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L’eterno fascino di Marx

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L’eterno fascino di Marx

Per qualcuno Marx è un vero e proprio gigante dell’Ottocento che ha condizionato oltremodo, più di chiunque altro, la storia e la cultura del Novecento, per altri invece è semplicemente un "cane morto". La disputa è sempre aperta e piuttosto accesa e francio Wheen, giornalista inglese, proprio a lui ha dedicato una biografia, intitolata semplicemente Marx, uscito in tutte le librerie alla fine del 2000 edita da Mondatori. E Wheen sta dalla parte dei primi, di chi considera Marx una personalità il cui lascito di idee è più che enorme. Del resto negli anni Sessanta i ventenni dell’estrema sinistra imparavano a memoria i suoi lunghi saggi, testi dove l’architettura del marxismo era spiegata e delineata in ogni più piccolo dettaglio.
Di fronte a una tale opera biografica è praticamente impossibile non chiedersi se Marx sia intellettualmente responsabile delle catastrofi morali e politiche perpetrate nel Novecento in suo nome. Qualcuno risponderebbe che se guardiamo ai misfatti dei figli, alla fine scopriamo che i padri ne sono sempre in qualche modo responsabili, se non altro sul piano del patrimonio genetico. Questa dovrebbe allora essere anche la responsabilità del nostro filosofo. Se poi la "colpevolezza" vada oltre è certo opinione soggettiva. Certo e oggettivo, dunque innegabile, è che Marx è l’uomo che stava all’incrocio tra economia, filosofia e analisi storica, che ha scritto alcuni dei libri più importanti dell’Ottocento, se pur influenzato dal grande Hegel e dagli economisti inglesi di fine Settecento, influenza che ci porta in parte a mettere in discussione il grande genio di Marx: non era dunque tutta farina del suo sacco? Sicuramente no, perché grande pensatore sì, ma dirlo e considerarlo proprio genio in toto sarebbe forse esagerato. Certo ha saputo identificare le diverse specie storico-politiche ed è stato uno straordinario e ineguagliabile naturalista della storia, ha raccontato come nessun altro la saga del capitalismo, del suo sviluppo, il passaggio dall’industria manifatturiera alla grande industria. E tutti i grandi sociologi ed economisti del suo tempo, persino Max Weber, sono stati influenzati da Marx, da alcuni addirittura considerato uno dei dieci economisti più grandi di tutti i tempi.
Non manca, forse si potrebbe dire per fortuna, un errore, uno sproposito di notevole evidenza, nella sua analisi dello sviluppo della società capitalistica: era convinto che lo scontro, il duello mortale, sarebbe avvenuto tra capitalisti e classe operaia. Il suo binocolo non fu dunque in grado di vedere che l’anima delle società future, moderne, sarebbero stati i ceti medi, per dirla chiaramente, tutte quelle persone che consumano in maniera identica, che fanno le stesse vacanze, che guardano gli stessi film, le stesse trasmissioni televisive, che acquistano negli stessi negozi, che frequentano locali quasi identici.
Allora la sua previsione era, se non totalmente, almeno largamente sbagliata. Ma il perché è semplice: alle sue spalle c’è il già ricordato Hegel e il suo hegelismo gli diceva che nella storia c’era la realizzazione della dialettica, che lo sviluppo della società era predestinato e destinato ad un fine ultimo: la società comunista, panacea capace di curare ogni male, ogni infelicità.
Ma forse se Marx avesse visto il comunismo come poi i comunisti russi lo realizzarono lo avrebbe ritenuto ripugnante, perché un intellettuale è dotato di uno sguardo acceso e vivace, capace di distinguere il bene dal male.
Marx non ha scritto nei suoi libri nulla che incitasse i ragazzi di Seattle o di praga a dare addosso ai McDonald’s come simboli della società capitalistica. Questi ragazzi sono ben lontani dalla sua cultura, dalla sua originaria concezione. Marx non avrebbe mai predicato e oggi non predicherebbe mai un barbonismo generalizzato, perché ha sempre sostenuto forte e chiaro che il benessere della società dipende dal suo sviluppo industriale.
Ma torniamo alla biografia di Francio Wheen. Il Karl Marx qui descritto non è quello serioso, intellettuale, che la tradizione ci ha sempre tramandato. È stravagante, decisamente snob, a momenti anche divertente. Lo vediamo prediligere per tutta la vita donne blasonate, del resto la stessa moglie Jenny era una baronessa, ma poi finisce con l’avere un figlio da Melene, sua fedele governante. Trascorreva ore ed ore chiuso in biblioteca, ma poi amava le bisbocce, i sigari, i vini, soprattutto quelli francesi. Lo vediamo persino lanciare sassi ai lampioni di Londra. Nel contempo fu un padre affettuoso, che perse ben quattro figli maschi e finì per dedicare tutto il suo affetto alle tre figlie femmine rimaste. Ed eccolo poi sul lastrico, in perenne miseria, in attesa del decesso di qualche parente facoltoso: per decenni fu mantenuto da Friedrich Engels. Eppure riusciva a continuare a mantenere segretari e governanti, ad abitare case costose, a fumare i sigari più cari in commercio.
Un libro allora, quello di Wheen, che getta un’ulteriore nuova luce sul eternamente discusso Karl Marx, che ci dà di lui un ritratto ancora più affascinate e complicato, degno di un personaggio destinato a non avere mai fine.

Francesca Orlando

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