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Nichelodeon – Intervista con Claudio Milano

14 min read

 
Il “Nickelodeon”, con la “K” però, fu un tipo di cinema che si diffuse tra la classe lavoratrice delle metropoli statunitensi a partire dal 1905, per fare fronte alla precoce crisi dell’appena nato cinema, proposto fino allora come fenomeno da baraccone, e per decadere appena dieci anni dopo e lasciare il posto a più confortevoli sale cinematografiche per la visione ormai canonizzata di film della durata di un’ora e mezza. I nickelodeon dovevano il loro nome alla monetina da cinque centesimi di dollaro, detto nichelino, che serviva a pagarsi l’ingresso. Il nickelodeon proiettava continuamente film senza più la figura del narratore in favore delle didascalie. Sono le origini del cosiddetto cinema narrativo. Essendo ancora l’epoca del cinema muto, le colonne sonore venivano fornite da organetti, autopiani o pianoforti suonati nel corso delle proiezioni.
I Nichelodeon, invece con l’acca, si descrivono come una “insana alternativa all’intrattenimento”. Nicheloden è un progetto di musica oscura e visionaria, aperta alla contaminazione di generi musicali e delle arti. Nasce a Milano nel 2007 dall’incontro tra il cantante e autore di musiche per il teatro Claudio Milano, Francesco Zago e Maurizio Fasoli,  chitarra elettrica e pianoforte già negli Yugen e il jazzista Riccardo Di Paola al synth. Del novembre 2007 è la registrazione del cd live “Cinemanemico” (2008), documento di due performance intitolate “La stanza suona ciò che non vedo”. Le musiche di “Cinemanemico”, prima ancora della nascita della band, erano già state eseguite da formazioni diverse, in concerti, performance di teatro, teatro/danza, installazioni, tenuti in tutta Europa e durante lo spettacolo inaugurale della Prima Biennale d’Arte Contemporanea a Mosca nel gennaio del 2005.
“La stanza suona ciò che non vedo” è il nome della performance musicale che fin qui ha presentato i brani del quartetto, accompagnati da letture tratte da “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi, installazioni video del regista Marco Rossi (ospite di recente alla Biennale di Venezia), sculture di “letestedimary, scenografie e brindisi a base di assenzio, in un clima irreale che rimanda direttamente alle prime avanguardie del Novecento.
Tra i vincitori della XII Rassegna “Omaggio a Demetrio Stratos”, i Nichelodeon nel giugno 2008 hanno contribuito con Albert Hera e Giovanni Cospito, alla realizzazione del progetto factory Art, dedicato alla figura e all’opera di John Cage.
Nell’ottobre del 2008, la band ha avviato la collaborazione con Luca Olivieri, musicista attivo nell’ambito delle colonne sonore e assiduo collaboratore degli Yo Yo Mundi, con l’attrice Manuela Tadini e il direttore di fotografia Charles Napier ai video.  Una “dionband lm della durata di un’organetti, autopiani o pianoforti suonati nel corso delle proiezioni
 
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CLAUDIO MILANO
Ha studiato canto, pianoforte, composizione, dizione e lettura teatrale. Ha seguito studi artistici presso l’Accademia di Belle Arti di Brera dove, nel 2000, si laurea in scenografia con una tesi sull’evoluzione dell’opera d’arte totale e la presentazione di un’opera originale. Tra il 1993 e il 2001 ha fatto parte di diverse rock band della scena alternativa milanese e ha suonato in alcune rassegne internazionali a cui hanno preso parte nomi di spicco come Jethro Tull e Porcupine Tree. Nel 2000 ha scritto musiche per la colonna sonora del cortometraggio “Puff di Luce” di Sascia Pastori e Monica Ponzini e per l’esposizione dell’artista multimediale Yurij Atzei. Nel 2002 ha avviato la collaborazione con il regista Marco Rossi come autore ed esecutore di musiche per il teatro (Ma le serve di Genet? , Hamlet e la performance Beyond Ego / Oltre l’Ego). Nel 2004 ha conseguito un diploma come musicoterapista nella gestione dell’handicap presso la Nuova Audio Musicmedia di Milano e avviato collaborazioni con l’Atelier di Movimento A. Tomatis, il reparto prenatale della clinica Mangiagalli, il Gruppo Jonathan e la Onlus Fraternità e Amicizia dove ha allestito un laboratorio teatrale e uno di musicoterapia a favore di disabili psicofisici. Del 2004 è la realizzazione del cd “L’urlo rubato, musiche per il teatro”. Dal 2005 collabora con la compagnia Euralia delle registe Anna Traini e Laetitia Favart. Nello stesso anno è stato attore e cantante in “Carpool blues” di Tommaso Urselli. Tra il 2005 e il 2006 ha realizzato un recital e un cd dal titolo “La stanza suona ciò che non vedo”, scritto revisioni integrali di classici e brani originali per lo spettacolo teatrale “Geisha” di e con Laetitia Favart. Si occupa inoltre di psicodramma e danzaterapia, teatro sociale e arte terapia. Ha continuato parallelamente a lavorare come illustratore e ritrattista, decoratore di miniature e scenografo, esponendo in diverse mostre pittoriche nazionali e conseguendo alcuni riconoscimenti.
 
