Vado molto di rado al cinema in questi ultimi quattro anni ed ho fatto di necessità virtù accorgendomi che il cinema, come il buon vino o come tutte le emozioni intense e personali, acquista un sapore ancora più “mio” se non me ne abbuffo. Sia ben inteso, preferirei andarci 3 volte a settimana come qualche tempo fa, però non potendomene più ubriacare me lo centellino come un intenditore.
Alla “giusta distanza” dall’ultima volta in cui sono entrato nella magica sala buia ho avuto l’occasione di andare a vedere l’ultimo film di Mazzacurati, “La giusta distanza”, appunto. Avevo lasciato Mazzacurati all’ottimo “La lingua del santo” del 2000 e prima di allora ero sempre stato entusiasta delle sue opere (un po’ meno di “Vesna va veloce”). Sette anni e 2 film dopo ritrovo, fortunatamente, lo stesso regista che non avevo dimenticato, capace ancora di stupirmi nonostante lo stesso sfondo (il Polesine) e la stessa atmosfera, nebbiosa, provinciale, ovattata.
“La giusta distanza”, di cui Mazzacurati è regista e sceneggiatore, racconta l’arrivo di una giovane e vitale supplente in un piccolo paese sulla foce del Po in provincia di Rovigo. Inutile dire che Mara, interpretata da Valentina Lodovini già vista recentemente in buoni film italiani come “L’amico di famiglia” o “A casa nostra”, ha tra gli abitanti del paesello l’effetto di un petardo lanciato in una platea sonnolenta, ed infatti gli ingranaggi arrugginiti delle relazioni, delle gelosie e dei rancori si rimettono velocemente in moto e a noi non resta che guardare. Meglio di noi però guarda con occhi attenti il giovane aspirante giornalista Giovanni che non può fermare la sua voglia di raccontare qualcosa, soprattutto dopo aver ottenuto l’incarico di “corrispondente” per un giornale di provincia direttamente da un vero giornalista, interpretato da Fabrizio Bentivoglio.
Mara però non è una semplice notizia, è un ciclone che scombina l’equilibrio sonnolento del paese. Dopo una conoscenza tutt’altro che rassicurante Mara ha una storia con Hassan, un meccanico tunisino senza famiglia. Mara e Hassan sono una coppia ma il tempo muta ancora. Anche Giovanni in qualche modo ha una “storia” con Mara, della quale legge di nascosto le email grazie alla password carpita ingannevolmente mentra la aiutava a sistemarsi nella nuova casa. Attorno a loro, che sono diventati il vero interesse dle momento, si muovono altri personaggi come il tabaccaio arricchito che allunga volentieri le mani o il timido autista dell’autobus che rifiuta un invito di Mara perché “deve uscire con la morosa”. Queste figure sono ben delineate, opportunamente stereotipate per ritrarre con precisione e facilità di comprensione un territorio geografico e umano che non è mai troppo distante da chiunque di noi. Mazzacurati, già a Padova per “La lingua del santo” e nel Polesine con “L’estate di Davide” si ripete ma originalmente tessendo quello che diventerà un giallo su una tela dettagliata e inequivocabile.
Perchè un giallo? Qui chi vuole vedere il film dovrebbe sospendere la lettura perché sto per svelare se non proprio il finale ma uno sviluppo inaspettato e determinante del film.
Per chi è rimasto con gli occhi qui sopra allora posso scrivere che il film all’improvviso, ma non così sorprendentemnte, fa vedere Mara morta riversa nel fiume. Naturalmente i sospetti vertono tutti e subito su Hassan, inserito ma pur sempre unnordafricano con un concetto di donna e famiglia diverso dal nostro, tale da aver chiesto a Mara di sposarlo dopo una frequentazione ancora breve. E da questo momento che i personaggi assumono tutti un’espressione diversa, feroce e accusatoria, ognuno di loro mostra il lato peggiore di sè, proprio quando invece sarebbe il momento di fare l’esatto contrario. Nulla di tutto ciò sfugge a Giovanni che purtroppo non riesce a vedere nella vicenda di Mara null’altro che un’occasione professionale irripetibile. Eppure neppure Giovanni è tranquillo, anche lui ha avuto la sua parte negativa nella vicenda, leggendo di nascosto le email che Mara inviava all’amica rimasta in città e restando in silenzio quando invece la sua parola avrebbe potuto, chissà, essere d’aiuto. Giovanni si risveglia dal suo torpore solo quando, assistendo al processo, ha la sensazione che tutto sia già scritto, che tutto si conduca senza andare abbastanza in profondità. Giovanni, insomma, non riesce a trovare “la giusta distanza” tra lui e la notizia: nè troppo lontano da non vederla ma nemmeno troppo vicino da esserne fatalmente coinvolto. Ecco finalmente che Giovanni riesce a scoprire la verità, che si rivela come spesso accade più banale di quanto si creda. Una volta dimostrata l’innocenza di Hassan, con articoli ripresi dalla stampa nazionale, ecco che vediamo Giovanni prendere la corriera per la città, la stessa corriera che solo pochi mesi prima aveva portato lì Mara.
Anche se “La giusta distanza” ha qualche ingenuità ed a volte pecca di un desiderio eccessivo di descrivere lo sfondo sul quale si dipana la storia, come la scoperta dei clandestini cinesi o il passaggio del traghetto durante la festa di paese, il film è comunque equilibrato nello svolgimento e nello sviluppo della storia, nessuna accelerazione inutile, nessun personaggio inutile. “La giusta distanza” ci fa inoltre scoprire Giovanni Capovilla, lo studente padovano 18enne esordiente assoluto nel cinema, ottimo interprete e ben calato nella coralità del resto del cast.
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