Raccontare la realtà, la nostra realtà, è ancora possibile. Coglierne i legami umani, trasformare il dramma di una coppia borghese in un quadro della nostra società, dei dubbi che adesso come non mai l’attanagliano. Trasformare la sensazione di disagio, di precarietà economica ed esistenziale in un film, allontanandosi però da quell’altro modo di mostrare le cose, quel lavoro di abbellimento e allo stesso tempo di impoverimento che tanta fiction e tanta televisione ci sta spacciando come la vera realtà, costruendo i propri salotti sorridenti, glorificando falsi eroi di un giorno, creando i mostri dei quiz e dei reality e relegando i problemi di un’intera nazione sempre più ai margini di ogni schermo, di ogni rappresentazione, di ogni documento visivo quanto informativo.
Soldini parte da una coppia borghese e ne disintegra gradualmente tutte le certezze. La casa, il lavoro, il loro rapporto. Molte cose iniziano a crollare dentro e intorno a Elisa e Michele. E più perdono quello che possedevano più si accorgono di come il mondo intorno sia cambiato, sia diventato famelico e indifferente. Ma la storia che racconta Soldini è ancora più cinica e cattiva, perché ad affrontare il precariato non è una coppia di ventenni-trentenni che ancora non trovano lavoro e si devono adattare a quello che capita, ma sono due persone che si stanno avvicinanando alla piena maturità e che vedono dissolversi completamente il mondo (affettivo quanto materiale) che avevano intorno. Non è un caso poi che Elisa si sia da poco laureata in storia dell’arte e che Michele, quando le confessa di essere senza lavoro, con la testa fra le mani, quasi disperato, le urli – “sono due mesi che non produco”. Perché è questo l’orrore della nostra società, se non si produce non si è nulla, non si vale nulla. E produzione è sempre qualcosa legato ad una attività industriale mentre l’arte, la letteratura, tutto l’universo di studi umanistici sono solo cose superflue, inutili, da portare avanti nel tempo libero. Con questi due personaggi Soldini centra in pieno la crisi di una società che non ha più valori (morali quanto culturali) e che vede distruggersi quelli in cui, una parte di essa, aveva creduto.
Giorni e nuvole è di un realismo sconcertante, soprattutto per la capacità con cui riesce a cogliere, dal punto di vista umano, il nostro presente. E lo schermo diventa allora uno specchio (senza deformazioni, senza forzature, senza abbellimenti) nel quale guardarsi e vedere quello che abbiamo intorno e quanto sta succedendo. Raccontare la realtà, al cinema, è un modo per renderla oggettiva, concreta, racchiusa davanti ai nostri occhi. Per questo l’empatia emotiva è così forte, la storia di Elisa e Michele non ha nulla di diverso da quella di tanti altri. La loro storia ci riguarda da vicino. E forse, proprio per questo, fa così male.