giovani attori in cerca di identità
I dualismi uomo/attore, vita/finzione e teatro/cinema sono caratteristiche imprescindibili del mondo in celluloide e, tante volte, il confine è così labile che formano un tutt’uno. Ritagli di se, frammenti di vita, comportamenti, decisioni e scelte, vanno a formare un unico puzzle, un uomo che porta dentro di sé tutti i personaggi, un personaggio che è la somma dei suoi ruoli.
Il magico mondo dell’attore consiste in questo. Entrare e uscire da un set o da un palcoscenico non è quasi mai uno svestirsi, un cambio di maschera, un abbandonare i propri riferimenti bensì un continuum temporale e psicologico. L’attore è già il personaggio prima ancora di iniziare le riprese o salire su un palco.
Questa è l’idea che ci si può fare entrando al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove gli studenti crescono e si formano, apprendendo gli insegnamenti dei maggiori professionisti del cinema. Incontrando tre giovani attori che hanno da pochi giorni conseguito il diploma, si possono cogliere i loro sogni e il loro entusiasmo. Osservando uno spettacolo teatrale frutto di mesi di lezioni e visionando spezzoni di girato, si constata il grande bagaglio di conoscenze che queste giovani promesse portano sul set e sul palcoscenico.
Uno studente, Piero Cardano, dice che essere attore è uno stato d’animo; l’interpretazione di un personaggio è la continua scoperta di tratti di te stesso fino ad allora nascosti ed è al contempo la consapevolezza che i medesimi possano costituire il personaggio stesso. Tutto ciò è preceduto da un duro lavoro di ricerca e recupero di informazioni. Gli attori creano un’infanzia del personaggio, ne studiano la gestualità e il modo di parlare. Claudio Cotugno, anche lui attore della Scuola, parla di umiltà: qualunque persona è in grado di arricchire e dare qualcosa. Secondo lui il lavoro dell’attore è rubare dalla vita quotidiana cogliendone i suggerimenti e studiare sempre la parte, tutto il giorno e tutta la notte. Si riesce a trovare il personaggio quando si è in grado di fare i suoi sogni, afferma, citando Micheal Caine. Anche Giulia Amato, un’altra studentessa di recitazione, dice che scavando nell’inconscio la preparazione è più profonda e personale. Giulia quando lavora nel cinema, a differenza che a teatro, lascia e riprende il suo personaggio, lavora fuori dal metodo, distratta dalla presenza delle molte persone sul set – tecnici, operatori e comparse – che interferiscono con la sua intimità. L’insegnamento del metodo dell’Actor’s Studio, esportato in tutto il mondo, è finalizzato alla totale identificazione dell’attore con il personaggio che interpreta. Famosi alcuni episodi di attori rimasti intrappolati in ruoli dai connotati marcatamente oscuri. Bela Lugosi ossessionato dal personaggio di dracula (1931) che lo aveva fatto conoscere come grande attore, cominciò a credere di essere veramente un vampiro dormendo in una bara e chiedendo di essere sepolto con quello che era stato il suo mantello di scena. Prescindendo da questi casi limite – l’ultimo dei quali accaduto a Ledger/Joker – il personaggio lascia sempre qualcosa di positivo, qualcosa che può essere un ricordo, una felice scoperta, un insegnamento o un piccolo aiuto. Per Giulia, recitare è stato terapeutico contro la timidezza e la superficialità aiutandola a rapportarsi con gli altri e facendole scoprire l’interesse verso i dettagli e le piccole cose, il piacere di approfondire qualsiasi argomento incontrato sul lavoro o nel privato. Piero, invece, interpretando il personaggio di Sasà nel film Questo piccolo grande amore (nelle sale a Febbraio) ha visto spontaneamente emergere una comicità napoletana che deriva dalle sue origini.
Viceversa attori e registi con un’operazione di trasposizione, prelevano elementi dal privato per portarli sul lavoro. Ad esempio, Bergman nel film Funny & Alexander del 1982, si autorappresenta nella figura di Alexander e ricrea sul set la casa della propria infanzia turbata da un padre-padrone rappresentato dalla figura del pastore Vergérus. Bob Fosse, coreografo di danza contemporanea oltre che regista e sceneggiatore, firma la sua autobiografia nel film musicale All That Jazz (1979), una dichiarazione d’amore al suo frenetico e creativo lavoro.
Dopo aver visto da vicino l’incontenibile voglia di fare di questi giovani ragazzi, stimolati ancor di più da un ambiente in cui si può toccare con mano la fantasia che a tutto può dar forma, auguriamo loro di interpretare ruoli sempre diversi per formarsi come attori completi in vista di un futuro che li attende come protagonisti.