I primi esperimenti di strumenti musicali elettronici risalgono a moltissimi anni prima dell’inizio dell’era digitale; i sintetizzatori avevano una struttura completamente analogica perchè quando furono costruiti non esistevano ancora i microprocessori e con essi quelle tecnologie quali il campionamento che oggi sono comuni a tutti gli strumenti.
L’assenza di dispositivi digitali non solo impediva la riproduzione di campioni, ma non consentiva nemmeno di utilizzare degli algoritmi per generare il suono; per eseguire un algoritmo è necessaria una macchina in grado di eseguire una serie di istruzioni mentre i dispositivi analogici sono soltanto capaci di creare forme d’onda elementari e di alterarle. E’ dalla ricerca sui circuiti analogici che sono nati e si sono sviluppati alcuni concetti che al giorno d’oggi sono stati
“tradotti” in digitale.
Bisogna in ultimo precisare che da alcuni anni si sta verificando un fenomeno opposto, cioè un ritorno all’analogico. Infatti sono sempre di più i musicisti (specialmente nel campo della musica dance) che ritengono molto più pieni ed incisivi i suoni prodotti dai dai synth vintage rispetto agli stessi suonati con i moderni sintetizzatori digitali.
A partire da questo mese, quindi, analizzaremo tutte queste tecniche dapprima da un punto di vista analogico, per poi vedere come è possibile riprodurle digitalmente.
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Innanzittutto è necessario dividere in due grandi categorie i circuiti dedicati all’audio:
* generatori o oscillatori che servono per produrre una forma d’onda
* filtri che hanno il compito di modificare il suono prodotto dai
Ciascun circuito può essere visto come un blocco indipendente ed in genere la struttura di un sintetizzatore viene descritta con uno schema a blocchi.
Cominciamo quindi ad analizzare ad uno ad uno questi blocchi.
Un oscillatore è un circuito in grado di generare una forma d’onda periodica elementare. In genere le forme d’onde che possono essere ottenute analogicamente sono quella quadra, sinusoidale, triangolare e a dente di sega.
Un oscillatore ha bisogno di due parametri fondamentali per funzionare: la frequenza di oscillazione (che determina la nota da riprodurre) e l’ampiezza (cioè il volume della nota). Questi tipi di oscillatori vengono detti pitched perchè creano un suono con una ben precisa intonazione.
A parte vengono il buzzer e il generatore di rumore. Il buzzer è un oscillatore pitched che produce un suono il cui spettro è denso ed uniforme cioè sono contenute tutte le armoniche e la loro ampiezza è uguale a quella della fondamentale.
Il generatore di rumore è invece un oscillatore unpitched, cioè che non genera un intonazione ben precisa. Produce uno spettro continuo in cui sono contenute tutte le frequenze dello spettro udibile. Se poi tutte le frequenze hanno la stessa ampiezza il rumore si dirà rumore bianco. Essendo una sorgente unpitched, non ha senso parlare di frequenza di oscillazione, per cui l’unico parametro di cui un generatore di rumore ha bisogno è l’ampiezza.
Come era stato più volte ribadito in uno degli scorsi numeri, è indispensabile che lo spettro di un suono vari dinamicamente nel tempo. Le forme d’onda prodotte dagli oscillatori analogici hanno, al contrario, uno spettro assolutamente costante nel tempo, per cui il suono risulta assolutamente piatto e privo di colore senza ulteriori elaborazioni. Si potrebbe pensare di far variare nel tempo l’ampiezza del suono oppure, all’aumentare della durata del suono, togliere sempre più armoniche di ordine elevato. Ma con quale andamento, con quale legge di variazione verrebbero realizzate simili alterazioni dello spettro?
E’ per risolvere questo problema che vengono introdotti i generatori di inviluppo, particolari circuiti che creano un segnale lentamente variabile nel tempo usato per definire l’ampiezza del segnale degli oscillatori, la loro frequenza di filtraggio ed altri parametri simili.
Avevamo già parlato di inviluppo di un suono trattando l’argomento della percezione timbrica; i generatori di inviluppo sono stati teorizzati da Helmholtz e sono proprio nati dall’esigenza di variare l’ampiezza di un suono in modo naturale. La forma prodotta dai generatori di inviluppo viene in genere descritta con i 4 parametri
Attack, Decay, Sustain, Release (detti ADSR), come spiegato nell’articolo di Marzo 1997.
