KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

A wonderful Praha sky

6 min read

A Wonderful Praha Sky

Silente camminatore

Franz lascia la sua casa

di notte

e passo dopo passo

il tuo cammino

segue;

Praga intanto non è immota

e mormora

forte

tra le sue vecchie strade

le sue pene

i suoi segreti

mostrando

vita nuova

con antiche

parole

eterne.

Praga non è una città in cui ti puoi sedere e non pensare a nulla, non
è un luogo dai rumori ovattati piena di quella calma agreste e di quel ritmo cauto e vago, proprio ad altri borghi, né è una metropoli che ha estirpato i semi della sua storia per mostrare al mondo il suo nuovo abito da sera, con il quale si propone di accompagnarti ad un galà; qui sei come continuamente sopraffatto dal passato che ritorna, scivolando tra le pietre delle case, sfuggendo dai colori scuri delle chiese e delle antiche ville, per raggiungerti e parlare al cuore; non puoi ignorarlo, per quanto il tuo istinto di turista cerchi disperatamente di cogliere solo l’apparenza, e non l’essenza di ciò che ti circonda, abituato alla televisione, ai racconti, alla vita.
Sei lì, solo tra la gente, in una strada come tante, senza nessuna aspettativa, nessuna attesa, e all’improvviso uno scorcio del castello, colto appena tra i tetti delle abitazioni, mette la tua mente all’erta. Inizi a sentire che qualcosa, in quell’immagine che si staglia su di un cielo senza nuvole, eppure non estivo, che subito non riesci a capire. Ti giri, e cominci nuovamente la tua marcia (Praga è una città da visitare rigorosamente a piedi) diretto non sai bene dove, e prima che la tua ragione ti riporti completamente nel ventesimo secolo, senti un violino, guidato da mani esperte, intonare nell’aria qualcosa di conosciuto.
Mozart, che leggi ovunque “amava Praga”, ti si avvicina lentamente in questo modo subdolo, prendendoti con delicatezza la mano, e inizia a condurti; e ti guida fino ad arrivare prima dal viaggiatore che improvvisa per guadagnarsi i soldi per un bicchiere, e poi davanti ad una chiesa splendida, una delle tante, da cui il suo Requiem, o il Don
Giovanni riempiono l’aria e l’anima in maniera sublime, come se queste due cose invisibili non fossero che un tutt’uno destinato soltanto a questo.
Un venditore ambulante rompe il tuo idillio musicale, con un sorriso e qualche frase in un inglese splendido che ricorda però l’asprezza del ceco. Vedi nei suoi occhi e nel suo atteggiamento qualcosa che ancora non avevi notato: una sorta di fierezza mesta, se queste due cose potessero mai stare insieme. Dietro ai suoi occhi profondi c’è infatti la consapevolezza di chi vive in un piccolo paradiso, senza veramente essere un angelo, e che porta dentro al petto il cuore della città, mischiato all’esigenza di non esserne vinto e di condurre egualmente un’esistenza normale.
E mentre rapido guardi il suo campionario di foto e disegni, in cui la bella Praga risulta ancora più fiabesca ed irreale, oppure mentre osservi un po’ distratto le casette in ceramica, riproduzioni fedelissime dei palazzi della città vecchia, continui a notare tutto intorno a te, partendo dalla strada, fino ad arrivare ai portici e alle cancellate in ferro battuto, ed il tuo cammino quindi reinizia un’altra volta, ancor prima di aver salutato con la mano il venditore e di averlo lasciato attirare l’attenzione di un altro turista.
Passeggiare nel quartiere ebraico, o nel centro, o nella piazza dell’orologio, sulla quale Kafka volgeva lo sguardo dalle finestre di casa, acquista, man mano che l’animo si fa catturare dal mormorio della città, un gusto tutto particolare. L’area ebraica ad esempio, con le sue sinagoghe e il suo cimitero, quest’ultimo “fornito” di neri corvi che riempiono la mente con il loro continuo e tetro gracchiare, ha un fascino ambiguo: da un lato la storia che impregna ogni vicolo e ogni finestra degli alti palazzi è quasi più oppressiva che nelle altre zone, e di conseguenza scuote l’animo maggiormente; dall’altro, la vita intensa, il fasto, il desiderio di essere lì nel presente e non solo nella memoria, di chi, ebreo, è cicerone suo malgrado di questi luoghi, è tale da far perdere di vista la città mostrando di più i cittadini.
Ma appena usciti da quelle strade, per ritornare verso il centro, è di nuovo Praga a sorriderci. E lo fa mostrando un architettura gotica splendida, e mille piccoli particolari che difficilmente possono lasciare indifferenti.
Comunque il “colpo di grazia” all’animo del turista lo da uno dei luoghi più suggestivi che la mia mente ricordi: il ponte Carlo.
Io ho visto l’Arno tagliare la splendida Firenze, e il fosco Tevere scivolare lento nella capitolina Roma; ho visto il Danubio attraversare Budapest, Bratislava e Galati ed il suo corso frammentarsi in delta per diventare mare, ed in tutti questi luoghi, la sera, le acque dei fiumi attingono dal cielo e dalle luci che l’uomo pone, colori ed un atmosfera talmente unica da rimanerne senza fiato. Il lento sciabordio dell’acqua che, poco meno nera della notte, scorre senza tregua, rende paradossalmente limpida l’idea dell’esistenza umana stessa come metafora del fiume, e non l’inverso.
Ma qui, su questo ponte, dove le statue dei santi sembrano fare la guardia al cielo infinito, dove in un unica soluzione sono uniti violini classici, sincopato jazz e quel rock straziato e ribelle che ognuno di noi ha un po’ dentro, e dove, se si ha la fortuna di avere una ragazza a fianco, è possibile vedere nei suoi occhi tutto il vuoto ed il calore che rende l’uomo un elemento speciale del creato, qui, su questo ponte, è difficile non farsi prendere dalla malinconia e, sovente, dall’amore.
Certo, tutte le persone sono sensibili in modo di verso, e, se volete,
Praga può anche lasciarsi nascondere dalle luci lampeggianti dei tanti locali, e dagli alberghi con le vetrate a specchio, o dall’odore di un fast-food o di un ristorante indiano; sì, Praga, può svanire dietro al fumo di una Malboro accesa in compagnia di qualche amico, alla ricerca di qualcosa che risolva la notte che viene, ma “un” Golem ugualmente ci sarà, a farvi compagnia. Ci sarà in ogni istante che guarderete distrattamente un palazzo, o lancerete uno sguardo all’interno di una chiesa, alla ricerca di un dipinto o di una statua. Con lui pure incontrerete Kafka, con il suo cipiglio scuro, e con quel suo sorriso strano che pare tagliare in due il viso scolpito. E naturalmente non sfuggirete a Mozart.
Non potete evitare nessuno di questi tre incontri, che, come i fantasmi di Dickens, vi verranno in sogno quando meno ve lo aspetterete, a mostrarvi il loro messaggio, il loro ruolo all’interno della vita della città.
Se alla fine, quando anche l’ultimo di questi spiriti vi sarà apparso, non avrete ugualmente colto l’essenza di Praga, forse allora, a chi vi chiederà come vi è sembrata questa capitale, risponderete “Bella” e continuerete come se nulla fosse.
Ma se invece qualcosa sarà filtrato in voi, alla stessa domanda imparerete a rispondere come faccio io e un ricordo unico vi accompagnerà tra una visita e l’altra in questo luogo splendido.

“Praga è una città da vedere”
Marco Giorgini

Commenta