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30 giorni di buio

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Barrow, Alaska. Ultimo avamposto della società americana prima del bianco assoluto dei ghiacciai artici. Agglomerato umano composto da caratteri stereotipati pronti al massacro. L’idea interessante: quale luogo migliore per dei vampiri affamati se non una località dove la notte dura un mese intero?
La realizzazione: si parte da una graphic-novel (Niles e Templesmith), attento il lavoro su colori e fotografia, impasti cromatici e contasti visivi. I colori predominanti sono il bianco delle distese innevate, il rosso vivo del sangue, il blu-nero metallico della notte.
Gli inganni: la sceneggiatura è scritta in maniera meccanica, sfruttando le svolte del racconto per evidenti esigenze di incastro narrativo. Un esempio: l’incidente che costringe Stella a rimanere a Barrow.
L’ipocrisia: usare il genere horror, ancora una volta, come strumento per esaltare i valori della società americana. Sacrificio, famiglia, matrimonio, tutti elementi che invece di essere criticati o mostrati in una nuova luce vengono usati da un punto di vista drammaturgico per essere sempre e comunque giustificati. Un esempio: un uomo si fa saltare in aria uccidendo più vampiri possibili. Il suo è un comportamento kamikaze. La società americana condanna gli attentati kamikaze come atti terroristici. Il punto: l’atto non viene condannato a priori, se i cattivi sono gli altri diventa giusto farsi saltare in aria. Un altro esempio: un uomo si accorge di essere stato infettato dal sangue dei vampiri, chiede di essere ucciso prima di trasformarsi in uno di essi. Il senso: metafora della malattia, si chiede di essere uccisi prima di patire quello che la malattia comporta. Leggere anche: eutanasia. Nel film questa scelta che la società americana condanna diventa giustificata, perché ci si sacrifica per gli altri, morendo si annullano le possibilità di nuocere e contagiare i propri compagni.
La storia è piena di situazioni di questo tipo e nessuna di esse serve a scardinare le certezze dei personaggi o i loro valori. Tutto è solo gioco narrativo, senza nessuna presa di posizione critica o etica. Puro film di genere, forse, il problema è che non si ha neanche paura. L’angoscia poteva essere creata dalla situazione di isolamento in cui si rifugiano i personaggi. Nascosti in una soffitta. Invece la tensione è blanda e si cerca di spaventare lo spettatore con i banchetti dei vampiri che succhiano sangue a più non posso, parlando una strana lingua, schizzandosi di materia organica per dar maggior risalto alla loro crudeltà.
Chi sono, da vengono, dove andranno: non ci è dato di saperlo.
La scansione temporale del racconto è poi inutile e superflua. Il tempo passa a settimane. L’unico indizio: la barbetta che cresce sul volto di Josh-espressionezero-Hartnett.
Finito il buio arriva l’alba. Con essa la speranza e un nuovo sacrificio. Una fede brilla su un dito. I sacri valori della Nazione sono stati ancora una volta rispettati.
Trailer su YouTube

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