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Cronaca dei sentimenti

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"Cronaca dei sentimenti"…
alla scoperta della vera apocalisse.


"Questa è una mattina in cui penso di andarmene, di lasciare l’ospedale, di allontanarmi da quel miserabile cartellino che mi valuta a minuti e non ad azioni. Che non controlla se uso la passione o l’affetto per i miei malati o se invece agisco come una macchinetta che distribuisce automaticamente assistenza.
La nostra psichiatria sembra essere confezionata per chi cerca sintomi e dimentica gli uomini che li esprimono. Come meccanismi della frizione o dell’acceleratore o dello spinterogeno umani.
Sono disadatto alla psichiatria, anche se sono celebrato come grande psichiatra. Uno slogan che odora di spot e che mi disturba, poiché nessuno sa poi aggiungere che cosa io faccia e abbia fatto davvero.
È tempo di lasciare, di andarmene e così, forse, di non dover più rincorrere il tempo senza mai trovarne e chiudere questa folle corsa. Una corsa da manicomio. (..)". Sono parole dettate dal cuore, una confessione tra le tante presenti nell’ultimo libro di Vittorino Andreoli, "Cronaca dei sentimenti". Un romanzo che si presenta come un diario, che narra una anno di vita del noto psichiatra, un anno che ha cambiato la sua vita, l’anno in cui ha deciso di abbandonare la professione di psichiatra per dedicarsi alla scrittura: "Scrivere è il mio desiderio più forte e insistente – confessa -, ma è faticoso farlo… Mi sono dedicato alla scrittura ogni volta che i miei compiti professionali me lo permettevano…". Ed ora Andreoli ha realizzato il desiderio: ha scritto di sé, con una sincerità e profondità che pochi uomini hanno dimostrato. Quello che ci ha regalato è così la narrazione di un anno di incontri, gesti, viaggi, decisioni piccole e grandi, ma anche di emozioni, pensieri, sogni, ricordi e fantasie. Un anno speciale della sua vita, perché dopo decenni di contatto quotidiano con i suoi pazienti ("La mia testa è un manicomio, sempre. Anche quando non vado in ospedale porto con me i casi speciali, i casi estremi… Non mi libero mai dei matti. Me li porto anche in vacanza, dappertutto. Come se non sapessi farne a meno…"), ha deciso di abbandonare il mondo "attivo".
Accanto alla sincerità non può che fare capolino la sofferenza, tinteggiata per altro dalla sorpresa, dalla rabbia, dalla paura, dalla speranza. E il coraggio, il coraggio di un uomo che dichiara la propria fragilità, i propri limiti, la propria follia, la follia che ognuno di noi si porta dentro… Così Andreoli stupisce ed emoziona mettendo in gioco tutto se stesso, mettendoci di fronte a pagine che ci invitano a fare altrettanto, ad abbandonare falsità, pudore, le maschere che le società ci impone…Potrei io raccontarmi, mettermi a nudo come fa lui? ci chiediamo di fronte ad un Andreoli al suo primo giorno di pensione, in pigiama, rimasto chiuso fuori casa, costretto a chiedere aiuto a un passante… Un’immagine che ci fa sorridere, ma che ci fa anche pensare. È un uomo grande quello che confessa a un mondo intero la consapevolezza dei propri limiti, che ammette le sue paure e titubanze, uno psichiatra che aborre il successo fatto di immagini e belle parole, che non tiene conto della reale sostanza di persone ed azioni, che denuncia le restrizioni della medicina, quello che non funziona…("La psichiatria è una scienza infelice… si occupa della pericolosità… Odio i medici e la loro arroganza…).
Andreoli è un uomo che non vuole giocare a fare il divo, che vuole essere visto e ascoltato per quello che è: "Non ho più voglia di ricercare le cause del dolore – scrive -, di trovarne la sorgente, se mai esiste. Non ho più voglia di perdermi in ipotesi che mi allontanano dal dolore per difendermi nel sapere e nella speranza del sapere… Sono uno psichiatra nudo… Sono un uomo che conosce il dolore e che si riconosce nel dolore". Abbandonato il camice da psichiatra, si pone ai nostri occhi solo come uomo, e un uomo che ha paura, perché "La vita è la storia della paura: una paura personalizzata. Il tuo contributo alla paura. La mia paura che spaventa, la sua che mi intimorisce", che rincorre la felicità ("Ma perché devo portarmi appresso questa sensazione di insoddisfazione: l’incapacità di essere felice, come se non ne avessi il diritto, come se cercassi la felicità lontano per non vederla vicino?"), che sente sulle spalle la fatica di vivere.
Uno specchio inaspettato quello di fronte al quale Andreoli si pone, un viaggio significativo quello che le pagine del suo diario, scandito in mesi e in giorni, fino alla mezzanotte tra il 31 dicembre 1999 e il 1 gennaio 2000. Un giorno e un’ora in cui molti attendevano e temevano l’apocalisse, un’apocalisse che non c’è stata. Ma "forse la vera apocalisse – conclude l’autore – è che il mondo continui".

Francesca Orlando

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