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Alta Fedeltà – Nick Hornby

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“Perché quello avrà dieci dischi al massimo”.

“E questo fa di lui un mostro, vero?”

“A mio modo di vedere, sì. Barry, Dick e io abbiamo deciso che non puoi essere una persona seria se hai…”

“Meno di cinquecento dischi. Sì, lo so. Me l’hai già detto un mucchio di volte (…)“. (Nick Hornby, “Alta Fedeltà”, Ventitre, p. 166)

 

L’EDUCAZIONE SENTIMENTALE DI UN’ANIMA POP.

 

“Alta Fedeltà” è diviso in due parti: “Una volta”, top five delle più memorabili fregature sentimentali vissute da Rob (a partire dall’adolescenza, ovviamente), e “Adesso…”, in cui si narra delle vicende di Rob e Laura a partire dall’addio di lei.

 

Nella prima parte, divisa in cinque capitoli corrispondenti a ciascuna delle delusioni amorose, il protagonista racconta la sua educazione sentimentale: segnata, sin dal principio, dall’incomprensione e dall’abbandono.

Il primo caso è grottesco: la tredicenne Alison (1972: galeotti i giardinetti), è pronta a tradirlo per un altro dopo neppure tre giorni. Rob vive il primo bacio con discreta incoscienza: ma la percezione nitida d’esser stato scaricato non manca di turbarlo.

Il secondo è indiretto e paradossale: Penny (1973) è una brava ragazza che non vuole concedersi con troppa leggerezza; e così, dopo tre mesi, Rob la lascia, frustrato e inappagato. Peccato che, dopo una manciata di giorni, un suo amico venga a dirgli d’esser stato assieme a lei, senza affatto penare.

Il terzo è l’esempio di quanto infausta sia l’emulazione, e di quanto rovinosa sia l’invidia: Rob si innamora della ragazza di un suo amico, Jackie (1975), perché sedotto non tanto da lei quanto dal tipo di relazione che i due avevano.

Sembravano incarnare il prototipo della coppia adulta: ammirati per la loro coesione e la loro intesa, proponevano un modello agognato e ancora estraneo al gruppo. Dopo una breve relazione clandestina, Rob riesce a spingere Jackie a lasciare il compagno. Passano tre settimane, ed è tutto finito: e la vita di coppia degli adulti diventa bersaglio d’ironie.

Il quarto è autodistruttivo: Charlie (1977-1979) è “troppo tutto” (p. 29): Rob sente che lei non appartenga alla sua “categoria”: “troppo carina, troppo brillante, troppo arguta” rispetto a un “peso medio” come lui. Hanno parecchi interessi in comune, ma non basta: Rob non si sente all’altezza e si dipinge, compatendosi senza riserve, come un complessato. Conclude il racconto della vicenda spiegando che la divina signora lo lascia per un altro: depresso, tenta un (incerto e maldestro, e appena accennato) suicidio, scrive interminabili lettere (di norma senza spedirle), si consola o si avvilisce con la musica pop, lascia gli studi e va a lavorare in un negozio di dischi. E spiega:

Le persone più infelici che conosco, dico in senso amoroso, sono anche quelle pazze per la musica pop; e non sono sicuro che la musica pop sia stata la causa della loro infelicità, ma so per certo che sono persone che hanno ascoltato canzoni tristi più a lungo di quanto non siano durate le loro tristi storie” (p. 27). In un certo senso, l’atteggiamento di Rob nei confronti della musica pop ricorda e riecheggia quello di Nick in “Febbre a 90°”, quando suggerisce che quel che lo affascina della condizione del tifoso è l’idea dell’intrattenimento come dolore: compiaciuto della sofferenza per le sorti della squadra nel romanzo d’esordio, compiaciuto della sofferenza riflessa o derivata da alcuni testi pop nel secondo libro.

Hornby non solo accoglie e accetta la malinconia: tende a esaltarla.

 

Torniamo, dopo questo rapido inciso, alla trama della prima parte.

Rob è consapevole che il suo “tempo” s’è fermato al 1979: è come se la formazione della sua personalità si fosse arrestata nel momento della rottura della relazione (non è un caso che il narratore associ subito la riflessione alle “immagini della gente di Pompei”) con Laura. “Sono bloccato in questa posa, questa posa da proprietario di negozio, per l’eternità, a causa di alcune brevi settimane del 1979 in cui diedi un po’ fuori di matto” (p. 27)

Sente che non potrà fare carriera: e che il passaggio da commesso a proprietario di dischi è stato, in fondo, naturale; e che anzi non ha fatto altro che perpetuare la sensazione d’essere “stregato” (p. 28).

