Sono stato alla Biennale del Cinema di Venezia per la seconda volta e, solo quest’anno, ho trovato la disorganizzazione più totale, condita con un pizzico di maleducazione. Molti sono i malfunzionamenti da denunciare e parecchio ci sarebbe da scrivere, ma ciò che conta è precisare il delicato rapporto fra il grande pubblico, l’unico in grado di tenere in vita il cinema, e le manifestazioni di questo genere che ad un viso grossolanamente elitario, contrappongono un intestino pigro ed ingarbugliato.
Le mie rimostranze riguardano le possibilità offerte a chi, come il sottoscritto, possedeva l’accredito “normale”, ex accredito culturale. In primo luogo c’è da chiedersi come il bancone per il ritiro degli accrediti possa effettuare orari tali per cui chi arriva al Lido dopo le 17 si rende ben presto conto di perdere almeno tre proiezioni: le due serali e la prima della mattinata seguente. Purtroppo chi ha avuto un’idea tale non si
è reso conto del costo di una notte a Venezia… L’orario d’apertura dovrebbe consentire a chi arriva in tempo per una visione qualsiasi, d’accedervi senza alcun problema, visto che il modulo dimostra il permesso d’accesso alla stessa. Quindi sarebbe lecito trovare aperto tale bancone da mezz’ora prima dell’inizio della prima proiezione sino alla stessa ora dell’ultima proiezione (il merchandising faceva orari ben più ampi…).
Fortunatamente una gentile signorina, una mosca bianca fra le belle e screanzate scelte quest’anno, ha capito l’assurdità del regolamento e, nonostante avessi cominciato regolarmente la fila alle 16:45, mi ha consegnato l’accredito alle 17:15. E, una volta scorso il programma, la seconda sorpresa. I film di maggior richiamo, diretti da Allen o da Stone, interpretati da Harrison Ford, quelli selezionati forse a malincuore per ingraziarsi le majors statunitensi e, così credevo prima di partire, per richiamare il pubblico comune, vengono proiettati in contemporanea a due a due così da costringere i poveri cinefili a compiere drammatiche scelte subito dopo colazione.
Allargando il discorso a tutti i film in visione, ritengo che l’accredito debba dare la possibilità di guardarsi tutte le proiezioni, anche a costo di correre da una sala all’altra più volte il giorno. Chi richiede l’accredito è, nella maggior parte dei casi, veramente interessato a tutte le visioni e ciò, almeno due anni fa, era più che possibile. Il secondo grosso problema è il proliferare di tessere dai più svariati colori e dai molteplici benefici. Cominciando dalle potentissime tessere stampa e quotidiani che, non paghe di avere il privilegio di poter assistere in anteprima a tutte le visioni nell’intima saletta dell’Excelsior, vanno persino ad occupare la Sala grande durante le visioni “riservate” agli accrediti della plebe. Se poi considero che per loro non c’era nemmeno da fare la fila, visto che gli era addirittura riservato un ingresso a parte, allora capisco come il “grande pubblico” preferisca Cannes o Berlino, città certamente più civili.
Il risultato di tutto ciò? Pseudo-giornalisti assonnati, con lo zucchero ancora posato sugli angoli della bocca, che, con aria di superiorità, oltrepassano, chiacchierando di registi che non conoscono, decine e decine di accreditati di serie C che sono in fila da mezz’ora. In più c’è da considerare la facilità con la quale sono concessi certi accrediti. Alla fine del mio soggiorno non contavo più le riviste fittizie e i furboni travestiti da giornalisti che se la ridevano in barba a Pontecorvo e alla sua malata burocrazia. Con le mie orecchie ho addirittura sentito due
“quotidiani” chiedersi stupiti chi fosse un certo Belushi…
Un’ultima parola per il cinema italiano.
Si sente e si legge che il pubblico italiano non ama il suo cinema. La smentita è venuta proprio da Venezia dove per il film “La bella vita”, in un’incredibile visione unica per stampa, accrediti e pubblico pagante, sono rimaste fuori molte persone, tutte regolarmente accreditate. Il pubblico del botteghino poi ha dovuto accontentarsi dei posti lasciati liberi dagli squali della stampa che, senza un minuto di fila, gremivano già la sala. La conclusione è questa: ritornerò certamente al Lido ma spero che le regole cambino.
Le sale sono colme? Aumentino il numero di proiezioni e dividano nettamente pubblico, accreditati e giornalisti, scegliendo per ogni visione la sala più consona. In Italia c’è voglia di cinema, e lo dimostrano le belle parole che si sentivano fra il popolino degli accreditati; forse c’è qualche operatore del cinema che non ha voglia degli italiani?
BIENNALE DI VENEZIA
MICHELE BENATTI