I filtri sono circuiti che attenuano od amplificano una certa area di frequenze all’interno dello spettro del suono. Secondo il tipo di attenuazione prodotto, i filtri si dividono in varie categorie:
* LPF (Low Pass Filter): mantiene solo le armoniche al di sotto di una
* HPF (High Pass Filter): è l’opposto del filtro precedente in quanto
* BPF (Band pass filter): mantiene tutte le componenti dello spettro
* BRF (Band reject filter): rimuove tutte le frequenze all’interno
Oltre alla frequenza di taglio o alla banda passante, i filtri sono caratterizzati da un altro parametro, l’ordine del filtro detta anche la pendenza, che rappresenta la gamma di intervento del filtro.
Chiariamo subito con un esempio. Consideriamo un filtro passa basso
(LPF) con la frequenza di taglio a 1KHz. Nel modello ideale, il filtro lascia passare un segnale a 999Hz, mentre elimina completamente uno a
1001Hz. Nella realtà questo non avviene; il filtro non taglia bruscamente tutte le frequenze al di sopra di 1KHz ma, man mano che ci si allontana dalla frequenza di taglio, l’attenuazione diventa sempre maggiore. La pendenza quantifica l’aumento di attenuazione in funzione della frequenza ed in genere si misura in dB per ottava. Il valore in dB indica il rapporto fra il livello del segnale iniziale e quello del segnale attenuato, mentre sappiamo bene che un’ottava significa un raddoppiamento della frequenza. Ad esempio, dire che il filtro taglia
12dB/oct significa che ad una frequenza doppia rispetto a quella di taglio il suono è attenuato di 12dB rispetto all’originale, ad una frequenza quadrupla è attenuato di 24dB, ecc…
Ogni ordine del filtro corrisponde a 6dB/oct così che un filtro del primo ordine taglierà 6dB/oct, uno del secondo ordine taglierà
12dB/oct, uno del terzo 18dB/oct e così via.
Un’ultima osservazione: Il filtro passa banda è strettamente legato al concetto di risonanza, dato che una risonanza è in pratica un’esaltazione di una stretta gamma di frequenze; più stretta è la banda passante dei filtri BPF, più elevato è l’effetto di risonanza che si ottiene. Questo è un’effetto largamente usato nei synth.
Il waveshaper è un circuito di recente introduzione; non è quasi mai stato usato nei vecchi synth analogici. Ha però una capacità espressiva così elevata che quasi tutti i moderni synth ne sono dotati.
Un wavshaper si può definire come una funzione di trasferimento non lineare. Il grafico qui riportato rappresenta la curva utilizzata per produrre una leggera distorsione; l’asse delle X rappresenta il valore della forma d’onda in ingresso mentre il punto identificato dal grafico sull’asse Y indica il valore della forma d’onda in uscita dal waveshaper. Supponiamo ad esempio che all’ingresso sia fornita una sinusoide di ampiezza unitaria. Per valori piccoli del seno il segnale viene amplificato linearmente ma, quando raggiunge il valore corrispondente al ginocchio sul grafico del waveshaper l’amplificazione si riduce notevolmente e la sinusoide risulta come
“compressa”. Se invece l’ampiezza della sinusoide in ingresso fosse stata molto piccola, il waveshaper non avrebbe compiuto nessuna alterazione al segnale perchè la sinusoise sarebbe rimasta sempre nel tratto lineare passante per lo 0.
Naturalmente l’effetto prodotto dal waveshaper dipende interamente dalla funzione di trasferimento; se la funzione ha un grafico discontinuo e spigoloso verranno prodotte moltissime sovrarmoniche al segnale, mentre un grafico più morbido e continuo produrrà un suono più delicato perchè molto meno carico di armoniche. Per determinare le armoniche create dal waveshaper si utilizzano i polinomi di Chebyshev, ma l’argomento è molto complesso e rimando gli interessati ad una lettura sulla teoria matematica del filtraggio secondo Chebyshev.
E’ molto difficile costruire analogicamente un waveshaper, soprattutto se si vuole rendere variabile la sua funzione si trasferimento. In pratica gli unici waveshaper analogici sono i cosiddetti “distorsori”, circuiti che tramite saturazione di transistors, limitano bruscamente la dinamica del segnale.
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Abbiamo fin qui analizzato il principio di funzionamento dei vari
“blocchi” elementari, una serie cioè di circuiti che, combinati in maniera opportuna, possono sintetizzare una quantità vastissima di sonorità analogiche. Nel prossimo numero vedremo come collegare fra loro questi blocchi analizzando le tecniche di sintesi e le modulazioni. Vedremo poi come simulare digitalmente tali circuiti per poi descrivere infine i principi di funzionamento di alcuni semplici effetti (echo, flanger, ecc…) che possono notevolmente arricchire le sonorità prodotte dai synth analogici.