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Quell’affascinante Medioevo di Umberto Eco

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Quell’affascinante Medioevo di Umberto Eco

Umberto Eco, stando a quanto ha dichiarato, aveva in mente una vicenda contemporanea: doveva intitolarsi Numero zero, con protagonista un gruppo di persone che progetta un nuovo quotidiano. Di mezzo c’era anche un delitto della camera chiusa attuato con un marchingegno favoloso, una sorta di chimera ronzante nel vuoto, capace di uccidere. Invece è nato Baudolino (Bompiani, pp. 528, 34 mila lire). È il suo quarto romanzo: Baudolino è alla ricerca della mitica terra del Prete Gianni, in un viaggio che dall’Italia comunale al tempo del Barbarossa (di cui per altro il protagonista diventa figlio adottivo) giunge fino alle terre dell’Oriente sconosciuto, abitato da mostri e ricco di prodigi. E una delle creature favolose che accompagnano Baudolino c’è lo sciapode, un essere che si regge su di un’unica gamba dal piede gigantesco.
Così, dopo "Il nome della Rosa", Baudolino ci riporta al Medioevo, addirittura a un paio di secoli prima del romanzo citato, ma non più in un Medioevo di stampo monastico, bensì in un’età laica e sporcacciona, con un Barbarossa che spesso lascia l’armatura per rimanere letteralmente "in mutande".
Quella di Eco è questa volta una favola senza morale, dove il protagonista non impara proprio niente della vita, che anzi rimane sempre uguale, non si evolve. La storia a Baudolino non insegna nulla, anzi sarà lui a riscriverla al fine di usarla per realizzare i propri sogni, cioè per arrivare nella terra del Prete Gianni, il regno fantastico su cui gli occidentali hanno tanto fantasticato.
Baudolino è un personaggio che amalgama la fantasia agli aspetti terragni, ma soprattutto è un bugiardo, un gran bugiardo, anche se quasi sempre a fin di bene, tanto bravo a mentire che finisce per credere alle sue stesse frottole. Insomma, è uno di quei tanti mentitori che poi diventano utopisti, uno di quelli che, proprio come i poeti, dice le bugie necessarie. La Storia stessa diviene una sorta di menzogna collettiva, menzogna alla quale tutti danno il loro contributo. Nel corso del libro si scopre che Baudolino ha falsificato la biblioteca d’Occidente, perché è lui il vero autore dell’epistolario fra Abelardo ed Eloisa. Il mondo non fa altro che adeguarsi, e decide di cospirare e collaborare con lui alla finzione universale. Così la Storia si rivela null’altro che illusione collettiva.
Una visione pessimista della storia? Forse sì, ma secondo Umberto Eco nel rileggere il passato c’è sempre una specie di pessimismo dell’eterno ritorno. Ci accorgiamo che il progresso che c’è stato è un po’ meno di quello che ci aspettavamo, che credevamo. Un pessimismo, però, al quale si contrappone evidente l’ottimismo della narrazione, perché nel protagonista del libro c’è una forte euforia, quella gioia propria di chi, scrivendo e narrando, sa di produrre miti, e miti necessari. Perché raccontare storie significa dire menzogne, ma soprattutto scrivere romanzi.
E il romanzo di Eco conquista il lettore già dalle prime pagine, in un primo capitolo che diviene pergamena scritta in un latino maccheronico. E di pagina in pagina il viaggio da Occidente ad Oriente diventa progressivamente passaggio dalla Storia alla Fantasia, alla Favola. E il viaggio prosegue, attraversando reami mostruosi, consultando mappe immaginarie per seguire le tracce mitiche del Prete Gianni… e quando chiudiamo il libro siamo soddisfatti e ammiriamo l’abilità dell’autore, del romanziere che alla fine pare dirci: "Ciò che unisce autore e lettore è null’altro che la menzogna".

Francesca Orlando

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