INTERVISTA
 
DAVIDE
Ciao Claudio. Un curriculum assai ricco, pregnante, il tuo, e vario nondimeno. Partiamo da una cosa che potrebbe sembrare tra le “minori” rispetto ad altre tue esperienze, ma che un po’ ci accomuna… Il lavoro svolto per i disabili psicofisici, tu come musicoterapeuta, io perché educatore ormai da più di vent’anni. Cosa ne pensi del suono e della musica utilizzata per aprire canali di comunicazione che mettano in grado di iniziare il processo di preparazione e di recupero del paziente per la società e dei musicisti per contro (Beethoven è uno dei casi più noti, ma la lista sarebbe infinita, soprattutto ai nostri giorni) che sono invece dei perfetti trasgressivi e non è raro il loro isolamento asociale, quando non sia stato un vero e proprio comportamento autodistruttivo o antisociale?
 
CLAUDIO
Non so quanto sia frequente che un musicoterapista/terapeuta, si occupi di musica come autore. Quando questo accade, è giusto che abbia lavorato su sè stesso seguendo un percorso di analisi di almeno un paio d’anni. Il processo creativo non tiene conto della morale, la musicoterapia si (o meglio, chi conduce il setting deve avere coscienza costante di alcuni limiti socio-culturali entro cui muoversi); ad un artista non è richiesto di essere sereno, un terapista è chiamato ad esserlo, non solo per il benessere degli altri ma anche per il proprio. Il carico di emotività che si deve affrontare nel lavoro con un’utenza psichiatrica è enorme, può dare molto, ma può al tempo stesso togliere tantissimo. E’ più facile che sia lo psichiatrico ad essere un buon artista che non il terapista. Può accadere però che quest’ultimo diventi psichiatrico, ma questa è un’altra storia…. In breve, ci sono troppe variabili nella relazione tra i due percorsi, quello creativo e quello terapeutico e chi li ha vissuti entrambi probabilmente ha una storia diversa da raccontare. La mia dice ad esempio che una domanda simile a quella che tu mi rivolgi ora, mi è stata fatta a titolo personale (“non credi ci sia una differenza abissale tra il fare musica come creativo e impiegarla come mezzo in un processo terapeutico?”, mi fu detto) durante il mio primo colloquio di lavoro in una ONLUS. Ricordo di aver risposto all’incirca: “Ho pensato per così tempo soltanto al mio mondo da poter credere sia arrivato il momento di accogliere gli altri e le loro esigenze”. Perchè a quel punto mi sono avvicinato ai disabili e non ai dirigenti FIAT con un bel corso di formazione a loro rivolto è chiaro, per me che mi conosco abbastanza perlomeno. Preferisco le persone che hanno dovuto imparare a proprie spese (o lo stanno facendo loro malgrado), a riconoscere ed accettare i propri limiti.
 