 

Il quinto caso, infine, costituisce il momento d’una affermazione a danno di una personalità più debole: Sarah (1984-1986) è carina “in modo normale” (p. 30), “triste, nel vero senso della parola” (p. 31), rassicurante nella sua medietà: assieme, sono una coppia che non “proietta niente”, che condivide la solitudine e si lecca le ferite del precedente abbandono. Lei legge tanti libri e lui ascolta tanti dischi: sembrano soltanto “occupare spazio”, assieme, ma ciononostante anche Sarah lascia Rob per un altro.

Ormai Rob s’è formato un’idea di sé: è l’uomo medio, belloccio (somiglia a Peter Gabriel) senza essere particolarmente seducente, altezza e peso nella media, poche virtù ma nessun vizio e in tasca la sbiadita tessera del partito laburista. Sulla base di questa idea di sé, ha vissuto la relazione con Laura fino al nuovo abbandono. Ed è da questo momento che ha inizio la seconda parte.

 

LA VITA NEL “CHAMPIONSHIP VINYL”

 

Entriamo adesso nell’atmosfera, ormai leggendaria, della quotidianità “sospesa nel pop” di Rob.

Il mio negozio si chiama Championship Vinyl. Vendo dischi di musica punk, blues, soul e R&B, un po’ di ska, qualcosina delle Antille, alcuni pop degli anni Sessanta – tutto per il serio collezionista di dischi, come dice la scritta, ironicamente all’antica, sulla vetrina. Stiamo in una tranquilla strada di Halloway, prudentemente piazzati in modo da attirare il minor numero possibile di curiosi di passaggio; non c’è nessuna ragione di capitare qui, a meno che uno non viva da queste parti, e la gente che vive da queste parti non sembra esageratamente interessata al mio Stiff Little Fingers etichetta bianca o alla mia unica copia di Blonde on Blonde” (p. 38).

Il negozio “puzza di fumo rancido, di umido, e di copertine plastificate, ed è stretto e squallido e sporco e stipato, un po’ perché è così che lo volevo – questo è l’aspetto che deve avere un negozio di dischi, e solo i fan di Phil Collins amano i negozi dall’aria pulita e salubre come un quartiere residenziale in periferia – e un po’ perché non riesco a decidermi a ripulirlo” (p. 40).

 

Insomma: Rob si è creato un habitat da animale selvatico, in cerca di riparo e isolamento, e in aperta opposizione a quel che richiede la società o pretendono le leggi del commercio. Esempio di integralismo adolescenziale o di autentica coerenza, oppure fedele rappresentazione di quella traumatica “sospensione nel 1979” che pare abbia determinato l’ossessione del protagonista?

Al lettore l’interpretazione: sta di fatto che lo stravagante e adorabile protagonista del secondo romanzo di Hornby è un ragazzo di trentasei anni che brilla per intelligenza e passione, e tuttavia sembra incapace di prendere il controllo della sua vita e di determinarne gli esiti.

Accuratamente nascosto nel suo mondo, tutto catalogato sulla base di top 5 come una classifica di dischi (e questo divertente e allucinante meccanismo è adottato per presentare se stesso, le sue donne, i suoi genitori e i suoi amici, e – in generale – ogni sua passione e ogni evento della sua vita), Rob s’è uncinato alla zona d’ombra e vive in simbiosi con la musica pop – una coperta di Linus.

 

I commessi sono due anime rock in cerca di senso ed equilibrio: pagati part-time, presenziano tutto il giorno nel negozio, ciondolando e ascoltando musica. Dick è introverso, timido e malinconico; Barry è energico e amarissimo, parla per classifiche, come Rob, in termini di cinquine e decine, ed è apparentemente più estremo ed aggressivo.

Per un quadro efficace delle loro personalità, rinvio il lettore al capitolo Otto, pagina 84: Rob racconta come ognuno dei due vende dischi, tratteggiando così limiti, caratteristiche e qualità dei due ragazzi.

 

Ad entrambi mancano amore e realizzazione personale: la musica, ancora una volta, sublima ogni carenza e ogni aporia, e attutisce e attenua ogni contrasto (oppure: riflette e induce alla contemplazione del malessere? La questione, intelligentemente posta dal protagonista-narratore, merita d’esser lasciata irrisolta). Dick troverà un nuovo equilibrio tramite un amore: Barry tramite una rock band. A differenza di Rob, i due ragazzi non vanno incontro a una “evoluzione completa”: a uno spetterà l’amore, all’altro la realizzazione artistica. Rob, come sappiamo, avrà entrambe le cose (s’intende: dopo aver vissuto sedici anni da “stregato”, questa almeno è l’impressione – e dunque, risultando al lettore quasi “legittimato” ad avere tutto quel che aveva sempre desiderato).

