABARIO KATAKANA – SUONI IMPURI E SEMIPURI
A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi: ma se corrispondono in tutto e per tutto ai caratteri Hiragana, a cosa servono questi Katakana?
Bene, questi caratteri sono utilizzati in diverse occasioni, ma soprattutto per la scrittura delle parole straniere (non giapponesi).
Infatti, non appena possono, i Giapponesi scrivono i nomi di oggetti o di persone per cui non esiste un equivalente nella loro lingua utilizzando il loro sistema sillabico. In questo caso vengono utilizzati i caratteri
Katakana. Anche per le parole di uso comune nel giapponese che derivano pero’ da termini stranieri (perlopiù inglesi) si utilizza questo sillabario. Infine i Katakana servono per la scrittura di tutte le infinite onomatopee del giapponese (di cui parleremo un’altra volta!).
Anche qui i lettori più attenti potrebbero osservare che gli alfabeti sillabici che abbiamo visto potrebbero rivelarsi poco adatti per riprodurre parole straniere, ad esempio anche parole italiane; infatti alcuni suoni non sono presenti, come ad esempio la “L” oppure la “V”. Cosa posso dire? avete perfettamente ragione! Il più delle volte la parole risultano alquanto modificate, e talvolta quasi irriconoscibili. Facciamo qualche esempio per chiarire un po’ le cose. Ad esempio la parola inglese
“computer” viene fuori come “konpyuutaa” (sillabe: ko + n + pyu + “-” + ta + “-“), scritto ovviamente con i caratteri Katakana opportuni. Si cerca cioè di approssimarsi quanto più possibile al suono della parola originale. E’ un po’ come se, volendo scrivere “United States”, usassimo la fonetica italiana per ottenere “iunàited steits”. Il bello è che molte parole di questo tipo (soprattutto quelle relative alle nuove tecnologie) sono effettivamente parole di uso comune nel giapponese, tanto da essere sui dizionari. Per complicare un po’ le cose, alcuni di questi termini sono stati ulteriormente modificati abbreviandoli: ad esempio, il termine giapponese per “televisione” è terebi (dall’inglese “television”). Notate come, non essendoci sillabe con la lettera “v”, si ricorra a quelle con la
“b”. Questa regola è valida in generale; il suono “L”, che non esiste nel giapponese, è sostituito con “r”. Ad esempio, la parola biru indica una costruzione a più piani, un edificio: proviene infatti dalla parola inglese “building” modificata e accorciata.
Un altro problema che si presenta spesso con queste conversioni è dato dal fatto che in giapponese l’unica consonante isolata è la “n”. Perciò, quando ci si trova di fronte a gruppi di consonanti unite, le si separa tramite le vocali “u” ed “o” nel seguente modo: dopo la “t” o la “d” si mette “o”, negli altri casi si mette una “u”. Questo vale anche in fine di parola, se questa termina con una consonante diversa dalla “n”. Vediamo qualche esempio:
dragon diventa doragon rocket diventa roketto
Christmas diventa kurisumasu love diventa rabu

Anche se all’inizio questo genere di parole può sembrare di difficile interpretazione, dopo aver sviluppato un certo “orecchio” per le trasformazioni fonetiche le cose diverranno molto più semplici. A pensarci bene, il fatto che molte parole giapponesi siano delle versioni modificate di termini inglesi è una sorta di agevolazione, naturalmente per chi conosce già l’inglese.
Bene, siamo ormai in chiusura; solo un’ultima osservazione a proposito dei caratteri Katakana. Per esprimere alcuni suoni che non sono tipici della lingua giapponese, si fa ricorso a particolari combinazioni di caratteri sillabici. Ad esempio, per scrivere i suono “di” si utilizza il carattere per “de” seguito dal carattere “i” scritto in piccolo.
Attenzione a leggere “di” questa combinazione, e non “dei”. Analogo discorso vale per suoni come “fi” (ottenuto però da “fu” + “i” piccolo),
“fe” (“fu”+”e” piccolo), “fo” (“fu”+”o” piccolo), “fa”, ecc…
E con questo termina anche questo terzo appuntamento con la lingua nipponica. A costo di sembrare ripetitivo, vi esorto ancora una volta a scrivere a KULT Underground per segnalarmi dubbi, richieste, consigli, o anche semplicemente per farmi conoscere la vostra opinione.
Per esercizio, provate a scrivere utilizzando i caratteri Katakana le seguenti parole:
purattohoomu (binario; da “platform”) takushii (taxi) painappuru (ananas; da “pineapple”) waapuro (contrazione di “word processor”) bareebooru (pallavolo; da “volleyball”) feriibooto (traghetto; da “ferry boat”)

Non mi resta ormai che salutarvi; ci risentiamo fra trenta giorni. Sayoonara!

Kotaro

(Cliccate su KATA01 e su KATA02 per scaricare su file, come la volta scorsa, le due tabelle di simboli)

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