DAVIDE
Prima di parlare dei Nichelodeon, volevo dirti che ho ascoltato il tuo cd solista “L’urlo rubato”. Contiene musiche per il teatro scritte tra il 2000 e il 2004 (Ma le serve di Genet? e Hamlet, per la regia di Marco Rossi, e Building up a cathedral from me, psicodramma da te ideato). Un lavoro assai ricco e mutevole dove si attraversano generi molto diversi, dalla classica antica e contemporanea al jazz, dalla sperimentazione all’elettronica ecc. Notevole il tuo drammatico riarrangiamento di due evergreen francesi quali Ne me quitte pas di Jacques Brel e Le déserteur di Boris Vian. Davvero bella la “Follia e morte di Ofelia” con la voce del soprano Laura Catrani: 1) (mia curiosità en passant) perché hai affidato alla voce di un bambino il monologo dall’Amleto? 2) (la vera domanda) perché aspirare all’opera d’arte totale e all’espansione multimediale? Perfino Andy Warhol, sommo guru dell’arte totale, percepì il pericolo o l’incongruenza data dalla accettazione-contaminazione dei nuovi mezzi di comunicazione e l’integrazione con la macchina riproduttiva come possibile fattore destabilizzante per la validità dell’opera d’arte.
 
CLAUDIO
Grazie per quello che dici in merito a “L’urlo”, amo quel lavoro e credo che l’incisione del medley con i brani di Brél, Vian, Tenco sia la cosa migliore che io abbia fatto fin qui. In merito all’Amleto, è stato il regista Marco Rossi a registrare la voce di Diego Foglini nel monologo dell’ “essere o non essere”. Diego è un attore molto talentuoso che all’epoca aveva solo 7 anni. La registrazione non è mai stata usata nello spettacolo ma ho voluto farlo io per il disco. E’ quando siamo bambini che si è portati a dare risposta ad interrogativi enormi. Il potere creativo dei perchè in un bimbo ha una forza deflagrante e si sottovaluta spesso la coscienza critica che l’accompagna. Sono le domande senza risposta (e quanto gli adulti sono in grado di favorirle certe risposte, nel dovere ammettere un proprio fallimento, nella incapacità di dare loro stessi una risoluzione ed un valore a quei perchè?) a risuonare più a lungo nella mente e quando si è bambini sembra lo facciano per archi di tempo che poi non riusciamo neanche ad immaginare. Ogni percezione quando si è molto giovani, appare amplificata, perchè si è ancora disposti ad accogliere qualsiasi cosa ed Amleto nella prima parte del dramma, sembra in qualche modo rinascere nella sua apparente follia, indifeso ed incapace di dar forma ai propri perchè. Riguardo Warhol, il suo percorso è da inserire nel contesto culturale che gli appartiene. Non credo in realtà ci fosse da parte sua una valutazione critica della macchina produttiva in cui lui stesso era inserito e se c’era non so quanto il fine dell’autore fosse quello di lasciarlo trasparire dalle sue/del “pop”olo creazioni.  Credo lui investisse su di sè, attraverso un’accettazione incondizionata e priva di ogni valutazione morale, i processi culturali in atto negli anni Sessanta, anticipandone le estreme conseguenze, che avrebbero riguardato i decenni successivi. Il suo percorso, come quello di Nietzsche o di Pasolini è in qualche modo profetico e trascende completamente il circuito operativo o “creativo” che gli appartiene per rivolgersi alla società in tutti gli aspetti che le ruotano attorno. Nella sua arte c’è la volontà di far diventare l’artista stesso una macchina produttiva, attraverso una scelta che nega la soggettività individuale, processo che sarebbe diventato tanto più chiaro con la “minimal art”. In quanto a referenze, Nichelodeon è un progetto profondamente europeo e come tale non identifica il mezzo espressivo con il fine.  Mi interessa più il processo creativo e l’intuizione che l’accompagna che non la “bellezza” del risultato. In giro ci sono centinaia di dischi superprodotti, che suonano benissimo e non dicono un accidente, noi (o meglio, io, con il consenso degli altri tre della band) abbiamo fatto circolare un cd-r, “Cinemanemico”, registrato fortuitamente su traccia unica. L’era del boom tecnologico, della fiducia incondizionata nei mezzi di produzione, è in profonda crisi. I bambini, a due anni sanno già usare il computer perfettamente e a venti fanno fatica a scrivere correttamente un pensiero, coltivano amicizie, preferibilmente “virtuali” ma poi tutti siamo costretti a constatare una crisi economica globale. Credo che oggi ci sia bisogno di recuperare umanità e poesia, nell’arte e nella vita, attraverso la riscoperta del senso di eccezionalità che accompagna alcune cose, manifestazione creativa inclusa. Il nostro riferimento alla multimedialità non è riferimento alla vita in tutte le sue manifestazioni, ma ad una dimensione “altra” (con tutti i rischi che ne possono derivare, quello di non risultare credibili, o di apparire presuntuosi in primis), dove ogni esperienza creativa si muova autonomamente e in maniera ben poco programmata, concorrendo ad una resa finale che non miri nè al “bello”, nè alla provocazione gratuita, nè all’intrattenimento (e questo non vuol dire certo che nelle nostre performance non si dia spazio all’ironia), ma ad un’idea antica di catarsi.
 
