(racconto selezionato dalla giuria per In Xanadu 2 – sezione prosa)
La prima volta che ti vidi, c’era la neve.
Ricordo che veniva giù a grani di riso, avvolgenti, persistenti. Cristalli stellati che non consentivano al sole di dare forma al giorno, né alle tenebre di stendere la notte. Tutte le cose erano immerse in un biancore delirante, ma non abbastanza compatto da nasconderti al mio sguardo. Anzi, con te, lui giocava a fare da cornice, uno sfondo sul quale ti stagliavi con una forza inaudita. Quella del tuo amore.
C’è chi sostiene che il bianco sia un colore rassicurante. Sarà perché è sinonimo di candore. Di neutralità. E di saggezza. O forse perché, nella sua natura di percezione generata da tutte le radiazioni visibili emesse dal sole, un colore non lo è affatto. Io so solo che, da allora, la nostra storia è stata un trionfo di bianco.
Bianco nel tuo abito nuziale, nella tua lingeria, nei tuoi sorrisi, nei tuoi pensieri, nel tuo cuore. C’era un bianco di corsia quando, per la prima volta, mi hai mostrato nostro figlio. E un bianco di nebbia quando, per alcune ore, siamo rimasti bloccati in una cascina abbandonata. E ancora, un bianco di roccia e spuma quando abbiamo osservato il mare incresparsi sulle alte scogliere. Sempre bianco il muro verso il quale abbiamo pianto, imprecato, rivolto preghiere. E bianche sono state le paure, le insicurezze, le apprensioni. Bianco. Tutto bianco. Com’anche l’ospedale che, per l’ultima volta, ha giocato a farti da cornice. E bianco, infine, è stato il mio lutto. Biasimato, condannato, demolito, deplorato, disapprovato, rimproverato, stroncato. O, tutt’al più, tollerato. Ma mai compreso. Lui che, in fondo, era solo uno scrigno. Una scatola di morbida schiuma, perfetta come il tuo cuore.