 

Rob, Dick e Barry hanno il culto, tipicamente anni Ottanta – Novanta, della compilation: in cassetta, personalizzata e studiata con straordinaria cura.

Non stupiscono dunque le cassette del lunedì mattina (Uno, p. 45), le indicazioni per la preparazione d’una buona raccolta (Sette, p. 78: memorabile: “è un po’ come scrivere una lettera…”), e i relativi, infuocati dibattiti a proposito dei brani da trasmettere nel negozio. Il fanatismo dei tre personaggi è assolutamente divertente e, ammettiamolo, pienamente e orgogliosamente condivisibile: superba la scena in cui Barry litiga con un tizio che pretende di comprare un disco di Stevie Wonder (Due, p. 50-52), ripagando il lettore di decenni di pessime programmazioni di tv e radio private (Radiorock esclusa); trascinante e coinvolgente la descrizione delle serate da deejay di Rob, ai tempi del primo incontro con Laura (1987: Sette, 76-77).

 

Rob riordina la collezione di dischi (to whom it may concern: 2000, niente male), a casa, quando è stressato o quando vuole “immergersi nella sua vita”: l’archivio, un tempo strutturato rispettando criterio alfabetico e cronologico, per la prima volta diventa per ordine di acquisto: e così è un po’ come se Rob stesse scrivendo la sua biografia (Tre, p. 52) – una biografia che nessuno può davvero decifrare, perché le pagine (i dischi) non rispettano nessun criterio universalmente comprensibile. La separazione da Laura convince Rob, in una prima fase, a un ulteriore e pericoloso ripiegamento in se stesso: non gli importa più di tradurre la sua vita per l’alterità, l’importante è che sia comprensibile e lineare soltanto per lui.

 

Lo Stregato dal Pop s’invaghisce d’una cantante che conosce nello stesso locale in cui aveva conosciuto Laura: Marie LaSalle (p. 56) commuove fino alle lacrime il povero Rob cantando la melensa “Baby I Love your Way” di Peter Frampton (decisamente più decorosa nella versione dei Big Mountain d’una decina d’anni fa), incarna il suo antico sogno erotico d’essere amante d’una cantante e sembra scuoterlo dal torpore. È il principio d’una lenta e progressiva reazione di Rob: che, ma questa è una storia che ogni lettore e ogni innamorato del pop conosce, si riavvicinerà a Laura e la riconquisterà, ammettendo le proprie colpe e le proprie responsabilità e accettando la stravagante armonia del loro rapporto. Quasi come un adulto.

 

CONSIDERAZIONI FINALI

 

Tributo al pop, storia d’amore, d’amicizia, di memorie e d’ossessioni, “Alta Fedeltà” è un romanzo di forte impatto, grande immediatezza e totale lealtà allo spirito del nostro tempo. Fluido e mai ripetitivo, costringe il lettore a non perdere neppure una battuta nella narrazione – è la lezione di scrittura d’un letterato di grande intelligenza e grande passione, dallo stile atipico e originale e dal non comune, e forse non ripetibile, talento.

Impossibile che un grande appassionato di musica non ami un libro come questo. Un solo consiglio: evitate di stilare top five o top ten, l’esercizio pretende continui aggiornamenti e progressive variazioni – può crearvi noie, a lungo andare.

 

Che gli dèi conservino a lungo l’ispirazione del genio di Maidenhead.

E che non pensi mai a come diventare buono.

 

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Nick Hornby (Maidenhead, England, 17 aprile 1957), ex insegnante di Letteratura. Narratore, sceneggiatore, giornalista e critico letterario inglese.

 

Nick Hornby, “Alta fedeltà”, Guanda, Parma, 1996.

Traduzione di Laura Noulian.

Prima edizione: “High Fidelity”, 1995.

 

Info in rete: Penguin.

Altri romanzi di Hornby in Lankelot: “Come diventare buoni“, “31 canzoni“.

“Questa è la seconda canzone dei Simply Red in questa cassetta. Metterne una è già imperdonabile. Due, è un crimine di guerra. Posso saltarla?” La salto senza aspettare la risposta. Mi fermo su una terribile canzone di Diana Ross post-Motown, e mi scappa un lamento. Laura prosegue come nulla fosse”.

(Nick Hornby, “Alta Fedeltà”, Ventisette, p. 210)

 

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