DAVIDE
Mi riferivo prima all’Arte Totale come la concepiva Andy Warhol… Mi incuriosisce a questo punto la descrizione “slogan” che fate dei nichelodeon come antipop experience… Ossia?
 
CLAUDIO
Ho scritto quella descrizione un giorno su myspace, senza pensarci troppo, un pò per scherzo, un pò per reazione. Non è uno slogan programmatico. Io scrivo canzoni, nè più nè meno che canzoni, Nichelodeon è il mio diario e ringrazio chi mi ha aiutato a dargli forma e colore, ma c’è qualcuno che quando ascolta i nostri brani sembra aver incontrato il demonio e lo dico con un certo imbarazzo… Diverse persone sono state lì a chiedersi “cos’è sta’ roba?” E lì le definizioni si sono sprecate: psichedelia, avanguardia, progressive rock, cantautorato all’italiana, musica per teatro, dark, indie rock, avant/jazz visionario. C’è chi ha trovato nel nostro percorso “canti domenicani, slogan marxisti e bestemmie”, chi dice che io nel cantare somiglio a Baccini e ad Alberto Fortis ma forse anche a Ferretti e a John De Leo (in contemporanea?….). Un critico americano ha scritto: “Attenzione a dove, come e quando ascolterete questa roba perchè Cinemanemico ha la capacità di urtare il vostro sistema nervoso come nessun’altra cosa abbiate mai ascoltato”. Accettiamo con curiosità ogni tipo di riscontro, sia esso negativo o positivo ed usiamo poi tutto per definire a nostra volta il progetto, ma… che dire, a me sembra di aver scritto solo qualche canzone…
 
DAVIDE
Nico, Peter Hammill, Diamanda Galas, Tim Buckley… questi i riferimenti al tuo canto che mi hai dato. A me ricordi molto, sia musicalmente, sia vocalmente, anche un cantante autore torinese di nome Marco Testa. Il “recitarcantando” (anche causa titolo di un suo disco) è termine da noi ormai automaticamente e indelebilmente associato alle ostiche sperimentazioni soliste di Demetrio Stratos e ci dimentichiamo che in fondo è stato da sempre cosa ben più facile, popolare e fruibile fin dall’antica Grecia o come nei recitativi delle opere liriche del Sette/Ottocento, nel cabaret o nella protesta di Cantacronache o di un Nanni Svampa, nel modo di cantare di un Fred Buscaglione o dei crooners americani dal jazz di Mel Torme fino a cantautori come Leonard Cohen o a rockers come Lou Reed e avanti.  In verità, recitarcantando (o parlarcantando) si può in molti modi diversi. Descrivici il tuo come in forma di ingredienti e istruzioni per un buon cocktail.
 
CLAUDIO
Ecco il mio coktail:
1 parti di urgenza comunicativa;
1 parti di disponibilità ad ascoltarsi ed ascoltare;
1 parti di attitudine al rischio;
lavoro quotidiano sulla voce e sul corpo q.b. per il proprio fine (lo si consegue non solo cantando ma anche mentre si è dal dentista o si lava il pavimento, volendo);
Ciò che rimane è un ingrediente misterioso che varia di volta in volta…..
P.S.:  Non conosco Testa, coglierò la citazione come suggerimento per ascoltare qualcosa di suo, grazie!
 
DAVIDE
E vista l’esperienza con i Nichelodeon sulla poesia culinaria di Artusi, scrivici la ricetta per ottenere un impareggiabile piatto di nichelodeon.
 
