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Uno in diviso – Alcìde Pierantozzi

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Questo omaggio a P.P.P., alla Teodorani e a Marco Mancassola merita l’incandescente e illustre marchio ‘atroce bellezza’. “Uno in diviso” è di atroce bellezza. Questo primo romanzo del giovanissimo Alcìde Pierantozzi, questa opera estrema e primaria è certezza grondante di prove offerta da uno scrittore di grande classe; una certezza che permette di immergere il corpo e le riflessioni dei lettori in un talento che ha pochissimi eguali. Davvero un incrocio di simboli e potenza pura del linguaggio, scenari che non è possibile, è certo, dimenticare. E personaggi che torneranno nella notte e nella luce: nei viaggi, persino. Taiwo e Kehinde sono gemelli siamesi. Il loro corpo è dotato di due busti e di un solo paio di gambe, ha visivamente ma non mentalmente la forma di una ipsilon. L’uno, ovvero i fratelli, i protagonisti che utilizzano una sola voce, quando però non sognano o non fanno incubi, e che spesso si staccano con le volontà ma solamente con queste, parlano con “la lingua di un serpente” e nelle loro pance cattive e buone hanno serpenti. Come hanno un passato che striscia e lì porterà direttamente in un futuro di morte, di assassini. Da assassini, buoni e cattivi. Lavorando come inservienti dietro il banco di un locale di incontri sessuali ma pochi sanno che sono unico (forse) corpo, la verità quindi della loro carne che lì sente così vicini da far loro condividere baci di lingua e autoerotismo. E omicidi… Non manca in questo romanzo l’attualità, in un “corpo” dantesco che risente degli scatti torturati dai gironi delle centoventi giornate. Vero, Kehinde e Taiwo (nonostante tutto) sono Pieni di grazia, e sono compagni di viaggio. Viaggiatori in fuga sono anche. Sono pure quelli che devono correre perché inseguiti. Leggendo le pagine di Uno in diviso si cade nella brace fissata nel cielo, dentro i ragionamenti – sempre o quasi non concordi – di due fratelli fissi intorno alla loro doppia carne, dunque alla loro carne a metà. L’ambientazione scava più luoghi. Da Milano all’Abruzzo eccetera. Aver letto “tardi” questo testo esemplare è stata una vera e propria disattenzione, i critici dovrebbero rimettersi in questa scrittura e in questa trama che abbraccia, chi legge dovrebbe farsi “stordire” da questa grande letteratura. In più c’è il diavolo con le corna. “L’uomo riesce a vedersi sullo schermo lucido, osserva le sue corna appuntite e la catena che gli costringe il collo nerboruto e corto. Cerca di difendersi ma non ce la fa”. I gemelli lottano, anche in loro. Lotta chi sta dietro le quinte, in piena della piena angoscia: “Che poi si faccia – svelto – di quella pallidezza quasi azzurra, di quella trasparenza marina satura di foschi stormi annuncianti per lui, fresco, l’arrivo della neve”. Nei gesti candidi della neve, lontano e contro “la stessa gente che ha ammazzato Pasolini e adesso lo legge, gli stessi idioti che hanno rubato la cattedra di Svevo e adesso bocciano per autopromuovesi”. Che sia riconosciuto a questa penna il valore e quello che per giunta gli accademici definiscono la tensione morale. Al lordo dello scandalo fitto di dannazioni.

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