CLAUDIO
1 kg di voglia di sentirsi “dentro” i pezzi;
1 kg di voglia e pazienza nel confrontarsi con gestori di locali rompiballe; manager latitanti; atteggiamenti mafiosi della S.I.A.E.; pubblico che scappa durante i concerti; vecchiette che alla fine cercano di circuirci; star dietro alle richieste di amicizia su myspace, youtube…..;
1 kg di voglia e pazienza di star dietro alle nevrosi reciproche, specie quelle del cantante (……lo so, il fatto che sia proprio il cantante e non qualcun altro, non sorprende nessuno);
1 kg  di speranza che tutto quello che si sta facendo trovi un senso nel mentre;
qualche kg di leggerezza… in più.
 
DAVIDE
Perché Cinemanemico? Nemico forse del teatro? Dovreste essere più solidali con il cinema, dal momento che anch’esso è in crisi con la Telenemica. O perché il cinema ha ucciso i nickelodeon? Cosa c’era di così importante da salvare o da ricordare nei nickelodeon tanto da prenderne il nome?
 
CLAUDIO
Cinemanemico è un gioco di parole su “Anemic Cinema” di Marchel Duchamp. Ci piaceva l’ambiguità che poteva nascere dall’unire le due parole rinunciando ad una “a” nella traduzione italiana. Certo oggi il cinema (che sta vivendo tutto sommato un periodo fortunato creativamente parlando) uccide l’immaginazione molto più di quanto non la alimenti. Questo perchè lo spettatore ne sta prendendo sempre più le distanze, proprio nel momento in cui la qualità media delle produzioni mondiali si alza e il cinema underground diviene sempre più mainstream. Ma in realtà non abbiamo realmente nulla da recriminare a quel mezzo, solo un gioco di parole.  Certo, nei nickelodeon c’era una percezione diversa, più attiva da parte dello spettatore che poneva ben pochi filtri tra il sè e la proiezione che diveniva a suo modo un rito, dove era richiesta una forte componente empatica, un pò come nella migliore tradizione performativa. Abbiamo scelto quel nome perchè amiamo il periodo storico a cui i nickelodeon fanno riferimento, quello della massima affermazione delle avanguardie, dell’interazione attiva tra le singole discipline, dell’attitudine al rischio nell’espressione, tutte cose che a nostro modo condividiamo attraverso il nostro percorso.
 
DAVIDE
So che ami Duchamp. Nell’appartamento di Rue Larrey c’è una porta che quando la apri chiude il vano d’apertura ad angolo di un’altra stanza contigua e viceversa. E’ la mia opera preferita. Mi piacerebbe avere qualcosa del genere in casa. Puoi attribuirvi un mucchio di metafore. Qual è la tua più cara e perché?
 
CLAUDIO
Vedo che avevi già indovinato la risposta alla mia domanda precedente. Non c’è un’opera di Duchamp che amo particolarmente in realtà, direi che l’intuizione del ready made è in sè una grandissima opera d’arte.  Mi ha sempre incuriosito però “La Boite-en-valise”, mi sembra vicina all’idea delle accumulazioni di Schwitters, all’introflessione artistica della body art, all’homemade recording e a molti sistemi di comunicazione strettamente contemporanei dove è sempre più chiara la molteplicità di variabili esistenti nella relazione tra artista, opera d’arte, realtà e percezione della stessa.
 
DAVIDE
Un’ultima domanda, promozionalmente d’obbligo. Hai carta bianca per dirci tutto quello che farete prossimamente perché noi si possa venire, vedere, partecipare.
 
CLAUDIO
Un caldo invito a partecipare al nostro prossimo concerto, il 23 Aprile prossimo ad Erba (Co), ore 21.15 presso il Cineteatro Lux, via Manzoni 8. Abbiamo pensato ad un contenitore “vivo” di variabili artistiche che si preannuncia assolutamente insolito per caratteristiche; ad un mix tra  tipologie di musica, teatro, visione che non avevamo fin qui sperimentato e che non sappiamo onestamente (come sempre, molto più di sempre) a cosa ci porterà. La tensione emotiva è molto alta e siamo curiosi di raccogliere le vostre impressioni.
Un grazie sincero.
 
http://www.claudiomilano.it/  (qui sono in vendita on line i cd di Claudio Milano e dei Nichelodeon)
 

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